Cass. Civ. Sez. III, 03.10.2005, n. 19316



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

 


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Presidente

Dott. LO PIANO Michele - Consigliere

Dott. FANTACCHIOTTI Mario - Consigliere

Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T. P., R. G., T. L., elettivamente domiciliati in ROMA VIA CHIANA 48, presso lo studio dell'avvocato STEFANO ALEARDI, difesi dall'avvocato FIORILLO BENITO, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

ALLIANZ SUBALPINA SPA, in persona dei procuratori speciali dott. E. M. e Dott. D. A., elettivamente domiciliata in ROMA LGO LANCIANI 1, presso lo studio dell'avvocato TOSTI PIETRO, che la difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

e contro

T. F.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 2333/01 della Corte d'Appello di ROMA, 4^ sezione civile, emessa il 20/04/01, depositata il 27/06/01, R.G. 1772/99;

 

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/07/05 dal Consigliere Dott. Raffaele FRASCA;

udito l'Avvocato STEFANO ALEARDI (per delega Avv. BENITO FIORILLO);

udito l'Avvocato TULLIO RIZZO (per delega Avv. PIETRO TOSTI);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del 1^ motivo di ricorso e accoglimento del 2^ motivo.

Svolgimento del processo

1. Con atti di citazione notificati il 22 ed il 23 ottobre 1991 P. T. e G. R., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio allora minorenne L. T., convenivano avanti al Tribunale di Latina F. T., quale proprietario dell'autovettura Fiat Uno tg. LT362934 e la s.p.a.

Unione Subalpina, nella qualità di assicuratrice per la r.c.a. della stessa, per sentirli condannare nelle rispettive qualità al risarcimento di tutti i danni sofferti a causa dell'investimento del piccolo L. (allora undicenne) da parte del T. alla guida di detta autovettura, verificatosi il 5 settembre 1989, alle ore 17 circa, in Sabaudia, lungo la via Sant'Andrea. Allegavano che il sinistro si era verificato allorchè L. T. mentre si trovava fermo in bicicletta al centro della strada era stato investito dal T., venendo scaraventato a terra e riportando una grave commozione cerebrale, fratture al viso e lesioni in tutto il corpo.

 

Costituitisi in giudizio le parti convenute, la causa veniva istruita con l'assunzione di prove testimoniali e l'acquisizione di copia del rapporto del sinistro redatto dai Carabinieri, nonchè con l'espletamento di una consulenza medico-legale. 
All'esito, il primo giudice, con sentenza del 25 maggio 1998, dichiarava il concorso di colpa di L. T. e del T. nella causazione dell'incidente nell'identica misura del 50% ed accoglieva proporzionalmente la domanda risarcitoria di L. T., mentre rigettava quella avanzata dai genitori in proprio. 
2. Avverso la sentenza proponevano appello, in relazione alle rispettive posizioni sostanziali, i coniugi T. ed il loro figlio frattanto divenuto maggiorenne, dolendosi sia gli uni che l'altro della riconosciuta corresponsabilità ed i due coniugi del rigetto della loro domanda risarcitoria. 
Con la sentenza qui impugnata la Corte d'Appello di Roma, nella resistenza della sola società Allianz Subalpina (già Unione Subalpina) e nella contumacia del T., ha rigettato integralmente l'appello. 
La sentenza, per quanto qui interessa, è fondata sulle seguenti ragioni per quanto attiene al riconoscimento della pari responsabilità: si osserva, anzitutto, che "dalla ricostruzione della dinamica dell'incidente stradale, effettuata alla stregua dei dati oggettivi contenuti nel rapporto giudiziario, deve desumersi la esistenza di un pari e concorrente apporto causale di entrambi i conducenti dei mezzi coinvolti nell'incidente"; infatti, "se a carico dell'automobilista depone la circostanza di aver impegnato il tratto stradale di Via S. Andrea a velocità sicuramente non adeguata rispetto all'assetto stradale (velocità rilevabile dalle conseguenze prodottesi, dal caricamento del corpo sul cofano e sua proiezione in avanti; tracce di frenata lasciate dalla vettura sul manto stradale estese per metri 19,70) anche la condotta del ciclista non era esente da censura ove si consideri che il piccolo L., uscendo da area privata (piazzale antistante il bar Moro posto al civico n. 6) impegnò la strada, da destra a sinistra secondo la direzione di marcia della vettura, per raggiungere un suo amico che, prima di lui, era riuscito ad attraversarla"; si era trattato "di una manovra Incauta, pericolosa e in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale" 

