Cass. Civ. Sez. III, 27.07.2001, n. 10291



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

 

 


riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati: dott. Vito GIUSTINIANI - Presidente dott. Francesco SABATINI - relatore Consigliere dott. Antonio LIMONGELLI - Consigliere dott. Italo PURCARO - Consigliere dott. Mario FINOCCHIARO - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi:

n. 19069/98 proposto

da

 

N. M., N. A. R. e A. O., elett. dom. in Roma, via Tacito n. 23, presso lo studio degli avv. Elena Fiordeponti e Giovanni Vespaziani che li rappresentano e difendono in virtù di procura a margine del ricorso

ricorrenti

contro
R. M., in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore N. K.
controricorrente
nonché
N. L.
intimato
n. 22455/98 proposto
da

 

R. M., in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore N. K., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Belloni ed elett. dom. in Roma, viale Giulio Cesare n. 71, presso l'avv. Arianna Belloni (studio Carocci - Bonacina)

ricorrente incidentale

contro
N. M., N. A. R., N. L. e A. O.
intimati
avverso

 

 

la sentenza n. 2833 in data 29.4.-25.9.1997 della Corte di Appello di Roma ( r.g. n. 4195+4197/94). Udita nella pubblica udienza del 7 maggio 2001 la relazione del consigliere dott. Francesco Sabatini.

É comparso per i ricorrenti principali l'avv. Vespaziani, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto dell'incidentale. 
É comparso per la ricorrente incidentale l'avv. Belloni, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento dell'incidentale. 
Sentito il P.M., in persona del sost. procuratore generale Dott. Vincenzo Gambardella, che ha chiesto l'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale ed il rigetto degli altri motivi.

 

Svolgimento del processo

Il 19 ottobre 1987 la minore K.N., di poco meno di quattro anni riportò l'asportazione traumatica del braccio sinistro. L'evento si verificò nell'azienda agricola del nonno della bambina, A. N., e fu determinato dall'albero di trasmissione del trattore, di proprietà dello stesso cui era agganciato un rimorchio di proprietà di terzi. Al momento del fatto il motore era in funzione ma il mezzo era fermo, essendo lo stesso N. ed il figlio L., padre della bambina, intenti a scaricare da esso del granturco.

Archiviato il procedimento penale M. R., madre della bambina, in proprio e quale legale rappresentante di costei, propose domanda di risarcimento del danno indicando come responsabili dell'evento tanto il marito che il suocero e essendo costui nel frattempo deceduto convenne dinanzi al Tribunale di Rieti gli eredi dello stesso nonché anche in proprio, L. N..

 

Nel contraddittorio delle parti ed espletata C.T.U. medico-legale - la quale determinò nella misura complessiva dell'80% l'invalidità permanente ivi compreso 10% di danno estetico e 10% di danno psichico -, con sentenza del 3 settembre 1993 l'adito Tribunale liquidò in L. 271.900.000 il danno complessivamente subito dalla minore, oltre gli interessi legali dal fatto e respinse invece la domanda risarcitoria avanzata in proprio dalla R..
Tale decisione, impugnata da tutte le parti con gravami separati e poi riuniti, è stata confermata dalla Corte di Appello con la pronuncia avverso la quale hanno ora proposto ricorso, congiuntamente, Manlio ed Anna Rita N. e l'Angeloni. La R., in proprio e nella qualità, resiste con controricorso e contestuale ricorso incidentale. L. N. non ha invece svolto attività difensiva. La R. ha depositato memoria

 

Motivi della decisione

 

