App. Bologna Sez. Lav., 24.01.2008



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA 
SEZIONE LAVORO 
 
La Corte d'Appello di Bologna, sezione lavoro, composta dai signori Magistrati 
DOTT. Vincenzo CASTIGLIONE Presidente 
DOTT. Giovanni BENASSI Consigliere rel. 
DOTT. Bruno VARRIALE Consigliere 
 
Ha pronunciato la seguente 
 
S E N T E N Z A 
 
Nella causa civile iscritta al n. 1045 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2003, posta in decisione all'udienza collegiale del 13 dicembre 2007, promossa da: XX, titolare dell'omonima impresa edile, rappresentato e difeso per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata il 15 novembre 2000 in primo grado, dall'avvocato Maurizio Marani, presso il cui studio in Bologna, via Ugo Bassi 3, è pure elettivamente domiciliato 
APPELLANTE PRINCIPALE 
 
contro YY, in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sui figli minori, H.S. e H.M., H.M. e H.F., rappresentati e difesi, i primi due, per procura speciale ad litem rilasciata per atto notaio Aldo Della Rovere in Bologna il 16 febbraio 1996, rep. n. 25538, e la terza, per procura speciale ad litem rilasciata il 2 aprile 1997 nella sede della Cancelleria Consolare dell'Ambasciata di Italia in Tunisi (Tunisia) per atto autenticato dal competente Cancelliere Capo con funzioni di notaio, dall'avvocato Federico Gualandi, nel cui studio, in Bologna, via Rolandino 1, sono pure elettivamente domiciliati 
APPELLATI - APPELLANTI INCIDENTALI 
 
E contro 
A.S. ASSICURAZIONI S.P.A., in persona dei suoi legali rappresentanti dott. Giorgio Riva e Rita Millea, rappresenta e difesa, per mandato in calce all'appello notificato il 29 marzo 2003, dagli avvocati Sandro Zucchero del Foro di Milano e Salvatore De Bonis, elettivamente domiciliata in Bologna presso lo studio del secondo, in via del Fratello n. 9 
APPELLATA 
 
Avente ad oggetto: risarcimento danno da infortunio sul lavoro
 
CONCLUSIONI Il procuratore dell'appellante principale XX chiede e conclude: "voglia l'Ecc.ma Corte d'Appello di Bologna, Sezione del Lavoro, dichiarare errata e, pertanto, riformare la sentenza n. 965/2001 del Tribunale di Bologna, Sezione del Lavoro, nel punto in cui ha escluso, nel caso di specie, la garanzia assicurativa contemplata all'art. 12, lettera a) delle condizioni generali della polizza n. 222-494244/M, in essere fra il sig. XX e la società A.S. S.p.a., richiamando erroneamente quanto contemplato alla lettera b) del citato articolo 12, con conseguente condanna della garante, soc. A.S. S.p.a. a tenere manlevato e a garantire il signor XX , in ragione dei massimali concordati, di quanto lo stesso è stato condannato a corrispondere, a titolo di danno morale, a ciascuno dei ricorrenti, terzi danneggiati, iure proprio, per i fatti storici all'origine della vertenza per cui è giudizio; il tutto con vittoria di spese, compensi ed onorari d'avvocato, relativi anche, al pregresso giudizio di primo grado, e dichiarando, ai fini del contributo unico unificato, che la presente causa, in funzione della materia e del rito, ne è esente per legge"; Il procuratore degli appellati - appellanti incidentali chiede e conclude: "voglia dichiarare responsabile e conseguentemente condannare la ditta XX in persona del legale rappresentante e la Compagnia A.S. S.p.a., in persona del legale rappresentante, in solido tra loro, al risarcimento dei danni tutti, subiti e subenti a qualsivoglia titolo dagli attori in seguito al decesso del sig. HH , danni che fin da ora si quantificano nella complessiva somma di Lire 700.000.000- (cinquecentomilioni), pari ad Euro 361.519,83, o in quella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi se dovuti; con vittoria di spese, competenze e onorari"; Il procuratore dell'appellata A.S.A. S.p.a. chiede e conclude: "voglia la Corte di Appello di Bologna così decidere:...in via pregiudiziale dichiarare inammissibile l'appello del sig. XX, confermando la sentenza di primo grado; in subordine respingere l'appello del sig. XX come infondato, confermando la sentenza di primo grado; in ogni caso con il favore delle spese e competenze;...in via pregiudiziale dichiara inammissibile l'appello degli eredi di HH per la parte relativa alla garanzia assicurativa, confermando sul punto la sentenza di primo grado; in subordine respingere l'appello degli eredi di HH, confermando la sentenza di primo grado; in ogni caso con il favore delle spese e competenze".
 