mentre "la circostanza - secondo cui al momento dell'investimento il piccolo L. sarebbe stato fermo con la bici al centro della carreggiata stradale - non poteva avere valore di esimente una volta tenuti presenti i tempi di percorrenza di entrambi i veicoli e quelli di avvistamento dell'ostacolo così da rendere possibile l'effettuazione di una valida manovra di emergenza da parte dell'automobilista, resa nella specie difficoltosa per la repentinità della turbativa al flusso della circolazione".

 

 

In ordine al disconoscimento del danno morale ai genitori, viceversa, la sentenza ne ha escluso la configurabilità osservando che "è agevole osservare che il presupposto per la sua liquidazione è il compimento di un fatto costituente illecito penale nei diretti confronti del preteso danneggiato", onde nella specie doveva considerarsi parte offesa dal reato di lesioni personali colpose il solo L. T. e non anche i suoi genitori.
3. Contro la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi i coniugi T.-R. e il figlio L. T..
Ha resistito con controricorso la Allianz Subalpina.
Non ha svolto attività difensiva il T., ancorchè il ricorso gli sia stato notificato.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, la Corte da atto che, avendo all'udienza rilevato che dall'esame del fascicolo d'ufficio ed in particolare da quello del fascicolo dei ricorrenti, si evinceva che la notificazione del ricorso era stata fatta a mezzo posta a F. T. e che non risultava prodotto dai ricorrenti il relativo avviso di ricevimento concernente tale notifica, i ricorrenti hanno prodotto tale avviso, così dimostrando l'esistenza della notificazione, restando così superata ogni questione in ordine alla regolare instaurazione del contraddittorio verso il T..

 

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2054, 2056 e 1227 c.c., nonchè delle norme disciplinanti la circolazione stradale, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.", nonchè "omessa e, comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti e rilevabili di ufficio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.". 
Il motivo viene illustrato partendo in sostanza dalla seconda censura e premettendo la motivazione dell'impugnata sentenza. 
L'illustrazione procede, quindi, riferendo che il Tribunale in primo grado aveva individuato una condotta colposa del piccolo ciclista, costituita dal non avere egli dato la precedenza, essendosi immesso nel flusso della circolazione da un'area privata, sulla base dei dati emergenti dal verbale di accertamento redatto dai Carabinieri, intervenuti sul posto - a dire di quel giudice - immediatamente dopo il sinistro e ritenendo invece inattendibili le quattro testimonianze assunte su istanza dei ricorrenti sul posto. Segue l'enunciazione di quanto si era lamentato a proposito di tale ritenuta attendibilità nell'atto di appello, del quale viene riportato un ampio passo in corsivo, che comprende dapprima la specifica indicazione delle rationes decidendi enunciate in proposito dal Tribunale, della cui sentenza vengono riprodotte quelle che sarebbero state le affermazioni in parte qua tra virgolette (e precisamente che nessuno dei testi aveva saputo indicare la ragione per cui si sarebbe trovato sul luogo del sinistro, che due di essi nemmeno sarebbero stati in grado di dire verso quale località erano diretti e che i Carabinieri avevano accertato che nessun testimone era presente) e, quindi, l'indicazione che le prime due affermazioni non corrispondeva a quanto risultante dai verbali di assunzione e delle argomentazioni critiche rivolte al Tribunale in ordine alla terza affermazione. 
Si riporta, poi, un passo del verbale redatto dai Carabinieri di Sabaudia - enunciante che il piccolo ciclista era uscito improvvisamente dal piazzale del locale per attraversare la strada da destra verso sinistra considerato il senso di marcia del veicolo - e, quindi, si riproduce in corsivo un ulteriore passo dell'atto di appello, contenente le critiche rivolte a esso, che si incentrarono sul fatto che non essendo stati presenti al momento dell'accaduto non era dato comprendere come i Carabinieri avessero potuto accertare la circostanza dell'improvviso attraversamento, che, in realtà doveva ritenersi "mera deduzione da un oscuro".