1) I due ricorsi iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti perché investono la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.). 
2) La Corte di Appello ha confermato la responsabilità di A. e L. N. (riguardo al secondo si è formato, sul punto, il giudicato in difetto di ricorso da parte del medesimo) sulla base delle dichiarazioni da entrambi rese nell'immediatezza alla polizia giudiziaria e ritenute ammissive di "comportamenti imprudenti tenuti da entrambi nella omessa vigilanza e custodia nel corso di attività certamente pericolose in quanto espletate in area accessibile a tutti; non delimitata né protetta per impedire l'avvicinarsi di chiunque e, a maggior ragione, di bambine affidate alla loro custodia, nonché per i mezzi pericolosi usati"; per quanto concerne in particolare il nonno, la Corte territoriale ha osservato che la piccola K.era in compagnia di lui e del figlio, e che al momento del fatto entrambi erano intenti a scaricare il granturco dal cassone del rimorchio del trattore. 
Tali affermazioni sono investite dai primi due motivi del ricorso principale - che, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente - con i quali si deduce con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, la violazione degli artt. 2043, 2050, 2051, 2730 e 2733 c.c. e degli artt. 115, 116 e 228 c.p.c. nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi ed anche con riguardo agli artt. 1803 e 1804 c.c. e si afferma:
- la minore era affidata al padre, il trattore non poteva essere qualificato come mezzo pericoloso,
- l'evento fu determinato da caso fortuito,

- il rimorchio e l'albero di trasmissione erano di proprietà di terzi ed erano detenuti dal solo comodatario L. N., i verbali di interrogatorio alla polizia giudiziaria non potevano essere utilizzati perché nulli, al più la responsabilità doveva essere limitata al solo L. N., le confessorie dichiarazioni del quale alla polizia giudiziaria dovevano essere ritenute decisive per l'assoluzione di A. N..

 

 

I motivi sono inammissibili nella parte relativa alla pretesa inutilizzabilità dei suddetti verbali trattandosi di questione nuova non esaminata dalla sentenza impugnata e che non si afferma essere stata ad essa sottoposta così come sono tali nelle parti relative all'asserito travisamento dei fatti (trattandosi di vizio revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c. da far valere nella diversa e competente sede ed alla pretesa violazione degli artt. 2050 e 2051 c.c.: per quanto infatti la sentenza impugnata accenni "alle attività certamente pericolose" che i due N., padre e figlio, stavano espletando al momento del fatto, nondimeno deve escludersi che essa abbia inteso fare applicazione dell'art. 2050 c.c. citato, e ciò perché la stessa non ha fatto riferimento alcuno alla presunzione di responsabilità, posta dalla norma, né tanto meno alla prova liberatoria a carico del danneggiante, ma, al contrario, ha qualificato come imprudenti, nonché integranti gli estremi del reato di lesioni colpose gravissime, le condotte di entrambi i predetti, e, dunque, ha inteso ravvisare elementi concreti di colpa, con implicito richiamo, pertanto, al solo art. 2043 del codice civile.
Questi stessi rilievi valgono anche ad escludere che la sentenza impugnata abbia inteso ricondurre la responsabilità dei due N. alla previsione dell'art. 2051 c.c.: la norma, infatti configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva: Cass., 20 maggio 1998 n. 5031), mentre nella specie è stata affermata una responsabilità soggettiva senza, pertanto, riferimento alcuno alla prova del fortuito, posta dalla norma a carico del danneggiante.

 

 

