Cass. civ. Sez. III, 03.04.2008, n. 8546



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE TERZA CIVILE 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
Dott. VARRONE Michele - Presidente 
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere 
Dott. FILADORO Camillo - Consigliere 
Dott. FRASCA Raffaele - rel. Consigliere 
Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente: 
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da: 
L.R.T., nonchè i genitori L.R.U., R.T., in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO 46, presso lo studio dell'avvocato GIAN MARCO GREZ, difesi dall'avvocato PEREGO ALDO, giusta delega in atti; 
- ricorrenti - 
contro 
C.F., ZURIGO ASSICURAZIONI SA, in persona del Vice Direttore Dott. G.G., elettivamente domiciliati in ROMA VIA G VASARI 5, presso lo studio dell'avvocato RUDEL RAUL, che li difende unitamente all'avvocato PAOLO FERRATI, giusta delega in atti; 
- controricorrenti - 
 
avverso la sentenza n. 195/03 della Corte d'Appello di MILANO, SEZIONE 1^ CIVILE emessa l'11/6/2002, depositata il 24/01/03; rg. 3318/99; 
 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/08 dal Consigliere Dott. Raffaele FRASCA; 
udito l'Avvocato ALDO PEREGO; 
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
Svolgimento del ricorso 
 
p.1. Nel dicembre 1999 L.R.U. e R.T., in proprio e quali esercenti la potestà parentale sul figlio minore L.R.T. interponevano appello avanti alla Corte d'Appello di Milano nei confronti di C.F. e della Zurigo Assicurazioni s.a. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Monza aveva parzialmente accolto la domanda di risarcimento danni proposta nella detta qualità in relazione al danno subito dal minore e da essi appellanti in proprio, in conseguenza del sinistro avvenuto in (OMISSIS) l'(OMISSIS), allorchè L.R.T., nel mentre attraversava a piedi la via (OMISSIS), era stato investito dall'autovettura condotta dal C. ed assicurata presso la detta società. 
Il Tribunale di Monza, nella resistenza alla domanda dei convenuti C. e Zurigo Assicurazioni, dopo aver concesso agli attori una provvisionale di L. 60.000.000 ed ordinato alla Zurigo il pagamento di L. 370.000.000, aveva disposto consulenza tecnica medica d'ufficio sulla persona del minore e, quindi, accolto parzialmente la domanda, riconoscendo un concorso di colpa del minore e del C. nella causazione del sinistro e, dato atto che, a seguito di pagamento di acconti, erano state versate complessivamente L. 500.000.000, aveva condannato i convenuti al pagamento dell'ulteriore somma di L. 46.974.500. 
La Corte d'Appello, nel contraddittorio del C. e della Zurigo dopo una prima rimessione in decisione della causa, ne disponeva la rimessione sul ruolo istruttorio e dava corso ad una consulenza tecnica cinematica per l'accertamento delle esatte modalità del sinistro. 
Con sentenza del 24 gennaio 2003 la Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dopo aver dato atto del pagamento della somma di L. 500.000.000 condannava il C. e la Zurigo al pagamento in solido a favore dei genitori appellanti dell'ulteriore somma di L. 242.299.500 oltre accessori. p.2. Contro questa sentenza hanno proposto congiunto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi L.R.U., R.T. e L.R.T., frattanto divenuto maggiorenne. 
Hanno resistito con congiunto controricorso il C. a la Zurigo Assicurazioni s.a.. 
 
Motivi della decisione 
 
p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, "violazione e falsa applicazione delle norme di diritto (di) cui agli artt. 2043 e 2054 c.c., e contestuale e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia inerente l'accertamento della responsabilità del convenuto C.F.", perchè avrebbe ritenuto che il sinistro era da addebitare nella misura del 50% al C. ed a L.R.T. ponendo in essere "un accertamento delle rispettive responsabilità in misura non aderente alle risultanze dell'attività istruttoria espletata in entrambi i gradi di giudizio". 
