App. Roma Sez. III, 19.02.2008



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
CORTE D'APPELLO DI ROMA 
SEZIONE TERZA CIVILE 
 
Così composta: 
Dottor MARIO BOVE - Presidente relatore estensore - 
Dottor ENNIO FIORE - Consigliere - 
Dottor ANDREA CALABRIA - Consigliere - 
 
Riunita in Camera di Consig lio ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Nella causa civile di secondo grado, iscritta al n. 446 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2004, trattenuta in decisione in data 06 febbraio 2008, e vertente 
TRA 
GA.CA. 
BO.LU. 
BO.GI. 
Elettivamente domiciliati in Roma, Viale (omissis), presso lo studio dell'avvocato Gi.Bo., rappresentati e difesi per procura sull'atto d'appello dall'avvocato Gi.Fe. ed dall'avvocato Ir.Fe. del Foro di Latina. 
APPELLANTI 
E 
RA. S.p.A., che ha incorporato L'IT.AS. S.p.A., In persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Milano, Corso (omissis), elettivamente domiciliata in Roma, Via (omissis), presso lo studio dell'avvocato Gi.Sp., che la rappresenta e difende per procura sulla copia notificata dell'atto di citazione in appello. 
APPELLATA 
E 
AD.FR. 
Elettivamente domiciliato in Roma, Via (omissis), presso lo studio dell'avvocato An.Ru., rappresentato e difeso dall'avvocato Al.Do. del Foro di Latina per procura sulla comparsa di costituzione e risposta in appello. 
APPELLATO 
 
OGGETTO: risarcimento del danno. 
 
Appello avverso la sentenza n. 2651, emessa fra le parti in data 19 - 29 novembre 2002 dal Giudice Unico del Tribunale Civile di Latina, sezione II. 
 
Svolgimento del processo 
 
Con atto di citazione, notificato in data 21 e 23 maggio 1998, Ca.Ga., Lu.Bo. e Gi.Bo. convenivano in giudizio la S.p.A. L'It.As., incorporata, poi, nella Ra., e Fr.Ad. avanti al Tribunale di Latina. 
Esponevano che verso le ore 10:30 del 5 luglio 1996 la vettura (omissis), di proprietà di Gi.Bo., condotta dalla moglie Ca.Ga. con a bordo, quale trasportata la figlia El.Bo., in territorio di Latina sulla S.S. n. 156 Monti Lepini con direzione di marcia Borgo San Michele, era stata tamponata e proiettata contro un albero, sito al margine del fossato, dall'auto (omissis), assicurata per la r.c.a. con la S.p.A. L'It.As., condotta dal proprietario Fr.Ad. 
Lamentavano che, in seguito all'incidente, la trasportata El.Bo. era deceduta e la vettura (omissis) era rimasta distrutta. 
Chiedevano, pertanto, che Fr.Ad. fosse dichiarato responsabile dell'incidente e condannato in solido con la S.p.A. L'It.As. al risarcimento dei danni. 
Si costituiva la S.p.A. L'It.As., che non contestava la responsabilità del proprietario della vettura dalla stessa assicurata, ma il solo quantum e chiedeva il rigetto della domanda, deducendo d'aver equamente risarcito il danno con il versamento della somma di Lire 307.000.000, che gli attori avevano accettato a titolo d'acconto sul maggior avere. 
Successivamente l'assicurazione versava ai danneggiati l'ulteriore importo di Lire 250.000.000, che gli attori del pari accettavano a titolo d'acconto sul maggior avere. 
Il convenuto Fr.Ad., ritualmente citato, rimaneva contumace. 
Istruita la causa, il Giudice Unico del Tribunale adito con la sentenza n. 2651, emessa fra le parti in data 19 - 29 novembre 2002, dichiarava Gi.Bo. responsabile del sinistro stradale in esame e dichiarava cessata la materia del contendere sulle domande, avanzate da Ca.Ga., Lu.Bo. e Gi.Bo., con compensazione delle spese del giudizio fra le parti. 
Con atto, notificato alla S.p.A. Ra., che aveva incorporato la S.p.A. L'It.As., ed a Fr.Ad. in data 13 gennaio 2004, Ca.Ga., Lu.Bo. e Gi.Bo. presentavano appello, lamentando con quattro motivi l'erroneità della sentenza impugnata, di cui chiedevano la riforma. 
Costituitosi il contraddittorio, gli appellati chiedevano il rigetto dell'appello, di cui assumevano l'infondatezza in fatto e in diritto, con conferma della gravata sentenza. 
Acquisitosi il fascicolo di primo grado, e mutato il rito da ordinario in quello del lavoro, ai sensi dell'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, ed assegnato il termine perentorio, di cui agli articoli 426 e 667 c.p.c., per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante la produzione di memorie, all'udienza in data 06 febbraio 2008 le parti precisavano e motivavano le rispettive conclusioni e, quindi, il Collegio decideva la causa, dando immediata lettura del dispositivo. 
 