Gli stessi motivi, nella parte in cui adducono la violazione dell'art. 2043 c.c. e vizio di motivazione, sono invece infondati.
Come gli stessi ricorrenti principali rilevano, la piccola K."improvvidamente ed imprevedibilmente ebbe a mettere la propria mano sinistra nell'ingranaggio dell'albero di trasmissione" del mezzo agricolo: modalità di produzione dell'evento traumatico che essi affermano accidentale, al più ascrivibile a titolo di colpa al solo padre bella bambina - che ne aveva la custodia -, e comunque a loro avviso non addebitabile al nonno, il quale non sapeva che la nipotina si trovasse sull'aia e nei pressi del trattore.
Tali censure investono essenzialmente questioni di fatto, come tali demandate al giudice del merito e nella specie motivatamente, e pertanto incensurabilmente decise in senso opposto a quanto si pretende.
Quanto, infatti, alla pretesa ignoranza della presenza della bambina, la Corte territoriale ha affermato il contrario sulla base delle stesse dichiarazioni rese a suo tempo da A. N. alla polizia giudiziaria e di ritenuto contenuto confessorio.
La Corte ha escluso l'accidentalità dell'evento dannoso addebitando ad entrambi i N. una condotta imprudente desunta dall'attività che essi al momento stavano espletando, dalla pericolosità del mezzo impiegato e dall'età della bambina.
Le censure che al riguardo muovono i ricorrenti principali sono prive di ogni fondamento: quanto, infatti, all'obbligo di custodia asseritamente gravante sul solo L. N. essi trascurano di considerare che l'evento dannoso fu determinato, come i giudici del merito hanno accertato, dall'albero di trasmissione del mezzo meccanico che entrambi i N. stavano al momento utilizzando.
La colpa di costoro - e, per quanto ancora rileva, del solo A. N. - doveva dunque essere accertata, come difatti è avvenuto, con riferimento a tale condotta ed alla prevedibilità o meno di eventi dannosi che essa avrebbe potuto provocare, come provocò, e la soluzione affermativa, cui la Corte territoriale è pervenuta, è ineccepibile giacché, nell'esercizio di detta attività, anche quest'ultimo era tenuto ad osservare il fondamentale precetto di "neminem laedere", riguardo al quale è stata rettamente giudicata irrilevante la circostanza che il rimorchio fosse stato ottenuto in prestito da terzi dal figlio, il quale aveva anche messo in funzione il motore.
In una situazione di fatto invero, nella quale, come gli stessi ricorrenti rilevano, "la parte posteriore del rimorchio, dove si trovavano N. L. ed A., occludeva la vista del trattore e dello snodo

in movimento ove si infortunò la minore K.", entrambi erano conseguentemente tenuti all'osservanza degli obblighi di diligenza e prudenza imposti dal tipo e dalle modalità dell'attività, in corso di svolgimento, e dall'età della bambina, obblighi riguardo ai quali gli artt. 1803 e 1804 c.c., asseritamente violati sono giuridicamente irrilevanti.

 

 

Non sussiste, infine, la violazione degli artt. 2730 e 2733 c.c., poiché la Corte territoriale è pervenuta all'affermazione della colpa anche di A. N. sulla base di circostanze di fatto in gran parte pacifiche e delle dichiarazioni confessorie rese dallo stesso, ritenute decisive nell'esercizio del proprio legittimo potere di apprezzamento delle risultanze processuali.
3) La sentenza impugnata ha confermato la liquidazione del danno, operata dal Tribunale in complessive L. 271.800.000, di cui L. 45.300.000 per danno morale, L. 4.500.000 per invalidità temporanea, L. 168.000.000 per danno biologico (80% di invalidità permanente x 2.100.000 a punto) e L. 54.000.000 (60% di danno fisico x 900.000) per perdita di "chances".
Tali punti della decisione formano oggetto del terzo subordinato motivo del ricorso principale, con il quale si allega la violazione degli artt. 2043, 2056 e 1224 c.c. nonché vizio di motivazione e ad essa si addebita l'eccessività del valore di punto utilizzato, la duplicazione di voci risarcitorie e la conseguente non debenza degli ulteriori 54 milioni, l'omessa riduzione del 10% per l'applicazione di protesi mioelettrica, l'omessa "compensatio lucri cum damno", la non debenza del danno morale ex art. 2050 e 2051 c.c., l'omessa motivazione sulla prova testimoniale articolata nell'udienza del 23 ottobre 1991.

 

 