Nell'illustrazione del motivo, dopo avere riferito che tale accertamento si sarebbe basato sulle risultanze della consulenza tecnica cinematica, che, però non avrebbe "dato il dovuto peso a circostanze essenziali ai fini della corretta ricostruzione della dinamica del sinistro", si assume che la planimetria in atti a suo tempo redatta dai vigili urbani presenterebbe vari errori e lacune e si passa, quindi, ad elencarli, partendo in primo luogo dalla enunciazione di una serie di riferimenti a risultanze della planimetria, che vengono fatte oggetto di talune considerazioni, e, quindi, assumendo che "dalle considerazioni (...) svolte e dall'esame della documentazione" si evincerebbero dati oggettivi che evidenzierebbero una dinamica del sinistro che paleserebbe che il punto in cui il veicolo urtò il minore sarebbe stato diverso da quello indicato nella planimetria e ritenuto dal C.T.U. Si assume ancora che la velocità del veicolo farebbe stata quella ritenuta dal et. di parte nella relazione depositata unitamente ad una memoria autorizzata depositata in appello, cioè di 60 - 63 km/h e da tanto si deduce che se la velocità fosse stata contenuta nel limite di 50 km/h, vigente in centro abitato, l'urto si sarebbe potuto evitare, nonchè che se il C. si fosse tenuto accostato al margine destro della strada non si sarebbe verificata "la fase violenta dell'urto" o esso non si sarebbe verificato con le modalità catastrofiche con cui si era verificato. 
Si rivolgono, quindi, una serie di critiche alla c.t.u. (pagine 10-11) e, quindi, sull'assunto della sua insufficienza e lacunosità, si sostiene che l'accertata eguale responsabilità del C. e del minore nella causazione sarebbe stata erroneamente ritenuta ed i rilievi svolti avrebbero dovuto indurre ad escludere la responsabilità del minore o a contenerla nella misura del 20% "ed in ogni caso in misura non superiore a quella già accertata nelle precedenti fasi di giudizio". p.1.1. Il motivo, per il modo in cui è articolato, è inammissibile per una serie di gradate ragioni. 
Premesso che la sua esposizione, pur denunciando anche un vizio di violazione di norme di diritto, in effetti si risolve soltanto nella enunciazione di pretesi vizi della ricostruzione del fatto storico derivanti da erronea valutazione delle risultanze istruttorie, che avrebbero determinato vizi di motivazione in ordine ad essa e, dunque, esclusivamente nella prospettazione di un vizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, (ma le considerazioni che si verranno svolgendo non avrebbero potuto essere diverse ove vi fosse stata anche l'effettiva deduzione di un vizio di violazione di norme di diritto), si deve, in primo luogo osservare che detta esposizione non contiene alcuna indicazione delle parti della motivazione della sentenza impugnata nelle quali si evidenzierebbe la dedotta erronea valutazione delle risultanze istruttorie e, quindi, si dovrebbe cogliere il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., citato n. 5. 
E' stato già affermato che in generale la deduzione di un qualsiasi vizio di impugnazione di una decisione giurisdizionale, concretandosi in una critica ad essa, comporta necessariamente nella sua articolazione che del suo contenuto o della eventuale carenza di un suo contenuto ci si faccia carico e poichè ciò implica l'indicazione di quella parte della decisione esistente od omessa che si assume erronea e, quindi, è oggetto di critica, è di tutta evidenza che il motivo di impugnazione che non specifichi, richiamandola direttamente o almeno riassuntivamente la parte di motivazione erronea o specificando per quale parte essa sia stata omessa, si configura come un non-motivo e, pertanto, non è idoneo al raggiungimento dello scopo (alla stregua dell'art. 156 c.p.c.), con la conseguenza che non può essere apprezzato come tale, di modo che si determina l'inammissibilità dell'impugnazione in parte qua (in termini Cass., n. 359 del 2005, seguita da altre conformi). 
Ora, nella specie, essendosi enunciata nell'intestazione del motivo l'esistenza di un vizio di motivazione per contraddittorietà, la sua esposizione avrebbe dovuto indicare la parte della motivazione della sentenza caratterizzata da tale vizio, mentre all'enunciazione del vizio (nella pagina 4 ed all'inizio della pagina 5) non segue alcuna indicazione a questo scopo, sicchè il lettore del motivo e, quindi, la Corte in primo luogo e la parte resistente in secondo luogo sono inammissibilmente rimandati ad individuare a quale parte di tale motivazione si potrebbe ipoteticamente riferire la critica, con la conseguenza che l'oggetto della "domanda" rivolta alla Corte di cassazione con il ricorso ai sensi dell'art. 360 c.p.c., risulterebbe individuato aliunde sul piano oggettivo, ma - con ancora maggiore incongruenza rispetto alla logica del motivo di impugnazione per come evidenziata poco sopra - da soggetti diversi dal ricorrente. il motivo è, pertanto, per ciò solo inammissibile. 
