Cass. Civ., 23.04.1998, n. 4186



Sentenza

(omissis...)

1.1. Vanno, anzitutto, riuniti i ricorsi.

Occorre, poi, esaminare il primo motivo del ricorso incidentale, attesane la pregiudizialita' in relazione ai motivi del ricorso principale.

Con detto motivo la ricorrente incidentale ......... s.p.a. lamenta la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., poiche', a parere della ricorrente, il ristoro dei danni morali non puo' essere riconosciuto in favore dei prossimi congiunti del soggetto vittima di lesioni colpose.

1.2. Detto motivo e' infondato.

Va, anzitutto, rilevato che per la giurisprudenza costante di questa Corte i prossimi congiunti della persona offesa dal reato di lesioni personali, ancorche' minore di eta', non hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, mentre hanno diritto al risarcimento in caso di omicidio e quindi di decesso della vittima (Cass. 17.11.1997, n. 11396; Cass. 17.10.1992, n. 11414; Cass. 16.2.1988, n. 6854; Cass. 21.5.1976, n. 1845; Cass. 13.4.1973, n. 1056; Cass. 25.5.1972, n. 1658; Cass. 15.10.1971, n. 2915). In questo quadro risulta quindi isolata la decisione di legittimita' costituita da Cass. Pen. 2.11.1983, n. 9113, secondo cui se i postumi invalidanti sono talmente gravi da determinare la perdita delle piu' importanti funzioni e capacita' dell'individuo, si' che egli si riduce ad una mera vita vegetativa, il danno morale dei prossimi congiunti e' danno risarcibile, dovendosi un tale stato assimilare alla morte dell'offeso, con conseguente pregiudizio morale, direttamente ed immediatamente ricadente sui parenti.

La giurisprudenza di merito, per quanto non maggioritaria, ha spesso riconosciuto il danno morale anche ai prossimi congiunti del soggetto leso ritenendo che non vi e' ragione alcuna per distinguere l'ipotesi di lesioni colpose da quelle di omicidio poiche' nell'uno come nell'altro caso, le sofferenze dei prossimi congiunti derivano direttamente dal fatto illecito costituente reato. La giurisprudenza di legittimita' esclude il risarcimento del danno morale in siffatti ipotesi per il difetto di nesso causale ai sensi dell'art. 1223 c.c..

Si osserva che per il principio della risarcibilita' del solo danno diretto ed immediato, stabilito dall'art. 1223 c.c., il risarcimento del danno non patrimoniale spetta soltanto a chi ha direttamente ed immediatamente subito la sofferenza, e cioe' al soggetto leso e non anche ai prossimi congiunti, perche' costoro, soffrendo per le sofferenze del proprio familiare, non sono colpiti in modo diretto ed immediato dalla condotta lesiva del terzo.

Nell'ipotesi di omicidio, invece, essendo venuta meno la persona colpita, i prossimi congiunti sono i soggetti che in primis subiscono la sofferenza, mentre altrettanto non puo' dirsi nel caso di lesioni ove vi e' gia' un soggetto, cioe', il leso, il quale subendo la sofferenza in modo diretto ed immediato, beneficia del risarcimento del danno in esame.

 

Viene, altresi', osservato che un'eventuale risarcibilita' di tale danno anche in favore dei prossimi congiunti del soggetto leso condurrebbe al risultato che il responsabile sarebbe tenuto ad una sola liquidazione nel caso di omicidio (a favore dei prossimi congiunti della vittima) ed a duplice liquidazione nel caso di lesioni (a favore del leso e dei prossimi congiunti).

Per superare questo ostacolo della risarcibilita' del solo danno, quale conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo del terzo, a volte la giurisprudenza di merito ha ritenuto che il danno morale subito dai prossimi congiunti si identifica in un danno alla loro serenita' familiare ed altre volte in un danno all'esplicazione della personalita' di genitore , costituendo, quindi, una conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo.

 

1.3. Questa Corte, rimeditando la questione, ritiene di non poter condividere il principio secondo cui i prossimi congiunti del soggetto, vittima di lesioni, non hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.

Non pare, infatti, che possa condividersi l'assunto secondo cui costerebbe a tale riconoscimento il fatto che tale danno, essendo in vita la vittima della lesione, sarebbe solo un danno costituente conseguenza mediata ed indiretta della lesione, e come tale non risarcibile a norma dell'art. 1223 c.c., richiamato dall'art. 2056 c.c..