Quest'ultima censura è inammissibile non avendo i ricorrenti, come avrebbero dovuto in osservanza dell'onere di autosufficienza del ricorso, in esso trascritto i capitoli di prova richiesti, che neppure risultano dalla sentenza impugnata, al fine di porre in grado la Corte, sulla sola base del ricorso, di esaminarne la rilevanza e concludenza.
Le censure sul valore - di L. 2.100.000 alla data della decisione di primo grado - del punto utilizzato per la liquidazione del danno biologico, sono generiche e contrastate dal rilievo che esso è perfino inferiore a quello massimo di L. 2.300.000 che essi stessi - come ora rilevano - avevano indicato.
La liquidazione, a titolo di ristoro della perdita di "chances", della somma di L. 54.000.000, è stata motivata nel senso che le gravi menomazioni subite dalla minore non ne precludevano "qualsiasi attività lavorativa ma solo alcune", talché doveva esserle riconosciuta una maggiorazione del compenso per danno biologico piuttosto che un vero e proprio lucro cessante.
I ricorrenti qualificano tale voce come danno alla vita di relazione, traggono da ciò che essa era già compresa nel danno biologico e sostengono conseguentemente che, sul punto, i giudici del merito sono incorsi in duplicazione di voci risarcitorie.
In realtà - osserva la Corte - la cosiddetta perdita di "chances" costituisce un'ipotesi di danno patrimoniale futuro, come tale risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate la sussistenza di un valido nesso causale tra il fatto e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno (Cass., 25 settembre 1998 n. 9598).
Nella specie, il nesso causale è, stato motivatamente, e pertanto insindacabilmente, ritenuto provato sulla base della grave entità del danno fisico riportato, dell'età della minore al momento del fatto e della probabile incidenza di esso sulla futura capacità lavorativa, mentre il danno è stato legittimamente quantificato in via equitativa ed in corretta applicazione dell' art. 1226 del codice civile.
È vero che, come osservano i ricorrenti, il Tribunale, pur dopo aver riconosciuto doverosa la liquidazione aveva nondimeno escluso il lucro cessante, ma tale motivazione, di per sé erronea per quanto già esposto, deve ritenersi rettificata dalla Corte territoriale, la quale ha ribadito la legittimità del ristoro della perdita suddetta senza fare riferimento a tale esclusione e dunque, come deve intendersi e come doveva a titolo di risarcimento di un danno patrimoniale futuro: che difatti è stato calcolato, come già in primo grado sulla sola percentuale (60%) di danno fisico.

Non sussiste, pertanto, l'allegata duplicazione di voci risarcitorie stante la diversità delle voci di danno, come sopra riconosciute (L. 168.000.000 per il danno biologico e L. 54.000.000 per danno da perdita di "chances").

 

 

Se la percentuale complessiva dell'80% - determinata dal c.t.u. , fatta propria dai giudici del merito e non investita dal ricorso - dovesse o non essere poi ridotta dal 10% come lo stesso consulente aveva proposto, è questione di fatto che nella specie è stata legittimamente decisa in senso negativo: non valgono infatti, a scalfire la motivazione sul punto il rilievo dei ricorrenti della possibile applicazione della protesi e la circostanza che la bambina è destrorsa, trattandosi, il primo, di evento futuro del quale i giudici del merito non hanno ritenuto di poter affermare l'effettiva incidenza sulla vita di relazione e sull'attività lavorativa della danneggiata.
Del pari legittimamente la Corte territoriale ha escluso che sull'ammontare del danno potesse incidere l'indennità di accompagnamento: perché, infatti, possa applicarsi il principio, al quale i ricorrenti si richiamano, della "compensatio lucri cum damno", è necessario che il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno. Ne consegue che dall'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegno di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa all'invalidità (come alla morte), giacché tali erogazioni si fondano su un titolo diverso rispetto all'atto illecito e non hanno finalità risarcitorie (tra le altre, in tal senso Cass., 18 novembre 1997 n. 11440).

 

 

