L. Viola, D. Testini, G. Marseglia



Il danno tanatologico

 

IL DANNO TANATOLOGICO
 
a cura di
Luigi Viola
Donatella Testini
Giuseppe Marseglia

 

 


INTRODUZIONE

 

Il progressivo rafforzamento dei valori espressi dall'art. 2 della Carta fondamentale in relazione all'art. 2059 c.c. continua a sottoporre all'attenzione dei giudici di legittimità e di merito ipotesi risarcitorie sempre nuove.

L'ultimo arrivato è il c.d. danno tanatologico: è stata ipotizzata l'esistenza di una fonte di danno derivante dalla morte dell'individuo, autonomamente risarcibile, separata e distinta rispetto al danno morale, biologico ed esistenziale, fondata sul rilievo che l'intero ordinamento, nel suo complesso, tutela a pieno il diritto alla vita. 
Tale impostazione non è pacificamente condivisa da quanti, mossi essenzialmente dal timore dell'inutile duplicazione delle voci di danno legate ad un solo evento lesivo, sostengono l'inutilità della figura del danno tanatologico, tanto più che il titolare del risarcimento personalissimo (e quindi non trasmissibile) comunque sarebbe deceduto: se il danno tanatologico è personalissimo e, per ciò solo, intrasmissibile, allora, conseguentemente, non si comprende quale possa essere in concreto il titolare del diritto al risarcimento per danno da morte, attestato che il titolare formale e sostanziale non è più in vita. 
Non è chiara, inoltre, la dimensione applicativa di questa nuova voce di danno, che, prima facie, sembra duplicare il concetto di danno biologico ed esistenziale. 
Il problema interpretativo posto, invero, appare di difficile soluzione, poiché lo stesso legislatore, ex art. 2043 c.c. e 2059 c.c., non spiega expressis verbis cosa debba intendersi per "danno ingiusto" e la stessa Costituzione, non ipotizzando in alcun articolo un danno da morte risarcibile verso il danneggiato (o meglio, più precisamente, verso gli eredi), impone all'interprete una difficile opera di decodificazione. 
 

 

-TESI MAGGIORITARIA NEGATIVA

 