LA CORTE D'APPELLO Udita la relazione della causa fatta dal Giudice Relatore dott. Giovanni Benassi; Udita la lettura delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti; Esaminati gli atti e i documenti di causa, ha ritenuto:
 
Svolgimento del processo
 
Con ricorso depositato l'11 aprile 2000, YY , in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori H.S. e H.M., H.M. e H.F. hanno esposto quanto segue: * Con atto di citazione notificato in data 29 agosto 1997, essi avevano convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale civile di Bologna la ditta XX chiedendone la condanna, previo accertamento della responsabilità del XX nel decesso, avvenuto in data 19 dicembre 1995, dello stretto congiunto loro dante causa HH , avvenuto a seguito di un infortunio sul lavoro, al risarcimento di tutti i danni patiti quantificati nella complessiva somma di Lire 500.000.000;
* Il sig. HH, infatti, mentre stava lavorando per conto delle ditta XX presso la quale era stato dipendente con la qualifica di operaio semplice, era rimasto coinvolto nel crollo di una struttura muraria "disarmata" prima del suo effettivo consolidamento, e, trasportato dapprima al Pronto Soccorso dell'Ospedale S. Orsola e quindi presso la Divisione di Neurochirurgia dell'Ospedale Bellaria di Bologna, era deceduto a seguito delle gravi lesioni riportate nel sinistro; 
* La responsabilità dell'infortunio mortale era del tutto ascrivibile in capo al datore di lavoro, che aveva omesso di predisporre le cautele necessarie per garantire l'incolumità degli addetti ai lavori e dei sottoposti; 
* Nel costituirsi in giudizio, la ditta XX aveva provveduto a chiamare in causa la Compagnia Assicurativa A.S. S.p.a., la quale si era pur ritualmente costituita in giudizio; 
* Il Tribunale Civile di Bologna, con sentenza n. 764 depositata il 19 aprile 1999, aveva però declinato la propria competenza per materia, indicando quale giudice competente l'allora Pretore in funzione di giudice del lavoro. 
Ciò premesso, i ricorrenti hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, sezione lavoro, la ditta XX, rinnovando la domanda di risarcimento del danno. 
XX , nel costituirsi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda e di essere autorizzato a chiamare in causa la A.S. S.p.a., dalla quale intendeva farsi garantire da ogni somma che, nei limiti del massimale, avrebbe eventualmente dovuto corrispondere ai ricorrenti in ipotesi di ritenuta soccombenza. La Compagnia assicuratrice, a sua volta ritualmente costruitasi in giudizio, ha, in primo luogo, eccepito l'infondatezza della domanda di manleva perché il danno lamentato dagli attori non rientrava nelle garanzie assicurative coperte della polizza a suo tempo stipulata con la ditta XX e, nel merito, ha chiesto il rigetto della domanda risarcitoria riportandosi a tutte le difese già sollevate dalla ditta XX. 
Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 965 del 20 novembre 2001, depositata il 4 settembre 2002, in parziale accoglimento della domanda principale, ha condannato la ditta XX a corrispondere a ciascuno dei ricorrenti la somma di Lire 50.000.000 ed ha rigettato ogni altra domanda, compresa quella di manleva proposta nei confronti della compagnia di assicurazioni. 
In particolare il Tribunale, senza procedere ad alcuna attività istruttoria, ha ritenuto che la ricostruzione dei fatti prospettata dai ricorrenti, non contestata dal datore di lavoro, potesse essere presa a fondamento della decisione ed evidenziasse come, nello svolgimento della mansione affidata al lavoratore, poi deceduto, - disarmo di un arco - non era stata adottata alcuna cautela e protezione atta a prevenire il verificarsi dell'infortunio. In ordine ai danni risarcibili, il primo giudice ha escluso l'esistenza di danno patrimoniali ed ha, quindi, proceduto alla liquidazione soltanto del danno morale, quantificato nella somma di Lire 50.000.000 a favore di ciascun ricorrente. Il Tribunale ha, infine, rigettato la domanda di manleva, ritenendo che il danno lamentato non rientrasse nell'ambito della copertura assicurativa, contrattualmente delimitata alla previsione degli articoli 10 e 11 del t.u. n. 1124/65. 
Avverso la detta decisione, non notificata, XX Serbio, con ricorso depositato il 19 agosto 2003, ha proposto appello, affidato ad un motivo. 
Anche gli eredi di HH, con ricorso depositato il 28 agosto 2003, hanno proposto, nei confronti della predetta sentenza del Tribunale di Bologna, impugnazione autonoma, articolata su due motivi. 
Radicatosi il contraddittorio in entrambi i procedimenti e riunite le due impugnazioni, all'udienza del 13 dicembre 2007, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la causa, dopo la iscussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura. 