Infondata è parimenti la censura che investe la liquidazione del danno morale, rettamente riconosciuto essendo stata, "incidenter tantum" affermata la responsabilità di entrambi i N. a titolo di lesioni personali colpose, e non già ex artt. 2050 e 2051 c.c. come invece - ed erratamente per quanto già esposto - si pretende.
4) Il Tribunale, con decisione confermata in appello, dopo aver calcolato l'ammontare del danno alla data della pronuncia, ha altresì attribuito, sulla somma complessivamente liquidata, gli interessi legali dalla data dell'illecito al soddisfo.
Fondata è la censura, pure contenuta nel terzo motivo del ricorso principale, che investe tale punto: essendo stato, infatti, liquidato il all'attualità, con riferimento, cioè, alla data della sentenza di primo grado e, quindi, con implicita e doverosa rivalutazione di esso, l'aver fatto decorrere gli interessi legali sulla intera somma così rivalutata dalla data dell'evento dannoso si pone in contrasto con la sentenza in data 17 febbraio 1995 n. 1712 di questa C.S., i cui principi sono stati confermati dalla successiva giurisprudenza.
Il lucro cessante cagionato al danneggiato dal ritardato pagamento della somma rivalutata a lui dovuta può, bensì, essere calcolato mediante l'attribuzione degli interessi, ma è escluso che essi possano essere, conteggiati - come avvenuto nella specie - dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale e rivalutata definitivamente dovendosi invece essi calcolare con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero ad un indice medio.
5) La Corte territoriale ha respinto il motivo di appello incidentale della R., che investiva l'ammontare di L. 45.300.000 del risarcimento del danno morale subito dalla figlia minore, ritenendo giusta ed equa tale liquidazione: pronuncia che forma oggetto del primo motivo del ricorso incidentale, che ad essa fondatamente addebita vizio di motivazione.
Al riguardo, la decisione è infatti apodittica e meramente apparente e non mostra di aver preso in effettiva considerazione le doglianze elevate dall'appellante.
6) La stessa Corte ha altresì respinto il motivo di appello incidentale con il quale la R. in proprio, si doleva del mancato riconoscimento a proprio favore del ristoro del danno morale da lei subito, negato dal Tribunale con il rilievo che a norma degli artt. 2056 e 1223 c.c. i soli danni morali suscettibili di risarcimento sono quelli sopportati dal danneggiato perché immediatamente e direttamente all'evento lesivo: punto della decisione che forma oggetto del secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce, vizio di motivazione e violazione di legge.

Il motivo è fondato: in tema di risarcimento del danno morale da fatto illecito configurato dalla legge come reato, il ristoro non può infatti essere limitato al solo soggetto passivo, come nella specie hanno invece ritenuto i giudici del merito con decisione che si pone in contrasto con l'affermazione che anche ai prossimi congiunti, ed in particolare ai genitori della vittima di lesioni colpose, spetta detto risarcimento (Cass., 23 aprile 1998 n. 4186 e 1 dicembre 1999 n. 13358).

 

 

Tale condivisibile indirizzo è basato sulla nozione di danno riflesso, cui questa Corte è pervenuta sulla base della teoria della causalità adeguata, che è a fondamento del nesso causale configurato dal legislatore, nozione della quale è stata fatta applicazione anche in altre fattispecie (quella, ad es., di cui alla sent. 1 dicembre 1998 n. 12195).
7) Alla stregua, di quanto esposto s'impone pertanto l'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale limitatamente alla decorrenza degli interessi legali, nonché del primo e secondo motivo del ricorso incidentale con la conseguente cassazione, su tali punti, della decisione impugnata.
Il giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della stessa Corte territoriale, si atterrà, quanto al computo degli interessi legali ai criteri sopra enunciati ("sub" 4); esaminerà il motivo di appello della R., nella qualità, relativo all'ammontare del danno morale liquidato alla figlia, e liberamente ma motivatamente deciderà se esso debba essere confermato nella misura stabilita dal Tribunale (misura che non potrà essere ridotta stante il rigetto del ricorso principale sul punto) o debba invece essere congruamente elevato; determinerà l'ammontare del risarcimento del danno morale dovuto anche alla R. in proprio.

 

 

La cassazione della sentenza impugnata fa venir meno il regolamento delle spese, da essa adottato, ed importa il conseguente assorbimento del terzo motivo del ricorso incidentale, che investe tale punto.
Allo stesso giudice del rinvio appare opportuno demandare, all'esito, anche il regolamento delle spese del giudizio di Cassazione

 

 

P.Q.M.

 


La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso principale ed il primo e secondo motivo di quello incidentale, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri motivi di quello principale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte, il 7 maggio 2001.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 LUGLIO 2001.