Se pure fosse superabile tale ragione di inammissibilità, una volta considerato che l'esposizione del motivo addebita il vizio di motivazione ad un'erronea attribuzione di valore alle risultanze della consulenza tecnica in contrasto con risultanze probatorie desumibili da rilievi fotografici, dalla planimetria redatta dai vigili urbani e dai rilievi formulati in una relazione peritale di parte, acquisirebbero, del resto, rilievo in funzione di gradate ragioni di inammissibilità alcuni tralatici principi di diritto della giurisprudenza di questa Corte. 
Per ciò che attiene all'erronea valutazione della consulenza tecnica d'ufficio cinematica, quello secondo cui "in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l'ha recepita) ha l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente d'ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (da ultimo, Cass. n. 13845 del 2007). Ancora, in una logica non dissimile: la parte che in sede di legittimità si duole della acritica adesione del giudice alla consulenza tecnica, pur in presenza di deduzioni comportanti uno specifico esame, non può limitarsi a lamentare genericamente l'inadeguatezza della motivazione, ma, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere limitato del relativo mezzo di impugnazione, ha l'onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto a cui essa invoca il controllo di logicità, riportando per esteso le pertinenti parti della consulenza tecnica ritenute insufficientemente o erroneamente valutate e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, per consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione, esaurendosi diversamente la doglianza nell'invito ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione delle prove (Cass. n. 4885 del 2006). Con riguardo ai riferimenti del motivo ai rilievi fotografici ed alla planimetria redatta dai vigili urbani, assume rilievo il principio di diritto secondo cui con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione dev'essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità,essa è rinvenibile. L'esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell'autosufficienza, si giustificava al lume della previsione dell'art. 369 c.p.c., comma 2, vecchio n. 4, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l'improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi del primo comma dell'art. 372 c.p.c.". (Cass. n. 12239 del 2007). Ora, nella specie, se pure si può ritenere che l'autosufficienza sia osservata sotto il primo aspetto (e ciò anche per i rilievi fotografici, riguardo ai quali si indica il contenuto rappresentativo che si vorrebbe valutato), risulta del tutto inosservata sotto il secondo aspetto. Anche quanto all'elaborato peritale di parte cui si accenna nel motivo risulta omessa l'indicazione della sede processuale dei fascicoli delle fasi di merito in cui sarebbe rinvenibile. p.2. Con il secondo motivo ci si duole, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, di "violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all'art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, e contestuale contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in ordine al mancato riconoscimento dei danni morali in capo ai genitori": la Corte d'Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda proposta dai genitori di L.R.T. pareva "più attingere ai profili del danno biologico iure proprio che non a quelli del danno morale" e che questo danno sarebbe stato, invece, invocato con domanda nuova nel giudizio di appello. Viceversa - ed in ciò si configurerebbe la violazione dell'art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, - tale domanda sarebbe stata già introdotta "nel corso del primo grado di giudizio", tenuto conto che il Tribunale di Monza aveva precisato che la generica domanda risarcitoria era "in astratto idonea a ricomprendere anche il danno derivato ai congiunti" ed aveva poi negato il risarcimento perchè "nessuna prova di tale danno è stata fornita in corso di causa". Il danno in questione, evidentemente, ad avviso dei coniugi ricorrenti sarebbe stato negato solo nel presupposto che la colpa del C. era stata individuata in base alla presunzione di cui all'art. 2054 c.c., comma 1. Al contrario, essendo avvenuta l'imputazione di colpa in appello con riconoscimento in concreto della parte di responsabilità, il danno morale avrebbe dovuto essere liquidato, Nell'atto di appello (pagina 3) si era, del resto, chiesto il riconoscimento del danno morale per l'esistenza di una colpa imputabile al C. e al fatto che il suo eccesso di velocità integrasse un reato. Si invoca, altresì, Cass. sez. un. n. 9556 del 2002, che ha attribuito ai prossimi congiunti della vittima di lesioni colpose il danno morale quale conseguenza normale ed ordinaria del fatto di reato. p.2.1. Il motivo, che riguarda soltanto le domande proposte da L.R.U. e da R.T., è fondato nel profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte d'Appello - la cui motivazione questa volta viene correttamente evocata nell'esposizione del motivo - ha escluso il riconoscimento del danno morale ai predetti con