Secondo l'impostazione prevalente, il problema interpretativo posto va risolto indiscutibilmente nel senso della inammissibilità del danno tanatologico. 
Il danno tanatologico, infatti, che altro non sarebbe se non un danno patito dal soggetto che muore a causa di una condotta illecita altrui, sembrerebbe peccare degli elementi strutturali determinanti il risarcimento, nonché di una espressa previsione normativa. 
Preliminarmente, vi è da precisare come, secondo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza1, la perdita della vita non costituisce danno di per sé risarcibile perché, a monte, vi è 
una profonda distinzione tra diritto alla vita e diritto all'integrità psico-fisica2; più precisamente, il primo consiste nella possibilità di esistenza futura, il secondo ha ad oggetto la fruizione del proprio benessere psicofisico durante l'esistenza. Il danno da morte, quindi, nega la sopravvivenza, mentre il danno alla salute, o biologico, la presuppone, con il corollario logico-giuridico che la strada interpretativa seguita per la costruzione della figura del danno biologico (nascente dal combinato disposto dell'art. 2043 c.c. con l'art. 32 Cost., ovvero secondo la più recente ricostruzione giurisprudenziale3 ex art. 2059 c.c. e art. 32 Cost.) non sarebbe utilizzabile, attestata una diversità strutturale, nonché una ratio giustificatrice di tutela ben diversa4. In questo senso, pertanto, la morte di un individuo non potrebbe essere qualificata come estremo danno alla sua salute5: al più potrebbe ipotizzarsi un danno biologico subito dalla vittima rimasta in vita per un apprezzabile lasso di tempo prima di morire, trasmissibile jure haereditatis. L'argomento maggiormente condivisibile emerge sotto il profilo soggettivo6:l'evento lesivo incide negativamente sulla capacità giuridica del soggetto che lo subisce, impedendogli, ad ogni modo, di fargli esercitare il suo diritto. Anche ipotizzando che il danno tanatologico possa vantare una sua autonoma configurazione, resterebbe il fatto che sarebbe un danno privo di titolarità: l'evento lesivo morte non è altro che la perdita della vita e, quindi, della capacità giuridica del soggetto che subisce il danno7, con la conseguenza che non è configurabile il credito risarcitorio, mancando un soggetto che ne possa essere titolare. D'altronde, la natura peculiare ed intimamente personale del bene vita non consentirebbe, neanche da un punto di vista meramente logico ed astratto, l'ammissibilità del risarcimento, in quanto l'istituto aquiliano avrebbe funzione prevalentemente riparatoria-satisfattiva8; nel senso che è evidentemente impossibile il risarcimento in forma specifica, ma lo è altrettanto quello per equivalente, dato il venir meno di colui che dell'utilità sostitutiva del bene perduto potrebbe giovarsi9. Sotto tale profilo, poi, anche laddove si comprenda come l'ordinamento civile (e non solo quello penale) tuteli, in qualche misura, il diritto alla vita (ovvero, più tecnicamente diritto di vita), ad ogni modo sarebbe un diritto privo di titolare, che per ciò solo non potrebbe imporre al danneggiante un risarcimento ulteriore, tanto più che il risarcimento da illecito aquiliano non ha funzione afflittiva-educativa10, con il corollario logico-interpretativo che può residuare una certa dimensione applicativa esclusivamente nella misura in cui sia possibile riparare (ovvero soddisfare) il danneggiato; l'illecito aquiliano, diversamente, non potrebbe sussistere. Il preteso vuoto di tutela che deriverebbe dalla inammissibilità del danno tanatologico perde di significato ove si consideri che le figure giuridiche di danno biologico (jure successionis e jure proprio), esistenziale11 e morale (c.d. pretium doloris12) sono senz'altro idonee a colmarlo, imponendo, ove possibile, il risarcimento tanto del danno-evento che del danno-conseguenza13. La stessa figura del danno esistenziale, d'altronde, è stata coniata per sopperire ad un vuoto di tutela nell'ipotesi di morte, ponendo l'accento sugli effetti, per così dire, orizzontali (piuttosto che su quelli verticali riguardanti la vittima, considerata in modo isolato) derivanti dall'evento lesivo, sottolineando come taluni soggetti rischiassero di essere pregiudicati del loro diritto all'integrità della famiglia, costituzionalmente garantito ex artt. 29-31 Cost14, ragion per cui l'aggiunta di
un'ulteriore voce di danno rischierebbe di imporre al danneggiante una plusvalenza non dovuta, perché già ricompressa in altre voci risarcitorie. Alla luce tali rilievi argomentativi e dell'unicità15 del fatto lesivo risarcibile (ex art. 2043 c.c. e 2059 c.c.), la giurisprudenza prevalente afferma che il danno tanatologico non può configurarsi, ovvero che, seppur configurabile, non può essere risarcito in quanto privo di titolare, con la conseguenza di ritenere tale costruzione teorica pressoché inutile. 
 

 

-TESI MINORITARIA POSITIVA

 