Motivi della decisione
 
Gli appellanti col primo motivo di doglianza hanno censurato la gravata sentenza, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'articolo 32 della Costituzione e dell'articolo 2043 c.c. e seguenti per non avere il primo Giudice riconosciuto il domandato risarcimento del danno biologico iure hereditatis, in considerazione dell'immediato decesso della loro congiunta El.Bo. al momento dell'incidente stradale. Deducevano che, seppure la giurisprudenza della Corte di Cassazione, cui ha aderito il primo Giudice, è orientata nel senso che è escluso il risarcimento del danno biologico iure hereditatis in caso di lesioni, che hanno comportato l'immediato decesso della vittima ovvero a breve distanza dall'evento, il c.d. orientamento positivo ammette la risarcibilità del danno in esame anche nell'ipotesi della morte istantanea. All'uopo, deducevano che, seppure la restituito in integrum non può operare nei confronti della persona deceduta, poiché solo in una realtà virtuale potrebbe essere immaginata la restituito in vita, e, quindi, la sussistenza di un risarcimento in grado di riportare il defunto ad una condizione il più possibile vicina a quella antecedente al tragico evento, evidenziavano che lo stesso problema potrebbe essere posto per il risarcimento del danno biologico e morale per il danneggiato rimasto in vita, quale l'esperto scalatore, che ha riportato lesioni da farlo divenire paraplegico con sua conseguente impossibilità di tornare sulle vette delle montagne o la madre, divenuta cieca, che non potrà più vedere il figlio etc. e che in questi e similari casi il risarcimento integrale del danno è una finzione, un artificio, per cui, almeno sul piano logico giuridico, la restituito in integrum può trovare applicazione. Aggiungevano che la responsabilità civile, attraverso la sanzione del risarcimento dei danni, attua la sua funzione di prevenzione e d'autoregolamentazione del comportamento dei consociati, ai quali, pertanto, non conviene provocare danni e che la funzione riparatoria del risarcimento dei danni comporta la possibilità d'ipotizzare il risarcimento del danno anche per la perdita della vita, che è l'evento più grave, che può essere subito dalla persona. Rilevavano ancora che questa Corte di Appello con la sentenza in data 02/06/1994 (rimasta isolata) ed il Tribunale di Roma con le sentenze in data 24/05/1988 e 03/05/1988, hanno riconosciuto che la morte, conseguente alle lesioni, riportate in un incidente stradale, comporta il risarcimento del danno biologico trasmissibile agli eredi e che il Tribunale di Massa Carrara con la sentenza in data 02/06/1994, il Tribunale di Civitavecchia con la sentenza in data 26/02/1996, il Tribunale di Cassino con la sentenza in data 08/04/1994 ed il Tribunale di Firenze con la sentenza in data 18/11/1991 hanno riconosciuto tale trasmissione anche quando la vittima sia deceduta sul colpo. In ultimo evidenziavano che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 ha affermato che il Legislatore non può limitare la tutela risarcitoria alla violazione dei diritti dichiarati costituzionalmente fondamentali e che la morte è la menomazione totale del diritto alla salute, non ristretto alla mera integrità fisica e psichica, ma esteso anche al benessere sociale e che, pertanto, il danno biologico da morte va risarcito, ai sensi degli articoli 32 della Costituzione e 2043 c.c. Facevano presente che la tesi della trasmissione del risarcimento del danno biologico iure hereditatis presuppone che il credito risarcitorio sia sorto contestualmente al perfezionarsi dell'illecito; che l'evento morte sia lesivo del diritto alla salute; che il danno morte sia un danno evento e che la natura del diritto risarcitorio sia quella di un diritto di credito a contenuto patrimoniale ovvero d'interesse o d'utilità meritevoli di