 

 

Si riproduce ancora un passo dell'atto d'appello nel quale: a) si lamentava che il primo giudice avesse affermato che i Carabinieri erano intervenuti nell'immediatezza del fatto, mentre non vi era nessuna prova in proposito e particolarmente che l'ora dell'intervento non risultava dal verbale; b) e si sosteneva che quel giudice avesse ritenuto avvalorata la ricostruzione dei fatti offerta dai Carabinieri dalla planimetria da loro eseguita, commettendo due errori, in quanto la planimetria non costituiva autonoma fonte probatoria ma solo la trasposizione di ciò che i Carabinieri avevano "immaginato e dedotto nel loro verbale" ed inoltre non erano stati considerati i pochi elementi obiettivi risultanti dalla stessa (quali le tracce di frenata - che iniziavano a 1/60 metri dalla carreggiata di sinistra e dimostravano che il T. viaggiava sull'opposta corsia - ed il punto di collisione, che come confessato anche dallo stesso T., era situato al centro della strada), i quali confermavano la versione offerta dai testi e smentivano le deduzioni degli stessi.
Dopo tale riproposizione delle ragioni dell'appello, si riportano - questa volta tra virgolette ed in grassetto - le conclusioni che sulla base di esse i ricorrenti avevano tratto nell'atto di appello nel senso che: a) L. T. aveva ultimato l'attraversamento della corsia da cui proveniva il T. e non doveva dare la precedenza ai veicoli che su di essa viaggiavano, perchè l'aveva già data; b) al momento dell'investimento si trovava fermo per dare la precedenza a quelli che provenivano sull'altra corsia.

 

 

Il motivo enuncia quindi che sulla base dell'ampia premessa di cui si è dato conto la motivazione della sentenza impugnata sarebbe incomprensibile, contraddittoria ed illogica, là dove non avrebbe chiarito perchè non era utilizzabile la prova testimoniale e non avrebbe fornito alcuna giustificazione sulla relativa questione sollevata nei motivi d'appello. Sarebbe contraddittoria là dove ha affermato che la circostanza che il piccolo ciclista si trovasse fermo al centro della carreggiata non aveva valore di esimente, "giacchè in tal maniera avrebbe riconosciuto come vera e reale la versione riferita dai testi", i quali proprio questa circostanza avevano dichiarato.
Onde non si comprenderebbe a quale delle due versioni la Corte d'Appello avrebbe prestato adesione. Il giudice d'appello non avrebbe chiarito se ha inteso utilizzare o meno la versione fornita dalla prova testimoniale e non avrebbe affermato come invece i giudice di primo grado che L. T. aveva violato l'obbligo di dare precedenza. La sentenza avrebbe detto e non detto per conciliare le due versioni dei fatti, mentre solo una di esse potrebbe essere vera, con la conseguenza che dovrebbe ritenersi o che L. T. si immise da un'area privata nel flusso della circolazione senza dare la precedenza o che era fermo al centro della carreggiata ed in quest'ultimo caso nessun addebito di responsabilità potrebbe essergli mosso.
Si insiste ancora nel sostenere che, se la Corte d'Appello ha inteso acclarare la ricostruzione dei fatti offerta dal Tribunale di Latina, avrebbe del tutto immotivatamente omesso di utilizzare le testimonianze, mentre, se ha riconosciuto che L. T. si trovava fermo al centro della carreggiata, dovrebbe ritenersi che "ha omesso di indicare il comportamento colposo per il quale è stata poi affermata la concorrente responsabilità delle persone coinvolte nel sinistro" nonchè "la norma del codice della strada che nel caso specifico sarebbe stata violata dal T." e che inoltre "non ha considerato che del tutto legittimamente il ciclista ha provveduto ad attraversare la strada in due tempi, fermandosi al centro della carreggiata". 1.1. Il motivo enuncia, quindi, la censura ex n. 3 dell'art. 360 c.p.c., che si incentra sul non avere la Corte territoriale esplicitato il comportamento colposo addebitato a L. T. e nemmeno indicato le norme precauzionali, scritte e non, che sarebbero state da lui violate, sì da integrare la sua colpa. A ciò non sarebbe sufficiente, perchè generica, l'affermazione secondo cui, uscendo da un'area privata, egli avrebbe compiuto una manovra incauta, pericolosa e in violazione delle norme sulla circolazione stradale. Si lamenta ancora che non avrebbe la Corte d'Appello chiarito in che cosa sarebbe consistita la colpa del T. per il caso che si fosse riconosciuto che si trovava fermo al centro delle strada. La motivazione in proposito sarebbe oscura, giacchè non avrebbe considerato che la difficoltà di esecuzione di una manovra era imputabile solo al T., che non aveva moderato la velocità.