Infatti, a parte la dibattuta questione se la norma di cui all'art. 1223 c.c. regoli il nesso di causalita' giuridica, mentre il nesso di causalita' materiale sia regolato esclusivamente dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p.c., con conseguente distinzione tra causalita' di fatto (contenuta nella struttura dell'illecito ed avente come referenti le predette norme penali) e causalita' giuridica (contenuta nella struttura della valutazione del danno, di cui agli artt. 2056 1223 c.c.), sta di fatto che per la giurisprudenza pacifica il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito (o dall'inadempimento in tema di responsabilita' contrattuale), deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalita', in modo da comprendere nel risarcimento i danni indiretti e mediati, che si presentino come effetto morale, secondo il principio della c.d. regolarita' causale (Cass. 6.3.1997, n. 2009; Cass. 10.11.1993, n. 11087; Cass. 11.1.1989, n. 65; Cass. 18.7.1987, n. 6325; Cass. 20.5.1986, n. 3353; Cass. 16.6.1984, n. 3609).

Pertanto un evento dannoso e' da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non): ma nel contempo non e' sufficiente tale relazione causale per determinare una causalita' giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali cosi' determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiono del tutte inverosimili (cd. teoria della causalita' adeguata o della regolarita' causale, la quale in realta', come e' stato esattamente osservato, oltre che una teoria causale, e' anche una teoria dell'imputazione del danno).

Ritenuto quindi, che ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il nesso di causalita' fra fatto illecito ed evento, puo' essere anche indiretto e mediato (Cass. n. 65/1989, cit.), purche' con le caratteristiche suddette, non e' sufficiente fare riferimento al disposto dell'art. 1223 c.c., per escludere il risarcimento del danno morale in favore dei congiunti del leso,poiche' non vi e' dubbio che lo stato di sofferenza dei congiunti, costituente il loro danno morale, trova causa efficiente, per quanto mediata, pur sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso.

1.4. Cosi' rivisitato il nesso di causalita', la dottrina e la giurisprudenza hanno individuato la figura del cd. danno riflesso (anche sulla scia della giurisprudenza francese, dove si parla di danno da rimbalzo). La giurisprudenza riconosce la risarcibilita' dei cosiddetti danni riflessi, ossia delle lesioni di diritti, conseguenti al fatto illecito altrui, di cui siano portatori soggetti diversi dall'originario danneggiato, ma in significativo rapporto con lui (Cass. n. 60 del 1991).

 

Il principio applicato e' sempre quello della regolarita' causale, in quanto sono considerati risarcibili i danni che rientrano nel novero delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto. Cosi' e' stato

concesso il risarcimento del danno per la lesione del diritto del coniuge ai rapporti sessuali, in conseguenza di un fatto lesivo che abbia colpito l'altro coniuge, cagionandogli l'impossibilita' di tali rapporti (Cass. 11/11/1986, n. 6607).

 

Con riguardo a fatto illecito che abbia colpito il congiunto senza causarne la morte, e' stata ritenuta ammissibile la richiesta del risarcimento della lesione dei cd. diritti riflessi, di cui sono portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto, quando la lesione di tali diritti sia eziologicamente collegata con il fatto illecito. Pertanto, in siffatta ipotesi, e' stata riconosciuta la legittimazione dei prossimi congiunti ad agire nei confronti dell'autore del fatto per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza delle lesioni patite dal congiunto e cio anche con riferimento non solo al danno patrimoniale (danno conseguenza), ma anche con riferimento allo stesso danno biologico (danno evento, rientrante pero' pur sempre nell'ambito dell'art. 2043 c.c.) (Cass. 17.9.1996, n. 8305).

Per quanto la problematica del danno riflesso (e quindi del diritto riflesso) sia stata sviluppata prevalentemente con riferimento alla fattispecie del risarcimento del danno patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c., tuttavia non vi sono ostacoli sotto il profilo teorico a concepire anche un danno non patrimoniale riflesso (a parte il rilievo, tutt'altro che secondario, che risulterebbe estremamente arduo, oltre che iniquo, negare consistenza teorica ad un fatto che nella realta' e' unanimemente riconosciuto esistente).

Ritenuto, quindi, che il danno morale dei congiunti della vittima di una lesione puo' rientrare nell'ambito dei danni riflessi, deve concludersi che non vi e' un ostacolo alla sua risarcibilita' per effetto della sua intima struttura.

1.5. Occorre ora esaminare se l'eventuale irrisarcibilita' di detto danno discenda dalla struttura della norma che lo prevede e cioe' dell'art. 2059 c.c.. Detta norma stabilisce limiti assai rigidi al risarcimento del danno non patrimoniale (costituendo lo stesso una figura tipica e non atipica, come quella di cui all'art. 2043 c.c.), con il rinvio all'art. 185 c.p. che trovasi sotto il titolo delle "sanzioni civili", (salvi pochi altri casi marginali), per cui autorevoli Studiosi ne hanno tratto la conseguenza che solo la persona offesa dal reato, e cioe' il titolare del bene giuridico leso dallo stesso, puo' far valere la relativa pretesa.