tutela. Deducevano che tali requisiti sono presenti nel caso in esame e che, conseguentemente, va accolta la presente domanda di risarcimento del danno biologico iure successionis. Il primo motivo di lamentela è infondato e va, di conseguenza, disatteso. In via preliminare va rilevato che la prima parte del motivo di gravame in esame, peraltro, di carattere meramente teorico, non è fondato su concreti ed attuali elementi e che le riportate sentenze dei Giudici di merito, che sono di vecchia data, sono superate dall'attuale costante giurisprudenza di merito e di legittimità, come, peraltro, riconosciuto dagli stessi appellanti.
La lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, in vero, non è configurabile com e danno biologico, poiché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita. Nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose, subite dalla vittima dell'evento dannoso, e la morte, causata dalle lesioni stesse, è, invece, configurabile un danno biologico risarcibile al danneggiato, e questo va liquidato in relazione alla menomazione dell'integrità psicofisica, patita dalla vittima per quel periodo di tempo, per cui tale risarcimento si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiale iure hereditatis (vedi Cassazione Civile, sezione III, 22 marzo 2007, n. 6946). In questo caso, l'ammontare del danno biologico terminale sarà commisurato soltanto all'inabilità temporanea, e, tuttavia, la sua liquidazione, nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, dovrà essere commisurata al fatto che, seppure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte (vedi Cassazione Civile, sezione III, 28 aprile 2006, n. 9959). In ultimo va rilevato che, in caso di morte della vittima a seguito di sinistro stradale, la brevità del periodo di sopravvivenza alle lesioni esclude l'apprezzabilità, ai fini risarcitori, del deterioramento della qualità della vita in ragione del pregiudizio della salute, ostando alla configurabilità di un danno biologico risarcibile. La brevità della sopravvivenza non esclude, però, che la vittima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenza, per cui il diritto al risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta già entrato a far parte del suo patrimonio al momento della morte, e può essere, conseguentemente, fatto valere iure hereditatis (vedi Cassazione Civile, sezione III,31 maggio 2005, n. 11601). Nel caso in esame la morte per la giovane vittima è stata caratterizzata dall'immediatezza, per cui la mancanza di una breve sopravvivenza anche di un'ora o due esclude, altresì, il riconoscimento del danno iure hereditatis sotto il profilo del danno morale. Gli appellanti col secondo motivo di doglianza hanno censurato la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 196 c.p.c., per errata valutazione del danno e per difetto di motivazione sul risarcimento del danno biologico, spettante iure proprio ai congiunti della vittima, quale lesione dell'integrità fisica o psichica, conseguente alla morte del familiare. Lamentavano che il primo Giudice non aveva considerato né valutato la c.t. di parte attrice, che aveva concluso per la sussistenza di un danno biologico del 25% per Lu.Bo. e del 20% per Ca.Ga., ed aveva considerato la sola c.t.u., che aveva ritenuto un danno biologico dell'8% per Lu.Bo. e del 10% per Ca.Ga. con conseguente necessità, stante le dette rilevanti sproporzione di valutazione, di disporre una nuova c.t.u. Il secondo motivo di lamentela è infondato e va, di conseguenza, disatteso. In proposito s'osserva che con la sentenza 24 - 27 ottobre 1994, n. 372, la Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2043 c.c., sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, ha evidenziato la sussistenza della lesione della salute in forma di patologia fisio - psichica permanente dello