Motivi della decisione 
 
1. Preliminare è l'esame del primo motivo dell'appello incidentale, con il quale gli eredi di HH censurano l'impugnata sentenza, sostenendo che il Tribunale di Bologna ha liquidato, in modo non adeguato, il danno morale, riconoscendo indistantemente la medesima somma a favore di ciascun ricorrente senza considerare che alcuni fra questi erano conviventi con il lavoratore deceduto e che, secondo le tabelle applicate dallo stesso Tribunale, il danno morale da uccisione colposa prevede per la morte del coniuge un risarcimento da 140 a 185 milioni di lire, per la morte del genitore - con figli minori di anni 30 - un risarcimento da 100 a 200 milioni di lire e per la morte del figlio un risarcimento per ciascun genitore da 160 a 200 milioni di lire. Il motivo è fondato. Premette la Corte che, sulla statuizione del primo giudice con la quale è stata dichiarata la responsabilità colposa del XX in ordine al decesso dal lavoratore HH, avvenuto il 19 dicembre 1995 a seguito di infortunio sul lavoro, si è ormai formato il giudicato interno, per difetto di specifica impugnazione, principale o incidentale. Le parti hanno, infatti, devoluto all'esame giudice d'appello soltanto due questioni; la prima attinente alla quantificazione del danno morale e la seconda avente ad oggetto la contestata operatività della polizza assicurativa per l'infortunio occorso il 19 dicembre 1995. Ne consegue che l'affermazione della civile responsabilità del datore di lavoro nell'evento infortunistico mortale per la mancata adozione, in violazione dell'art. 2087 cod. civ., delle cautele e protezioni idonee ad impedire il verificarsi del sinistro è passata in giudicato e non costituisce oggetto del presente procedimento di secondo grado. Ciò posto, giova, ancora, premettere che, in tema di danno morale da uccisione colposa, la giurisprudenza della suprema Corte è, ormai, consolidata nel ritenere che il danno subito in conseguenza dell'uccisione del prossimo congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, concretandosi nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, nonché all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della famiglia, la cui tutela - alla stregua dei principi sanciti con le sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003 della Corte di cassazione - è individuabile negli artt. 2, 29 e 30 Cost., si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cod. civ. La relativa domanda, se anteriore al 2003, può essere considerata ricompresa nella richiesta di liquidazione del "danno morale", atteso che con detta espressione si intendeva, fino all'intervento chiarificatore della giurisprudenza di legittimità (con le due suddette sentenze del 2003), il risarcimento di tutto il danno previsto dall'art. 2059 cod. civ., a meno che non risulti la volontà del danneggiato di limitare l'istanza alla liquidazione del solo "danno morale soggettivo" (v., fra le tante, Cass. n. 1203/07). In tema di liquidazione del danno morale da fatto illecito, la Corte di Cassazione (v., Cass. n. 18178/07, n. 7740/07, n. 3758/07 e altre) ha precisato che la suddetta liquidazione, pur rimessa alla valutazione equitativa del giudice, deve essere compiuta rispettando l'esigenza di una razionale correlazione tra l'entità oggettiva del danno e l'equivalente pecuniario, sicché solo nella effettiva considerazione del danno concreto (che deve risultare dalla motivazione della sentenza) e al di fuori di ogni automatismo, può considerarsi legittimo il ricorso al criterio di determinazione della somma dovuta per il risarcimento in questione in una frazione dell'importo riconosciuto per il danno biologico, precisando in altra decisione (la n. 15760/06) resa proprio in materia di danno da morte di congiunti (danno parentale), che il danno morale diretto deve essere integralmente risarcito mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia, naturale o legittima, ma solidale in senso etico. A tal fine sono utilizzabili parametri tabellari, applicati dai Tribunali o dalle Corti, rispettando il principio della personalizzazione ed il criterio equitativo dell'approssimazione al preciso ammontare, senza fare