Secondo altra impostazione16, diametralmente opposta, sarebbe lo stesso legislatore ad imporre il risarcimento del danno da morte ovvero tanatologico, laddove si pensi all'art. 2 Cost., alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (ratificati con leggi interne), ecc.: il diritto di vita sarebbe giuridicamente tutelato, imponendone il risarcimento nei casi di illegittima lesione. Viene precisato come non sembri condivisibile la divaricazione tra salute e vita, quali beni giuridici distinti e quasi connotati da una netta soluzione di continuità: la salute intesa come benessere psicofisico è per definizione una qualità essenziale della vita e ne costituisce un presupposto indefettibile17. D'altronde, non sarebbe neanche condivisibile il rilievo in base al quale il danno tanatologico non può essere risarcito perché privo di titolare del diritto, poichè qualora così fosse, il medesimo discorso dovrebbe farsi con riferimento anche al danno biologico jure haereditatis: se si accoglie la tesi che il danno personale "patrimonializzato", come il danno biologico, è suscettibile di successione mortis causa, in quanto credito risarcitorio, per coerenza interpretativa si deve ritenere che anche il diritto al risarcimento da morte è suscettibile di successione, con il corollario applicativo che non potrebbe ritenersi il danno da morte come implicante un risarcimento senza titolarità. In altri termini, se il danno biologico jure haereditatis ha un titolare del diritto al risarcimento, allora, lo deve avere anche il danno tanatologico, sia perché idoneo a ripercorrere lo stesso schema successorio, sia perchè la presunta funzione riparatoria-satisfattiva del risarcimento da illecito aquiliano sarebbe comunque ottemperata verso i successori, che semplicemente ereditano un credito risarcitorio al pari del danno biologico jure haereditatis; tanto più che l'esaltazione della funzione riparatoria-satisfattoria dell'illecito aquiliano implicherebbe anche la negazione del risarcimento del danno biologico jure haereditatis, in contrasto con la stessa giurisprudenza prevalente18, fautrice della tesi negativa19. D'altronde, quel che si trasmette a seguito della morte non è il diritto assoluto della persona, quanto piuttosto quello patrimoniale al risarcimento del danno, sia nel caso di danno biologico jure haereditatis che nell'ipotesi di danno da morte. In altri termini, la logica del combinato disposto ex artt. 2043 c.c. (ovvero, più di recente20, 2059 c.c.) e 32 Cost., deve portare ad analoga conclusione laddove l'illecito aquiliano si legga in combinato disposto con l'art. 2 Cost21, tanto più che la morte22 " determina sul piano logico-giuridico una lesione della salute, la quale a sua volta determina, sempre sul piano logico-giuridico, la nascita di una pretesa risarcitoria spettante agli eredi in virtù dell'apertura della successione al momento della morte, come stabilito dall'art. 456 c.c."23. Altresì, viene precisato dai fautori di questo orientamento minoritario, come neanche sarebbe ipotizzabile che un danno da morte non possa configurarsi, perché non vi sarebbe un apprezzabile lasso di tempo tra lesione ed evento morte tale da farlo maturare e che, anche laddove ci fosse,
emergerebbe al più un danno biologico jure haereditatis. In verità, si dice, il diritto al risarcimento del danno da morte, andrebbe a colmare proprio quel vuoto di tutela giuridica, sussistente al confine tra l'insussistenza dell'apprezzabile lasso di tempo e la morte, identificandosi nell' acquisizione di coscienza della morte. Sotto tale angolo prospettico, allora, il danno da morte tutelerebbe la vittima nelle ipotesi lasciate vuote dal danno biologico jure successionis (haereditatis), laddove non sia rinvenibile il concetto di apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, recuperandone tutta la sua autonoma configurabilità giuridica. Neanche, poi, sarebbe sostenibile che oltre il concetto di apprezzabile lasso di tempo possa sussistere solo la morte, poiché, si dice24, così facendo si rischia di non tenere in debita considerazione l'aspetto naturalistico; id est, da un punto di vista naturalistico, tra lesione dell'integrità psicofisica, in senso atecnico, e decesso sussiste necessariamente una pur impercettibile successione in termini cronologici, che consente la configurazione del danno. D'altronde, qualora si negasse autonoma configurabilità al danno tanatologico, si ipotizzerebbe un vulnus al sistema risarcitorio25, perché si rischierebbe di lasciar priva di tutela giuridica la vittima dell'illecito26, sol perché non sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, riducendo notevolmente le possibilità risarcitorie, arrivando alla soluzione paradossale ed incostituzionale per cui si punirebbe più gravemente la lesione aggravata dalla morte rispetto alla c.d. morte immediata e diretta. Si sostiene27, pertanto,che il danno tanatologico possa godere di un'autonoma configurazione giuridica, tale da imporne il risarcimento al danneggiante. 
 

 

-CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Il problema posto, seppur particolarmente complesso nonché notevolmente dibattuto, impone una soluzione sufficientemente determinata e chiara, ben rinvenibile nella tesi maggioritaria negativa. In particolare, infatti, le argomentazioni poste a sostegno della tesi minoritaria positiva non sembrano del tutto convincenti, seppur autorevolmente sostenute, soprattutto perché sembrano definire l'ambito applicativo del danno da morte ovvero tanatologico solo sul piano meramente teorico, tralasciando il piano effettuale; id est, non è per nulla chiaro quali possano essere gli effetti lesivi risarcibili a titolo di danno da morte, poiché il danneggiato sarebbe morto, e i successori potrebbero già vantare un danno esistenziale28 per la perdita parentale29. D'altronde, neanche sarebbe ipotizzabile che la vittima maturi il danno da morte nel momento intercorrente tra la lesione e la morte, tale da divenire credito risarcitorio oggetto di successione mortis causa, sulla falsariga del danno biologico jure haereditatis, poiché, a rigore, nel primo caso il diritto non sarebbe ancora entrato nella sfera patrimoniale della vittima, diversamente dal secondo. In altri termini, il legislatore, ex art. 2043 c.c. e art. 2059 c.c., impone che il diritto al risarcimento del danno si maturi con la verificazione30 dell'evento lesivo; così il danno biologico, seppure sub specie jure successionis, si matura con la lesione psicofisica del danneggiato, ma, al contrario, nel danno da morte l'evento lesivo (ipoteticamente risarcibile) si verifica con la morte e, cioè, con la perdita della titolarità, con la conseguenza che non è risarcibile per il solo pericolo di morte. Il legislatore, difatti, lega expressis verbis il risarcimento del danno alla sua verificazione, imponendo all'interprete un controllo preliminare sulla sussistenza o meno del danno, inibendone il risarcimento in sua assenza; nel danno da morte, il danneggiato non ha, per così dire, il tempo di maturare quel diritto, poiché il momento dell'acquisto, sul piano giuridico, paradossale che sembri, va a coincidere con la sua perdita, rendendo l'istituto de quo una mera costruzione teorica inattuabile. Sotto quest'ottica argomentativa, pertanto, sembra maggiormente condivisibile la tesi maggioritaria negativa, soprattutto laddove si voglia optare per un'interpretazione rigorosa dell'art. 2043 c.c. e 2059 c.c.. D'altronde, "...quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perchè per i vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci..."31