stretto familiare o parafamiliare della vittima. Tale danno, secondo la Corte Costituzionale, trova il suo fondamento non nell'articolo 2043 c.c., ma nell'articolo 2059 c.c. alla stessa stregua del danno morale soggettivo, che, com'è noto, si esaurisce in un patema d'animo limitato nel tempo, mentre il danno alla salute psichica in esame, avente parimenti la sua causa in un danno ingiusto, risarcibile solo come pregiudizio, effettivamente conseguente ad una lesione, è originato dallo stesso momento patogeno e, cioè, dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico, che sostanzia il danno morale soggettivo. A differenza di questo, però, il danno psichico non si esaurisce in un paterna d'animo transeunte, poiché, a causa di antecedenti particolari e dimostrate condizioni del soggetto passivo, quali debolezza cardiaca, fragilità nervosa età, il detto processo patogeno degenera in un trauma fisico o psichico di carattere permanente, "alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali", come pregiudizio effettivamente conseguente alla lesione, ha precisato la Corte Costituzionale "deve essere commisurato il risarcimento", che non va, quindi, limitato al solo risarcimento del danno morale in senso stretto. La Corte di Cassazione, però, ha precisato che la menomazione dell'integrità psico - fisica dei congiunti, in seguito alla morte del familiare dell'offeso, si sostanzia in un danno biologico, poiché i congiunti, conseguentemente alla morte del familiare, subiscono un pregiudizio, che ben potendo derivare dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico, che integra il danno morale soggettivo, da questo differisce, ed il risarcimento del detto danno biologico può essere accordato esclusivamente ove sia fornita prova che tale decesso ha inciso sulla salute dei congiunti stessi (vedi Cassazione Civile, sezione III, 12 ottobre 1998, n. 10085). Il c.t.u., come rilevato dal primo Giudice, ha correttamente concluso sull'entità del danno biologico psichico per Ca.Ga. e Lu.Bo., conseguito dalla morte della figlia, mentre la c.t. di parte si differenzia da quella d'ufficio solamente per avere attribuito una rilevante percentuale per lo stesso danno biologico senza, però, evidenziare errori od omissioni nell'elaborato dell'ausiliare tanto da giustificare diverse conclusioni. Gli appellanti col terzo motivo di doglianza hanno censurato la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 2059, 315, 433, 438 e 441 c.c. e per difetto di motivazione, avendo il primo Giudice escluso il danno patrimoniale da mancata contribuzione futura della vittima a vantaggio dei suoi familiari sulla mera base dell'inesistenza di concreti elementi, atti a far desumere che la giovane vittima nel futuro avrebbe potuto contribuire ai bisogni della famiglia. Il terzo motivo di lamentela è infondato e va, di conseguenza, disatteso. S'osserva in via preliminare che il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali ed extrapatrimoniali compete jure proprio a tutti coloro che abbiano subito un grave perturbamento per la morte di un congiunto in un incidente stradale, sia a causa del trauma psichico subito sia per la privazione di sostegno morale, sia, infine, per la perdita di un'entrata, che si sarebbe ragionevolmente presunta come duraturo contributo economico, proveniente dall'attività lavorativa del defunto, a nulla rilevando il fatto della convivenza con questo ultimo o la qualità di erede di colui, cui spetta tale risarcimento. Gli appellanti, attraverso la prodotta documentazione, hanno dimostrato che la loro figlia diciottenne al momento del decesso era studentessa ed aveva ottenuto il brevetto par l'assistenza ai bagnanti. Il danno patrimoniale, domandato, a norma dell'articolo 2043 c.c., dai genitori della figlia deceduta in conseguenza del fatto illecito addebitabile al