la seguente affermazione: "relativamente al danno morale richiesto a favore dei genitori rileva questa Corte che la richiesta è stata avanzata adducendo che per curare il piccolo e per seguirlo nei pellegrinaggi nei diversi ospedali il sig. L.R.U. ha subito un aggravamento delle malattie che lo affliggevano sino a portarlo ad una operazione al cuore, nonchè a perdere il posto di lavoro a causa delle numerose assenze. Anche per questa, motivazione si chiede CTU medico legale sulla persona del signor L.R.U. (pagina 4 atto di appello); ed osserva in proposito che, in tal guisa determinato il profilo della domanda, essa pare più attingere ai concetti del danno biologico iure proprio che non a quelli del danno morale e così facendo introduce di certo una domanda nuova che in quanto tale non può assolutamente trovare ingresso". Questa motivazione va intesa nel senso che i fatti che nell'atto di appello erano stati indicati come idonei ad evidenziare il danno morale iure proprio risentito dai genitori dell'allora minore in realtà evidenziavano fatti costitutivi di un danno biologico iure proprio dei medesimi (o meglio del L.R.U.) e che in relazione ad una domanda di riconoscimento di questo danno sussisteva una domanda nuova dedotta in appello. In disparte ogni questione sul se una simile domanda potesse scorgersi introdotta con queste allegazioni (che è questione non dedotta con il motivo), la motivazione, però, non si interroga in alcun modo sul se queste stesse circostanza, e, comunque, quelle oggetto di giudizio in relazione al fatto storico giudicato (che certamente, secondo un'interpretazione doverosa del capo di domanda dovevano ritenersi implicitamente evocate a suo sostegno) potevano considerarsi idonee ad evidenziare elementi idonei alla liquidazione del danno morale invocato, che, si badi, la stessa sentenza, dice poco prima del passo riportato, richiesto fin dal primo grado di giudizio e rigettata dal Tribunale perchè la responsabilità del C. era stata accertata in via presuntiva (limite, peraltro, poi superato dalla giurisprudenza di questa Corte). Ora, a far tempo da Cass. sez. un. n. 9556 del 2002, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio che "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il responsabile" (in senso conforme, Cass. n. 2388 del 2003; n. 19316 del 2005). Cass. n. 19316 del 2005, ha, poi, ricordato in motivazione, con riferimento al problema della prova del danno in discorso, che "in tema di risarcimento del danno, ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. In tal caso, costituendo il danno morale un patema d'animo e quindi una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte, non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti d'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto; il più delle volte va invece accertato in base ad indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità. Ne consegue che il giudice di merito non può escludere l'esistenza del danno morale dei prossimi congiunti sulla base della sola considerazione che, a sostegno dello stesso, non esistono che indizi, ma deve valutare se da detti indizi possa giungersi ad una prova presuntiva del danno morale stesso" (così Cass. n. 11001 del 2003; in senso conforme Cass. n. 23291 del 2004 e n. 10996 del 2003; in senso analogo, da ultimo, Cass. n. 13754 del 2006; n. 23865 del 2006; d'altro canto Cass. n. 14581 del 2007 ha ben messo in evidenza che danno morale e danno biologico sono distinti, come, del resto ha supposto la Corte meneghina). 
Ebbene, nella specie, una volta considerato che una domanda per danno morale iure proprio esisteva pacificamente fin dal giudizio di primo grado, del tutto contraddittoriamente la Corte d'Appello di Milano ha, per un verso imputato le allegazioni di cui al passo riportato dell'atto di appello ad un danno biologico ed omesso di valutarle come elementi idonei, più che alla dimostrazione (atteso che le gravissime lesioni invalidanti subite dal minore certamente evidenziavano il presupposto di un danno morale, per la semplice ragione che un genitore non può non subire gravissimo patema d'animo se il figlio, per di più minorenne, subisca una grave invalidità), alla integrazione del presupposto per la liquidazione del danno, che la cennata giurisprudenza configura quando si tratti di lesioni seriamente invalidanti. 
La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in accoglimento del profilo del motivo ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto un danno morale per i due genitori era certamente configurabile. La Corte di rinvio provvederà, pertanto, previa valutazione delle risultanze in atti, ivi comprese se del caso quelle allegate nell'indicato passo dell'atto di appello, e comunque tenendo conto della notevole gravità delle lesioni invalidanti, alla sua liquidazione, tenendo presente i principi di cui alla giurisprudenza sopra citata. p.3. Il terzo motivo denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, "contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia inerente il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro in capo ai genitori". 