 

 


1 Vd. Cass. 4783/2001; Cass. 1704/1997, in nuova Giur. Civ., 1997, I, 221, con nota di Chindemi, Ancora sul risarcimento del danno da uccisione spettante agli eredi della vittima; Pulvirenti, risarcibilità del danno alla vita della persona: c.d. danno biologico da morte, in Resp. Civ., 1997, 432; Costanzo, Il danno biologico da morte tra diritto all'integrità psicofisica e diritto alla vita, in Giust. Civ., 1997, I, 2841; Vd. anche Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001.
2 Da intendersi anche come diritto alla qualità della vita.
3 Corte Cost. 233/2003; Cass. 8827/2003, 8828/2003.
4 A meno che, si precisa, non si voglia correre il rischio di optare per una tesi interpretativa finalizzata a trattare in modo eguale situazioni diseguali, in contrasto con l'art. 3 Cost.
5 Come pure è stato sostenuto.
6 Cass. 491/1999, in Rass. Dir. Civ., 2000, 624, con nota di Bonanni Caione, danno biologico tra "limiti strutturali" e Carta costituzionale.
7 Colasanti, Danni da morte e risarcimento permane il rischio di duplicazioni, in Diritto e Giustizia, 2004, 21, 74.
8 Argomento, tra l'altro, non pacifico, come spiegato in Franceschetti, La responsabilità civile, Napoli, 2002.
9 Vd. Cass. 3549/2004; vd anche Corte Cost. 372/1994.
10 Come il diritto penale, soprattutto se le norme incriminatici vengono lette in combinato disposto con l'art. 27 Cost.
11 Vd. Cendon, Non di sola salute vive l'uomo, in Studi Rescigno, 1999, V, 139; Cendon, Vincitori e vinti dopo la sentenza 233/2003 della Corte Costituzionale, su www.altalex.com; Vd. anche Viola, Diritto e Giustizia, 2003, 38, 86, in tema di truffa contrattuale e danno esistenziale.
12 Vd. Cass. 1474/1996.
13 Espressione coniata dalla Corte Cost. 184/1986, successivamente superata da Corte Cost. 372/1994 e da Cass. 4881/2001.
14 Vd. Cass. 7713/2000, Cass. 6507/2001, Cass. 8827/2003, Cass. 8728/2003.
15 Laddove si pensi al fatto che il legislatore parla di "danno" nell'illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c., e non di "danni" come chiarito, tra l'altro, nell'art. 1223 c.c.
16 Vd. Trib. Brindisi 5/8/2002, Trib. Messina 17/7/2002, Trib. Foggia 28/6/2002, Trib. Napoli 6/2/1991.
17 Vd. Trib. Venezia 15/03/2004.
18 Vd. Cass. 12124/2003.
19 Di cui sopra.
20 Corte Cost. 233/2003.
21 Vd. Trib. Roma 24/05/1988.
22 Di recente, tra l'altro, Cass. 3549/2004 ha ipotizzato un danno "terminale", laddove il danno biologico conduca alla morte.
23 Trib. Venezia 15/03/2004 (già citato in nota n. 17)
24 Vd. Trib. Massa 20/07/1987.
25 Vd. Ponzanelli (a cura di), La responsabilità civile. Tredici variazioni sul tema, Padova, 2002.
26 Vd. Trib. Treviso 26/03/1992; vd. anche Trib. Genova 5/06/1992.
27 In verità, per lo più dalla giurisprudenza di merito.
28 Vd. Rossetti, il danno esistenziale tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 2059 c.c., in Resp. Civ. Prev., 2001, 809.
29 Vd. la già citata sent. Corte Cost. 233/2003.
30 Sul tema della distinzione tra manifestazione e causazione del danno, vd. Viola, la prescrizione nei danni lungolatenti, in www.filodiritto.com, 2004.
31 Lettera a Meneco, di Epicuro.