applicazione automatica della tabelle concepite per la stima del danno biologico, che consiste nella lesione dell'integrità psicofisica, mentre il danno morale è costituito dalla lesione dell'integrità morale. Infine, come puntualizzato nella sentenza n. 1203/07, in conseguenza della morte di persona causata da reato, ciascuno dei suoi familiari prossimi congiunti è titolare di un autonomo diritto per il conseguente risarcimento del danno morale, il quale deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto, rimanendo, per converso, esclusa la possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto. Ai fini di tale valutazione, l'intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, e, inoltre, l'accertata mancanza di convivenza del soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può rappresentare - come nella specie - un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale, con derivante influenza di tale circostanza esclusivamente sulla liquidazione dello stesso. Nella specie, il primo giudice, nel riconoscere a titolo di danno morale a favore di ciascuno degli allora ricorrenti la somma di Lire 50.000.000 senza alcuna spiegazione in ordine al criterio equitativo applicato, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, ormai, costantemente, affermati dalla Corte di Cassazione. Il Tribunale di Bologna, infatti, nel liquidare il danno nell'importo forfetario di Lire 50.000.000 a favore di ciascun familiare del lavoratore deceduto, non solo è venuto meno all'obbligo di esprimere, mediante adeguata motivazione, le ragioni di natura equitativa che lo avevano indotto a determinare il danno morale in tale somma, ma non ha neppure dimostrato di avere tenuto presenti la gravità dei fatti, l'intensità del dolore patito ed ogni altro elemento della fattispecie concreta. Inoltre, attribuendo a tutti i familiari allora ricorrenti la stessa cifra a titolo di risarcimento, il Tribunale ha, in sostanza, proceduto ad una determinazione complessiva ed unitaria del danno morale, così, però, venendo meno all'obbligo di personalizzare la liquidazione del danno per renderla adeguata al particolare caso concreto. Ai fini di tale valutazione, infatti, avrebbe dovuto essere preso, quanto meno, in considerazione l'intensità del vincolo familiare, al fine di costituire un utile meccanismo presuntivo su cui fondare la ritenuta esistenza del danno morale. Ciò posto, la Corte rileva, ai fini della liquidazione del danno morale, che, nella specie, trattasi della morte di un lavoratore extracomunitario avvenuta a seguito di un infortunio sul lavoro, verificatosi perché il datore di lavoro non aveva adottato alcuna misura di prevenzione atta ad evitare il sinistro. Va, poi, aggiunto che il lavoratore deceduto, presumibilmente, provvedeva, con il suo reddito, al sostentamento della propria famiglia, composta dal coniuge e da due figli minori, e che, in qualche modo, contribuiva con le proprie rimesse anche a quello della famiglia d'origine. Va, quindi, ulteriormente considerato che gli odierni appellanti incidentali erano legati a HH con un vincolo familiare di diversa intensità; YY era infatti la moglie, H.S. e H.M. i figli, e H.M. e H.F., rispettivamente, il padre e la madre; il che fa legittimamente presumere che il pregiudizio subito da ciascuno di essi per la perdita del congiunto sia stato di entità diversa e richieda, pertanto, una liquidazione differenziata del danno. Va, infine, osservato che la determinazione del danno morale in Lire 50.000.000 a favore di ciascun congiunto ricorrente appare manifestamente sproporzionata non solo in relazione alla perdita irreparabile della comunione di vita e di affetti e della integrità e solidarietà della famiglia verificatasi con la morte del lavoratore, alle modalità del sinistro ed alla intensità della colpa del XX nell'occorso, ma, soprattutto, anche in relazione ai parametri tabellari utilizzati dallo stesso Tribunale di Bologna, dal quale il primo giudicante si è discostato senza alcuna motivazione. Sul punto, va evidenziato che, secondo i criteri tabellari usualmente applicati dall'Ufficio Giudiziario bolognese, correlati al primo gennaio 2004, il danno