Il secondo comma di detto art. 185 c.p. statuisce che: "Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili debbono rispondere per il fatto di lui". Senza voler entrare nel merito della vexata quaestio se il danno risarcibile sia il danno criminale (cioe' il danno causato dal lesione del bene protetto dalla norma) o il danno civile (che prescinde da qualsiasi legame con l'oggettivita' giuridica del reato), va tuttavia preso atto che il recente incontrastato orientamento della giurisprudenza penale (sia di legittimita' che di merito) distingue tra persona offesa dal reato (art. 90 c.p.p.), che e' il titolare del bene giuridico protetto dalla norma, ed il danneggiato civile, che e' il soggetto che dal reato ha ricevuto un danno non necessariamente coincidente con la persona offesa, e che e' legittimato a costituirsi parte civile (art. 74 c.p.p.) (Cass. Pen. 19.12.1990, n. 16708; Cass. Pen. 3.3.1993, Del Salvio; Cass. Pen. 18.10.1995, Costioli).

 

Stante questa impostazione e riconosciuta, quindi, la legittimazione attiva a richiedere il risarcimento del danno patrimoniale ad ogni soggetto che abbia subito un siffatto pregiudizio dal reato, sia esso il soggetto passivo o non lo sia, non si puo' escludere detta legittimazione relativamente al danno non patrimoniale nei confronti del soggetto che l'abbia subito (e quindi come tale sia danneggiato), pur senza essere il soggetto passivo del reato.

Infatti ne' l'art. 185 c.p. ne' l'art. 7 4 c.p.p. stabiliscono una diversa legittimazione attiva per la richiesta di risarcimento nel caso in cui il danno sia patrimoniale o non patrimoniale, ma richiedono solo che il danno sia stato cagionato dal reato, riportando quindi tutta la questione esclusivamente nell'ambito del nesso causale tra reato e danno. Ne' una restrizione di legittimazione attiva in favore della sola parte offesa dal reato emerge dall'art. 2059 c.c., che si pone sul punto come norma di mero rinvio.

 

D'altronde la fragilita' della tesi che riconosce la legittimazione al risarcimento del danno solo in favore della persona offesa emerge dal fatto che detto orientamento poi per antica tradizione riconosce, in caso di morte della vittima per effetto del reato (e cioe' di omicidio), la legittimazione a richiedere il risarcimento del danno anche non patrimoniale in favore dei congiunti, che certamente non sono la persona offesa dal reato di omicidio.

Ne consegue che dalla struttura della norma di cui all'art. 2059 c.c.(nonche' dalle norme cui detto articolo rinvia) non emerge alcuna limitazione alla legittimazione attiva dei congiunti della vittima a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale. Essa si limita, con il rinvio all'art. 185 c.p., solo a tipicizzare i casi di risarcibilita' del danno non patrimoniale. Escluso, quindi, che per il dato normativo (art. 2059 c.c.) consegua un difetto del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale dei congiunti della vittima del reato di lesione, occorre ora esaminare se cio' possa essere conseguenza della particolare natura o funzione di questo tipo di risarcimento, come pure sostenuto da alcuni Autori.

1.6. Come e' noto sulla questione relativa alla natura del risarcimento del danno ex art. 2059 c.c. vi sono quattro orientamenti dottrinali (natura risarcitoria, satisfattiva, punitiva, satisfattiva punitiva). Rileva questa Corte che qualunque natura si riconosca al risarcimento in questione, essa e' perfettamente compatibile (se non addirittura rafforzativa) con quanto qui si sostiene.

Infatti sia che si riconosca a detto "risarcimento" del danno non patrimoniale la natura risarcitoria sia che si riconosca quella satisfattiva, il referente rimane sempre il soggetto che ha subito il danno (per quanto in via riflessa), per cui si avranno tanti "risarcimenti" o "soddisfazioni" quanti sono i soggetti danneggiati.

I sostenitori della natura punitiva (analoga a quella dei punitive damages del diritto anglosassone) di detto risarcimento ritengono che la pretesa riparatoria del soggetto leso trovi fondamento nel diritto riconosciuto allo stesso di esercitare una reazione all'illecito subito, al fine di "punire" il danneggiante, per cui e' del tutto evidente che solo a questi spetti l'esercizio dell'azione giudiziale. Se si ammettesse anche il diritto dei prossimi congiunti a chiedere il risarcimento del danno morale si violerebbe il principio del ne bis in idem, punendo piu' volte lo stesso soggetto per lo stesso fatto.