Si sostiene poi che sarebbe pertinente alla specie la valutazione espressa da una sentenza emessa da questa Corte in sede penale Cass. pen. 3 luglio 1992, Colombi, a proposito dell'ipotesi di attraversamento del pedone fuori dalle strisce con superamento della prima metà della carreggiata in assenza di veicoli provenienti su di essa e quindi di fermata al centro della carreggiata per dare precedenza al traffico veicolare sull'altra metà. In conclusione si assume che la vicenda si sarebbe articolata in due tempi, cioè con l'attraversamento della prima metà della carreggiata da parte del T. e la fermata al centro della carreggiata per dare precedenza ai veicoli provenienti sull'altra metà, sulla quale in fase di sorpasso era sopraggiunto ad alta velocità il T.. E tanto non evidenzierebbe alcun profilo di colpa del medesimo.

 

 

1.2. il motivo enuncia infine una censura subordinata in ordine al riconoscimento della percentuale di responsabilità paritaria fra i due soggetti coinvolti, sia perchè non sorretta da alcuna motivazione, sia perchè comunque non adeguata al reale svolgimento dei fatti.
2. Con un secondo motivo - che, in realtà, appare riferibile alla posizione soltanto dei genitori P. T. e G. R. - si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 2049 c.c., nonchè 185 c.p. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.", ed inoltre "omessa e, comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti e rilevabili di ufficio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.", censurandosi la sentenza impugnata per avere escluso la risarcibilità del danno morale ai coniugi T. - R., in quanto soggetti diversi dalla parte offesa dal reato.

 

 

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni. 
In primo luogo, la censura ex n. 5 del 360, là dove si duole della sentenza impugnata limitandosi a riportare le critiche svolte nell'atto d'appello alla valutazione espressa dal primo giudice, senza riportare le dichiarazioni rese dai testi e che erroneamente sarebbero state apprezzate come inattendibili, è affetta da palese difetto di autosufficienza, atteso che all'individuazione del motivo in parte qua in modo idoneo a consentirne alla Corte l'esame non è sufficiente soltanto la prospettazione di ciò che si era lamentato con l'atto di appello, ma sarebbe occorsa l'indicazione del tenore delle testimonianze che con quei motivi si erano dette inattendibili, senza che la Corte territoriale condividesse la relativa prospettazione. La riproposizione della suddetta prospettazione sarebbe stata sufficiente solo se essa si fosse a sua vola estesa a quella indicazione.
La stessa sorte meritano le argomentazioni svolte a proposito del verbale dei Carabinieri, dei quali è riportato solo un passo del tutto parziale.
Le censure in diritto sulla mancata individuazione del profilo di colpa del T., nonostante che si sia dato atto che Egli era fermo al centro della carreggiata, e l'altra sulla incompatibilità fra l'affermazione della violazione dell'obbligo di dare precedenza e quella che al momento del sinistro il T. era fermo, sono infondate, in quanto la Corte territoriale non ha formulato due ipotesi alternative, ma due ipotesi consequenziali l'una all'altra.
Quando ha argomentato sul fatto che il T. era fermo la Corte non ha, cioè, voluto escludere, nemmeno a livello di motivazione alternativa, che Egli non avesse comunque dato precedenza.
Si tratta, quindi, di censura che non coglie l'effettiva ratio decidenti della sentenza.
Quanto infine alla censura sul non essere stata motivata la pari percentuale di responsabilità non si indica che il punto fosse stato oggetto di specifica doglianza in appello e, quindi, non è dato comprendere come la questione possa essere prospettata in questa sede.
3. E' invece, fondato per quanto di ragione il secondo motivo.
Erroneamente, infatti, la Corte territoriale ha escluso la riconoscibilità del danno morale in favore dei ricorrenti P. T. e G. R. adducendo che esso, nel caso di reato di lesioni personali, potrebbe essere configurabile e liquidabile solo a favore della parte offesa dal reato costituente (anche) illecito civile.
A partire dalla sentenza n. 4186 del 1998 (che ebbe ad affermare che "ai prossimi congiunti, ed in particolari ai genitori, della vittima di lesioni colpose spetta anche il risarcimento del danno morale"), nella giurisprudenza di questa Corte ha trovato affermazione ed è ormai consolidato il principio secondo cui "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare relazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso" (Cass. n. 2888 del 2003; Cass. n. 7623 del 2003; Cass. n. 8827 del 2003, secondo cui "non sussiste alcun ostacolo alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti").