morale da uccisione colposa viene liquidato, nel caso di morte di un figlio (per ciascun genitore) da un minimo di Euro 89.616,74 ad un massimo di Euro 143.929,93; nel caso di morte del coniuge da un minimo di Euro 78.210,98 ad un massimo di Euro 114.600,93; e nel caso di morte del genitore con figlio di età inferiore a 30 anni (per ciascun figlio) da un minimo di Euro 33.674,16 ad un massimo di Euro 63.546,42. La Corte, nel recepire i parametri tabellari applicati dal Tribunale di Bologna, stima equo, tenuto conto di tutte le circostanze sopra evidenziate, nonché della modesta condizione economica dei familiari del lavoratore deceduto e della circostanza che i medesimi, essendo tutti residenti in Tunisia, utilizzano una diversa valuta e sono titolari di un potere di acquisito, sensibilmente e notoriamente, diverso da quello dai cittadini italiani, determinare il danno morale contenendo la liquidazione nei minimi tabellari.
Di conseguenza, il danno morale è quantificato nella complessiva somma di Euro 368.000,00 oltre interessi dall'1 gennaio 2004 al saldo, di cui Euro 78.000,00 a favore del coniuge YY , Euro 112.000,00 a favore dei figli minori H.S. e H.ME. ed Euro 178.000,00 a favore dei genitori H.MO. e H.F.. 
2. Con il secondo motivo dell'appello incidentale, i familiari del lavoratore deceduto lamentano l'erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda di manleva rivolta nei confronti della compagnia di assicurazione. 
Con l'unico motivo dell'appello principale, XX rileva l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto la domanda di manleva, sul presupposto che, avendo gli attori agito per ottenere il risarcimento di un proprio danno (iure proprio), essi debbono essere considerati terzi, con la conseguenza che, nella specie, trova applicazione l'ipotesi prevista dalla lettera a dell'art. 12 del contratto di assicurazione e non quella, presa in considerazione dal primo giudice, dell'art. b del medesimo articolo. 
I due motivi vanno esaminati congiuntamente perché concernono entrambi l'ambito di operatività della polizza assicurativa stipulata tra il XX e la Compagnia di Assicurazioni A.S.; il motivo dell'appello incidentale è, però, inammissibile; infondato è invece il motivo dell'appello principale. 
Quanto al motivo dell'appello incidentale, la Corte non può non rilevare che i familiari del lavoratore deceduto, quali terzi danneggiati, sono totalmente estranei al rapporto di assicurazione esistente tra il datore di lavoro, XX , e la A.S. S.p.a. 
Del resto, la compagnia di assicurazione non è stata citata direttamente in giudizio dagli attuali appellanti incidentali i quali, con gli atti introduttivi di primo grado, si erano limitati a chiedere la condanna al risarcimento del danno del XX, ma è stata chiamata in causa dal datore di lavoro, che ne aveva facoltà ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1917 cod. civ., per tenerlo indenne e garantirlo, nei limiti del massimale di polizza, in caso di sua soccombenza nella domanda principale di risarcimento del danno e di condanna al pagamento di una somma di denaro a favore dei ricorrenti. 
Pertanto, gli attuali appellanti incidentali, non essendo titolari di azione diretta nei confronti dell'assicuratore, non avevano alcuna legittimazione ad impugnare la statuizione con la quale il Tribunale di Bologna aveva rigettato la domanda di garanzia proposta dal XX. 
Ma il motivo è inammissibile anche sotto altro profilo, dal momento che la domanda di condanna "in solido" della A.S. S.p.a. con il datore di lavoro nel risarcimento del danno è stata proposta per la prima volta dai familiari del lavoratore deceduto con il ricorso in appello. Di conseguenza, trattandosi di domanda nuova, la stessa deve comunque essere considerata inammissibile ai sensi degli artt. 345 e 437, comma 2, cod. proc. civ.