terzo, comporta il chiesto risarcimento, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche, di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro. Nella specie, gli appellanti non erano a carico della figlia, deceduta a seguito dell'incidente stradale, e, tenuto conto della loro età (nati rispettivamente nel 1935 e 1944) e di quella della diciottenne figlia ed effettuata una previsione della futura attività lavorativa della defunta in base agli studi compiuti ed alle sue inclinazioni, rapportati alla posizione economico-sociale della famiglia, non sembra verosimile che questa nel futuro avrebbe contribuito alle eventuali necessità economiche dei genitori, considerato che avrebbe continuato a studiare ancora per qualche anno, rimanendo a carico dei genitori, e, quindi, presumibilmente avrebbe contratto matrimonio, sopperendo ai pesi economici dello stesso con i proventi della sua attività lavorativa. Le esposte considerazioni in sostanza ragionevolmente escludono la presunzione che in futuro gli appellanti avrebbero ricevuto dalla figlia, ove questa fosse rimasta in vita, un sostegno economico, di cui, peraltro, non avevano in concreto bisogno. Gli appellanti col quarto motivo di doglianza hanno censurato la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 2 della Costituzione e 2059 c.c. e per difetto di motivazione sul mancato risarcimento del danno da menomazione all'integrità familiare, avendo il primo Giudice ritenuto erroneamente che questo fosse compreso nella liquidazione del danno morale, effettuata, peraltro, in misura prossima a quella massima. Il quarto motivo di lamentela è infondato e va, di conseguenza, disatteso. La giurisprudenza di merito con isolate pronunce ha ritenuto che ai componenti la famiglia nucleare andasse liquidato il danno per la rottura del vincolo familiare, a seguito di morte, conseguente ad incidente automobilistico, e l'ha inteso come danno alla vita di relazione, derivante dall'ingiusta menomazione dell'integrità familiare, e l'ha distinto sia dal danno morale, conseguente alle sofferenze provocate dal decesso del congiunto, sia dal danno biologico, derivante da comprovate menomazioni fisiche o psichiche eziologicamente connesse con la morte del congiunto (vedi Tribunale Treviso, 07 agosto 2001). Nella specie il primo Giudice ha ritenuto compreso tale danno nella liquidazione del danno morale, che, come dallo stesso evidenziato, all'uopo ha liquidato in misura prossima a quella massima. Il mancato accoglimento dei motivi di doglianza comporta il rigetto dell'appello e la consequenziale conferma della gravata sentenza. Gli appellanti, stante la loro soccombenza, vanno in solido condannati al rimborso delle spese processuali, liquidate d'ufficio, in mancanza della prescritta notula, in favore della S.p.A. Ra. in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 2.250,00 per onorario d'avvocato ed Euro 250,00 per spese vive ed in favore di Fr.Ad. del pari in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 2.250,00 per onorario d'avvocato ed Euro 250,00 per spese vive, oltre I.V.A., C.P.A. ed il 12,50% per le spese generali.
 
P.Q.M.
 
LA CORTE Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, rigetta l'appello, proposto con atto di citazione, notificato alla S.p.A. Ra. ed a Fr.Ad. in data 13 gennaio 2004 da Ca.Ga., Lu.Bo. e Gi.Bo., e conferma la sentenza n. 2651, emessa fra le parti in data 19 - 29 novembre 2002 dal Giudice Unico del Tribunale Civile di Latina, sezione II. Condanna gli appellanti in solido al rimborso delle spese processuali, liquidate in favore della S.p.A. Ra. in complessivi Euro 3.000,00 ed in favore di Fr.Ad. del pari in complessivi Euro 3.000,00, oltre I.V.A., C.P.A. ed il 12,50% per le spese generali.
 
Così deciso in Roma in data 06 febbraio 2008.
Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2008.