 


Senonche', anche se per ipotesi si condividesse detta tesi, va rilevato che la funzione "punitiva" non attiene all'evento penale, per il quale vi e' gia' la pena pubblica, ed in questo caso si' che si avrebbe la violazione del principio per cui uno stesso soggetto non puo' essere punito piu' volte per lo stesso fatto, ma attiene agli eventi civili, che il fatto di reato ha prodotto. Se il comportamento criminale dell'agente ha prodotto piu' danni morali per quanto in via riflessa come sopra detto, ed in questo senso ha, in sede civile, offeso piu' soggetti, a ciascuno di questi spettera' esercitare l'asserita "funzione punitiva" in questione. Peraltro anche questa tesi della funzione di pena privata del risarcimento del danno ex art. 2059 c.c. (che fortemente sostiene che i prossimi congiunti del soggetto leso non possono richiedere il risarcimento del danno morale proprio per il principio dell'unicita' della pena) riconosce, nel caso di danno morale subito dai congiunti della vittima di omicidio, a tutti i congiunti il diritto al risarcimento ex art. 2059, c.c., dando luogo, quindi, ad una

pluralita' di "pene private" comminate per uno stesso fatto. Se si segue la tesi compromissoria (satisfattiva punitiva), valgono le osservazioni gia' fatte per ognuna delle due componenti.

 

Ne consegue che, qualunque sia la natura del risarcimento del danno di cui all'art. 2059 c.c., da essa, lungi dall'emergere motivi che escludano il diritto al risarcimento del danno morale in favore dei congiunti della vittima del reato di lesione, risultano ulteriori elementi a sostegno della configurabilita' di tale diritto.

1.7. Diversa questione, ma pure rispondente ad una reale esigenza prospettata dall'orientamento che nega il diritto ai prossimi congiunti del soggetto leso al risarcimento del danno morale, e' quella di evitare un allargamento a dismisura dei risarcimenti di danno morale. Sennonche' cio' e' un posterius rispetto al problema che qui si e' esaminato, che e' attinente alla legittimazione dei prossimi congiunti alla domanda di risarcimento del danno morale ed andra' risolto, come per il danno patrimoniale o biologico riflesso degli stessi, non solo sulla base di una rigorosa prova dell'esistenza di questo danno, evitando di rifugiarsi dietro il "notorio", ma anche alla stregua di un corretto accertamento del nesso di causalita', da intendersi come causalita' adeguata o regolarita' causale), nei termini sopra detti. Ne consegue che il primo motivo del ricorso incidentale va rigettato.

2.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti principali lamentano la mancanza ed insufficienza della motivazione, riguardante il mancato esame dei motivi di appello con cui i ricorrenti avevano lamentato l'inadeguatezza della liquidazione del danno biologico subito da P.... P........per invalidita' permanente del 50%, nonche' del danno da invalidita' permanente e quello morale, nonche' del danno morale subito dai genitori del predetto.

2.2. Il motivo e' fondato ... (omissis)...

3.1. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che per quanto la ........ s.p.a. avesse solo proposto appello incidentale sull'an del danno morale liquidato in favore dei genitori, il giudice di appello, ritenendo illegittimamente che in detta doglianza fosse anche compresa quella relativa al quantum, pur affermando l'infondatezza della doglianza relativamente all'an, riduceva la liquidazione di detto danno morale nella misura di L. 20 milioni per ciascun genitore.

3.2. Anche detto motivo e' fondato e va accolto... (omissis) ...

4.1. Parzialmente fondato e' il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui la ricorrente ........s.p.a. lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., in quanto la sentenza di appello ha disposto la decorrenza degli interessi legali sulle somme dovute a titolo di danno biologico e danno morale dalla data del fatto, ed ha riformato sul punto la sentenza di primo grado che faceva decorrere gli interessi dalla data della sentenza, pur essendo state dette somme liquidate alla data attuale.

4.2. ... (omissis)...

5.1. Fondato e' il terzo motivo del ricorso incidentale con cui la ricorrente ..... s.p.a. lamenta che la sentenza impugnata non abbia limitato la sua condanna al pagamento della somma liquidata nei limiti del massimale.

 

5.2. ... (omissis)...

6. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al I e II motivo del ricorso principale ed al II motivo, per quanto di ragione, e III motivo del ricorso incidentale con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, che si uniformera' ai principi suddetti e provvedera' anche sulle spese di questo giudizio di legittimita'.Rimane assorbito il III motivo del ricorso principale va rigettato il primo motivo del ricorso incidentale.

 

P.Q.M

Riunisce i ricorsi.

Accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, nonche' il secondo, per quanto di ragione, e terzo motivo del ricorso incidentale, rigettandolo nel resto. Cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

Cosi' deciso in Roma 16.12.1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 23 APR. 1998