3. Quanto al motivo dell'appello principale, va premesso Va premesso, come risulta dalla polizza stipulata il 3 maggio 1993 (doc. 1, XX) fra l'U.S. di Assicurazione S.p.a. - ora A.S. Assicurazioni S.p.a. - e XX, che la compagnia appellata si era obbligata, fino alla concorrenza dei massimali pattuiti, a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare (capitale, interessi e spese) quale civilmente responsabile ai sensi degli artt. 10 e 11 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, verso i prestatori di lavoro da lui dipendenti per gli infortuni (escluse le malattie professionali) da loro sofferti (clausola n. 12, lett. b delle condizioni generali di assicurazione). 
La compagnia A.S. S.p.a., terza chiamata in garanzia da XX nel giudizio promosso dai familiari di un lavoratore deceduto e volto ad ottenere il risarcimento del danno morale a seguito di un infortunio mortale sul lavoro, ha, in primo luogo, eccepito che le prestazioni indennitarie richieste con l'atto di chiamata in causa sarebbero state esigibili nei limiti e secondo l'oggetto del contratto e, quindi, con esclusione delle somme dovute dall'assicurato per i danni biologico e morale, non compresi nell'oggetto della copertura assicurativa. Il Tribunale di Bologna ha, correttamente, accolto l'eccezione, osservando che l'azione per la quale l'assicurato era civilmente responsabile era l'azione di regresso eventualmente esercitata dall'INAIL ex art. 11 del d.p.r. citato, con la conseguenza che la chiara lettera del contratto escludeva che il danno lamentato dagli allora ricorrenti rientrassero nella garanzia assicurativa. 
L'affermazione del primo giudice è coerente con un costante filone giurisprudenziale (v., Cass. n. 4080/02, n. 12387/03, n. 12691/03, n. 8365/04), il quale ha, espressamente, affermato il principio che, secondo la disciplina di cui al d.p.r. n. 1124 del 1965, applicabile per il periodo antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38 (che, all'art. 13, ha inserito il danno biologico nella copertura assicurativa pubblica), l'indennizzo previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all'interpretazione della Corte costituzionale (sentenze n. 319 del 1981, n. 87 e 356 del 1991), non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un "danno biologico previdenziale patrimoniale" Va, poi, osservato che la Corte di Cassazione, affrontando la specifica questione in esame, nella sentenza n. 9730/98 ha evidenziato che: * la responsabilità civile, oggetto della polizza, non può identificarsi con quella traibile dalla disciplina codicistica, ma deve essere collegata a quella evincibile dagli artt. 10 e 11 del DPR n. 1124 del 1965, espressamente richiamati nella clausola l b) sopra trascritta; * la giurisprudenza delle Corti superiori (Corte Costituzionale e Corte di Cassazione), sia pure con un percorso non sempre limpido e uniforme, ha ormai definitivamente accolto il principio secondo cui le indennità previste dal DPR n. 1124 del 1965 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che l'infortunio ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione psico-fisica altrimenti comporta per il soggetto, sicché il danno biologico, in sé considerato, resta completamente fuori dal sistema risarcitorio previsto dagli artt. 10 e 11 citati; * in difetto di una espressa manifestazione di volontà delle parti intesa ad estendere il rischio coperto dalla polizza anche al danno biologico, il richiamo esplicito agli artt. 10 e 11 DPR n. 1124/1965 comporta la necessità per l'interprete di limitare il rischio assicurato esclusivamente alle prestazioni rientranti nell'ambito di operatività di detta norma, secondo la concorde interpretazione datane dal giudice delle leggi e dal giudice di legittimità nella sua più recente formulazione; * il richiamo agli artt. 10 e 11 cit. non può essere inteso alla stregua di un "rinvio formale" che tenga conto delle diverse interpretazioni delle norme predette succedutesi nel tempo, atteso che nel caso di polizze assicurative la copertura garantita non può essere variata nel corso del rapporto a seconda delle mutevoli interpretazioni giurisprudenziali o dottrinali; * comunque, la Corte Costituzionale, con le note sentenze ( n. 88 del 1979, n. 87 del 1991, n. 356 del 1991, n. 485 del 1991) non ha modificato le prestazioni dell'assicuratore sociale ma solo il limite di rivalsa esperibile dal medesimo. Queste considerazioni, applicabili propriamente alla polizza in rassegna stante l'espresso richiamo in essa