Si censura la motivazione della sentenza impugnata per avere negato l'esistenza di tale danno perchè "la costruzione proposta dagli appellanti" sarebbe stata del tutto "teorica ed ipotetica" e perchè non avrebbe tenuto conto neppure a livello di semplice allegazione della possibile presenza di altri figli e di un possibile stato di bisogno. La motivazione sarebbe contraddittoria perchè ai fini della dimostrazione di quest'ultimo sarebbe stata allegata documentazione ed in particolare il documento n. 4 rappresentato dalla iscrizione alla lista di disoccupazione, mentre già in primo grado era stato specificato che l'unica fonte di reddito era rappresentato dal lavoro di L.R.U., poi venuto meno nel corso del giudizio di appello per il suo licenziamento, che si era richiesto di provare per testi in appello, senza che la richiesta fosse accolta. Ne seguirebbe che "l'attività giudiziaria di parte e la documentazione in atti contrasterebbero pertanto in maniera evidente con quanto motivato dalla Corte d'Appello" e per tale ragione sussisterebbe la contraddittorietà di motivazione sull'an del danno in questione. Nel quantum la prova di simile specie di danno andrebbe data a mezzo di presunzioni e nella specie sarebbe stato del tutto verosimile che il figlio, raggiunta l'età adulta, avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia. Si invoca ancora Cass. n. 2962 del 2002, là dove ha ritenuto che il danno patrimoniale futuro sussisterebbe anche allorquando i genitori abbiano redditi sufficienti ai propri bisogni, dovendosi escludere solo se dalla valutazione del caso concreto risulti che tali redditi resteranno invariati in futuro. Poichè il L.R.U. era disoccupato e la R. casalinga, tale situazione non sarebbe ricorsa. p.3.1. La motivazione con cui la sentenza impugnata ha negato il risarcimento - questa volta evocata dall'esposizione del motivo - è esattamente la seguente: "quanto alla mancata liquidazione del danno patrimoniale futuro in capo a genitori, una volta individuato tale danno nel venire meno delle aspettative dei genitori di poter beneficiare di un contributo economico da parte del figlio secondo un criterio di normale causalità, rileva la Corte che la infondatezza di tale motivo di doglianza viene a coincidere con la considerazione secondo la quale la costruzione proposta dagli appellanti appare del tutto teorica ed ipotetica e non tiene conto, neanche a livello di semplice allegazione, della possibile presenza di altri figli nè di un altrettanto indimostrato stato di bisogno". 
La critica a questa motivazione, per come articolata nell'esposizione del motivo, non è del tutto fedele alla sua intestazione. 
Essa, conforme a quest'ultima, si muove effettivamente su questo piano, là dove fa riferimento all'omessa considerazione di risultanze probatorie che sarebbero state indicate per dimostrare tale danno. Tuttavia, nella seconda parte della sua esposizione, pur riferendo la deduzione alla liquidazione del danno, piuttosto che alla sua dimostrazione, il motivo, là dove richiama il precedente di questa Corte poco sopra citato, in realtà censura la motivazione della sentenza impugnata perchè essa ha sostanzialmente violato il principio di diritto che viene in rilievo - sotto il paradigma normativo di cui all'art. 1223 c.c., che si deve sostanzialmente ritenere invocato proprio per il tramite della invocazione di quel precedente - ai fini del riconoscimento di un danno patrimoniale futuro ai genitori. 
Sotto quest'ultimo aspetto, che è preliminare, avuto riguardo alla motivazione enunciata dalla Corte territoriale, il motivo è fondato, con la conseguenza che resta assorbita la censura effettivamente riconducibile all'art. 360 c.p.c., n. 5. 
Con specifico riferimento al danno patrimoniale futuro dei genitori per lesione invalidante subita dal figlio, questa Corte ha, infatti, affermato che "la circostanza che i genitori di persona rimasta gravemente minorata in conseguenza dell'altrui atto illecito non abbiano, fino al momento delle lesioni, avuto bisogno dell'aiuto economico della vittima, non è da sola sufficiente ad escludere l'esistenza di un danno patrimoniale futuro in capo ai congiunti. La liquidazione di tale danno dovrà invece essere accordata dal giudice quando risulti, anche in base a fatti notori e dati di comune esperienza, che una contribuzione della vittima in favore dei genitori sarebbe stata possibile e verosimile, tenendo conto anche delle somme liquidate al leso a titolo di risarcimento del danno da perduta capacità di produrre reddito" (Cass. n. 13358 del 1999). 
Questo principio ha - quanto al presupposto di individuazione del danno - avuto numerose conferme a proposito di danno da morte del figlio, essendosi precisato che un risarcimento del danno patrimoniale futuro compete qualora questo, sulla scorta di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, di parametri di regolarità causale (Cass. n. 4791 del 2007). 