 

In modo più specifico e con riferimento anche al problema della prova del danno in discorso si è precisato che "in tema di risarcimento del danno, ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. In tal caso, costituendo il danno morale un patema d'animo e quindi una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte, non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti d'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto; il più delle volte va invece accertato in base ad indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità. Ne consegue che il giudice di merito non può escludere l'esistenza del danno morale dei prossimi congiunti sulla base della sola considerazione che, a sostegno dello stesso, non esistono che indizi, ma deve valutare se da detti indizi possa giungersi ad una prova presuntiva del danno morale stesso" (così Cass. n. 11001 del 2003; in senso conforme Cass. n. 23291 del 2004 e n. 10996 del 2003).

 

Le stesse Sezioni Unite hanno avallato questo orientamento, affermando che "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile. (Principio espresso in fattispecie di danno morale richiesto dai genitori in proprio per l'invalidità totale derivata al loro bambino dall'anossia, e dalla successiva sindrome asfittica, di cui egli aveva sofferto al momento della nascita per dedotta responsabilità del medico e della struttura sanitaria ove la madre era stata ricoverata al momento del parto) (Cass. sez. un. n. 9556 del 2002).
In altra decisione, avendo riguardo alla configurabilità in concreto del danno, la Corte ha precisato che "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale, a condizione che si tratti di lesioni seriamente invalidanti, giacchè lesioni minime o prive di postumi non rendono configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di danno morale" (Cass. n. 10816 del 2004).
La sentenza impugnata, dunque, va cassata con rinvio sulla base dei principi di diritto espressi dal richiamato ordinamento, in quanto ha negato in astratto la configurabilità di danno morale dei prossimi congiunti in caso di fattispecie di illecito da lesioni personali.
Il giudice di rinvio si conformerà, in particolare, al seguente principio di diritto: "in tema di risarcimento del danno, ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso".
Nella concreta applicazione di tale principio di diritto il giudice di rinvio affronterà, naturalmente, la questione della prova del danno morale lamentato dai coniugi T.-R., applicando i principi in proposito emergenti dalle massime sopra richiamate alla situazione probatoria che riscontrerà esistente in atti ai sensi del secondo comma dell'art. 394 cod. proc. civ. (si vedano, particolarmente, cass. n. 11001 del 2003 e le decisioni conformi sopra richiamate): sarà, dunque, in quella sede che, pertanto, rileverà e dovrà essere esaminata la questione della prova del danno che, secondo quanto la resistente ha dedotto nel controricorso, mancherebbe e avrebbe dovuto giustificare comportare l'infondatezza del motivo.

 

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso.

 

Rigetta il primo. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 luglio 2005.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2005