contenuto all'obbligo della Compagnia, fino alla concorrenza dei massimali pattuiti, a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare (capitale, interessi e spese) quale civilmente responsabile ai sensi degli artt. 10 e 11 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, verso i prestatori di lavoro da lui dipendenti per gli infortuni (escluse le malattie professionali) da loro sofferti, comportano l'esclusione della operatività della garanzia prestata al danno biologico e morale, per farla rientrare, come da espressa dizione contrattuale, all'interno delle ipotesi nelle quali rimane coinvolta la responsabilità del datore di lavoro in relazione alle previsioni di cui agli articoli 10 e 11 del d.p.r. n. 1124/65. Nella specie, quindi, poiché i familiari del lavoratore deceduto hanno chiesto, a seguito dell'infortunio sul lavoro del 19 dicembre 1995, il risarcimento del danno morale - non costituente oggetto della copertura assicurativa - va escluso l'obbligo di manleva da parte della Compagnia appellata nei confronti del proprio assicurato XX . Resta da precisare che il richiamo alla condizione particolare di assicurazione, di cui all'art. 12 lettera a, operato dall'appellante principale per giustificare l'estensione della garanzia di base al danno biologico e morale non soggetti all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, appare del tutto fuorviante ed errato non avendo il XX considerato che i congiunti del lavoratore deceduto non possono essere considerati come terzi danneggiati ai sensi della richiamata disposizione contrattuale, dato che la stessa delimita l'oggetto dell'assicurazione ai rischi derivanti dall'esercizio dell'attività imprenditoriale, come individuati nella polizza, e non ha alcuna connessione con la diversa ipotesi trattata nella successiva lettera b del medesimo articolo 12, che concerne la copertura assicurativa per gli infortuni che colpiscono i dipendenti, cagionando danni ad essi ed ai loro familiari. In altri termini, nel caso dedotto in giudizio, gli attuali appellanti incidentali, essendo stretti congiunti di un lavoratore dipendente dall'assicurato, non sono terzi danneggiati nei cui confronti opera l'assicurazione per responsabilità civile verso terzi (R.C.T.), ma, come tali, rientrano nell'assicurazione per la responsabilità civile verso prestato di lavoro (R.C.O.). 4. In conclusione, va accolto l'appello incidentale proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 20 novembre 2001, n. 965, e, per l'effetto, va dichiarato tenuto ed in conseguenza condannato XX al risarcimento del danno morale che liquida nella complessiva somma di Euro 368.000,00 oltre interessi dall'1 gennaio 2004 al saldo, di cui Euro 78.000,00 a favore di YY , Euro 112.000,00 a favore dei minori H.S. e H.ME. ed Euro 178.000,00 a favore di H.MO. e H.F.. Va, invece, rigettato l'appello principale. Quanto alle spese del grado, il soccombente XX va condannato al rimborso delle stesse, liquidate come da dispositivo, in favore degli appellanti incidentali e dell'appellata compagnia di assicurazione A. S. S.p.a. Fra le altre parti le spese sono compensate per giusti motivi. 
 
P.Q.M.
 
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, in accoglimento dell'appello incidentale proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 20 novembre 2001, n. 965, dichiara tenuto ed in conseguenza condanna XX al risarcimento del danno morale che liquida nella complessiva somma di Euro 368.000,00 oltre interessi dall'1 gennaio 2004 al saldo, di cui Euro 78.000,00 a favore di YY , Euro 112.000,00 a favore dei minori H.S. e H.ME. ed Euro 178.000,00 a favore di H.MO. e H.F.; rigetta l'appello principale; condanna XX al rimborso delle spese del grado, che liquida, in favore degli appellanti incidentali, nella complessiva somma di Euro 5.000,00, di cui Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 3.100,00 per onorari, e, in favore dell'appellata A.S. S.p.a., in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 2.100,00 per onorari; compensa le spese fra tutte le altre parti; conferma nel resto.

 

Così deciso in Bologna il 13 dicembre 2007
Depositata in Cancelleria il 24 GEN 2008