Cass. n. 8333 del 2004 ha affermato, in particolare, che "i genitori di persona minore d'età, deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro provocato.... dalla frustrazione dell'aspettativa ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso, hanno l'onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla età loro e del defunto, alla prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio". 
Cass. n. 2962 del 2002, citata dai ricorrenti (i quali erroneamente le attribuiscono rilievo ai fini non del riconoscimento dell'esistenza del danno, bensì della sua liquidazione), ha affermato, in una logica non dissimile che "il diritto al risarcimento del danno patrimoniale subito dai genitori di un minore deceduto in conseguenza di un fatto illecito si sostanzia nel venir meno delle aspettative di un contributo economico che, secondo un criterio di normalità, la vittima avrebbe destinato a loro beneficio. A tal fine non rileva che i genitori stessi dispongano, al momento dell'evento, di fonti di reddito tali da rendere inutile qualsiasi contributo del figlio, salvo che la valutazione complessiva non consenta di presumere, al riguardo, l'assenza di mutamenti del quadro nel corso degli anni". 
Ora, alla luce di tali principi e specie in considerazione della circostanza della sussistenza nella specie di una notevole gravità dell'invalidità conseguita alle lesioni, la motivazione della sentenza impugnata è errata in diritto, là dove ha attribuito rilievo decisivo alla mancanza di dati sulla presenza di altri figli e alla mancata dimostrazione di uno stato di bisogno, che nel silenzio della motivazione, va inteso come attuale. L'incertezza sull'esistenza di altri figli, infatti, può giocare solo ai fini della determinazione dell'ammontare del danno ma non può assurgere a circostanza che ne esclude automaticamente la sussistenza. La mancanza di uno stato di bisogno attuale è elemento non ostativo a quest'ultima, atteso che essa si proietta nel futuro. 
La sentenza impugnata dev'essere, dunque, cassata quanto al rapporto processuale fra i ricorrenti genitori ed i convenuti e la corte di rinvio procederà, nei limiti consentiti dalla natura del giudizio di rinvio ed in applicazione dei principi di diritto sopra richiamati ad accertare se sia configurabile un danno patrimoniale futuro dei detti genitori. p.4. Con il quarto motivo si deduce in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, "omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia inerente il mancato riconoscimento delle spese mediche future in favore del L.R.T.", in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulle spese mediche future che erano state richieste all'atto della precisazione delle conclusioni e di cui si sarebbe fornita puntuale documentazione tramite fatture, prodotte come documento n. 8 del prof. M.. Al fine di dare dimostrazione che L.R.T. necessitava del trattamento terapeutico descritto nelle fatture era stata richiesta prova testimoniale sul capitolo n. 3 riportato nella citazione in appello, ma la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto. p.4.1. Il motivo non merita accoglimento. 
La sentenza impugnata risulta aver confermato la valutazione del primo giudice in ordine al riconoscimento - sulla base della relazione del 23 maggio 1995 - di L. 35.000.000 a titolo di spese mediche future, mentre non riferisce di un motivo di impugnazione in proposito. Di esso non riferisce nemmeno l'esposizione del motivo che, del resto, allude ad una richiesta formulata in sede di precisazione delle conclusioni. Si deve, dunque, supporre che sul punto non vi fosse stata alcuna impugnazione e, poichè non risulta nemmeno dedotto che la necessità di liquidazione di ulteriori spese in qualche modo si potesse sottrarre alla formazione del giudicato interno (come si potrebbe immaginare se fosse dipesa da aggravamento sopravvenuti al giudicato e non considerati nella liquidazione), il motivo si presenta del tutto privo di aderenza alla motivazione della sentenza, a parte i rilievi che potrebbe meritare in punto di carenza di autosufficienza. p.5. Conclusivamente, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del secondo e del terzo motivo limitatamente al rapporto processuale fra L.R.U. e R.T. da un lato e i resistenti dall'altro. 
Il primo ed il quarto motivo sono rigettati. 
Il giudice di rinvio provvederà al regolamento delle spese del giudizio di cassazione quanto al rapporto processuale fra i predetti, mentre le spese del giudizio si intendono compensate riguardo al rapporto processuale fra L.R.T. ed i resistenti, ricorrendo al riguardo giusti motivi. 
 
P.Q.M. 
 
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti in riferimento al rapporto processuale fra i ricorrenti L.R.U. e R.T. da un lato ed i resistenti dall'altro, rinviando all'uopo alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione. Compensa le spese nel rapporto fra il ricorrente L.R.T. ed i resistenti. 
 
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 gennaio 2008. 
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2008