Cass. Civ. Sez. III, 11.02.1998, n. 1421



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Ugo DE ALOYSIO Presidente
Francesco SOMMELLA Consigliere
Giovanni Silvio COCO "
Claudio FANCELLI "
Francesco SABATINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA
sui ricorsi:

 

n. 15490/95 proposto

da

B. A. e M. C., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore D., elett. dom. in Roma, Via Monte Zebio n. 43, presso lo studio dell'avv. Cesare Testa che li rappresenta e difende, unitamente all'avv. Federico Frediani, in virtù di procura in calce al ricorso

Ricorrenti

contro

 

U.S.L. 8 (già 23) DI AREZZO, in persona del legale rappresentante, ed A. F., elett. dom. in Roma, via Panama n. 88, presso lo studio dell'avv. Giorgio Spadafora che li rappresenta e difende in virtù di procura a margine del controricorso unitamente all'avv. Colussi Oliviero

Intimati Controricorrenti
n. 539/96 proposto

da

 

U.S.L. 8 (già 23) DI AREZZO e A. F., elett. dom., rappresentati e difesi ut supra

Controricorrenti Ricorrenti incidentali
contro

B. A. e M. C., in nome e nella qualità, elett. dom., rappresentati e difesi ut supra.

Controricorrenti

Visti i ricorsi avverso la sentenza n. 722 in data 17.3-7.6.1995 della Corta di Appello di Firenze (r.g. n. 1323/92).

 

Udita nella pubblica udienza del 12 novembre 1997 la relazione del consigliere dott. Francesco Sabatini.

E' comparso per i ricorrenti principali l'avv. Cesare Testa, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso di costoro.

 

Sentito il P.M., in persona del sost. Procuratore generale dott. Alberto Cinque, che ha chiesto dichiararsi inammissibili il ricorso principale di B. A. in proprio ed il ricorso incidentale, e rigettarsi il ricorso di M. Carlo e del figlio minore.

Svolgimento del processo

...(Omissis)

Il 6 marzo 1984 A. B., all'epoca trentaduenne, si sottopose, nel reparto ginecologico dell'ospedale di Arezzo, ad intervento di interruzione volontaria della gravidanza giunta, secondo gli accertamenti, alla nona settimana: l'intervento fu eseguito dal dottor F. A. con la tecnica Karman (aspirazione endouterina).

Dimessa lo stesso giorno, la predetta fu colta il 21 marzo successivo da lancinanti dolori, e, pertanto, nuovamente ricoverata nel reparto chirurgico dello stesso ospedale ed ivi sottoposta ad intervento demolitore con pericolo di vita in presenza di emiperitoneo massivo in rottura di gravidanza extrauterina angolare".

 

Con atto di citazione del 18 novembre - 1 dicembre 1988 la stessa ed il marito C. M., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore D., tanto premesso, convennero dinanzi al Tribunale di Arezzo la U.S. L. n. 23 ed il dott. A., e ne chiesero la condanna al risarcimento dei danni, in misura non inferiore ad un miliardo di lire.
A sostegno della domanda dedussero che, all'esito della interruzione volontaria della gravidanza, non era stato dato alla paziente tempestivo avviso della necessità di accertamenti più approfonditi come la ecografia, da cui sarebbe stata sicuramente rilevata la gravidanza extrauterina, e che tale omissione aveva reso necessaria l'esecuzione dell'intervento demolitore. Dal fatto erano derivati alla stessa non solo il pericolo di vita, ma anche la privazione della capacità di procreare ulteriormente, con conseguenti turbe neurovegetative assimilabili a menopausa precoce, aumenta di peso, cefalee, vomito: danno, questo, incidente anche sulla sfera familiare e soprattutto su quella sessuale del marito per l'accertata diminuzione della libido della moglie. Precisarono, infine, che il procedimento penale, instaurata contro l'A. ed altri, erasi estinto per amnistia.
I convenuti impugnarono la domanda nell'an e nel quantum.
Con sentenza del 20 dicembre 1991 l'adito Tribunale all'esito della espletata consulenza tecnica d'ufficio, accolse la domanda della B. e del M. in proprio, e liquidò i danni in L. 130.000.000 a favore della prima e, al secondo, in L. 33.000.000 (di cui L. 3.000.000 di danno patrimoniale e L. 30.000.009 di danno morale), oltre accessori, rigettando ogni altra domanda. Con la sentenza, ora gravata, la Corte di Appello, in parziale riforma di detta decisione, impugnata in via principale dagli attori ed in via incidentale dai convenuti, ha elevato l'ammontare del danno, subito dalla B., a L. 350.000.000, di cui L. 250.000.000 a titolo di danno biologico (comprensivo del danno alla vita di relazione, del danno estetico e del danno sessuale) e L. 100.000.000 per danno morale, ha respinto la domanda del M. in proprio ed ha confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda avanzata dagli attori quali legali rappresentanti del figlio minore.
La Corte, dopo aver rilevato che il fatto era stato determinato dalla negligenza dell'A., ha - per quel che qui ancora interessa - negato al M. ed al figlio minore ogni risarcimento, ritenendo non competere il ristoro del danno morale per le lesioni personali riportate da un prossimo congiunto, trattandosi di danno non derivato, immediatamente e direttamente, dal fatto illecito.
Per la cassazione di tale decisione la B.ed il M., in proprio e nella qualità, hanno proposto ricorso, affidato a due motivi. Gli intimati resistono con controricorso e contestuale ricorso incidentale, dei quali i ricorrenti principali, nel relativo controricorso, hanno eccepito la inammissibilità. Questi ultimi e la U.S.L. hanno anche depositato memoria.

Motivi della decisione

 

 

1) I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti ( art. 335 c.p.c.) perché investono la medesima sentenza.
2) A sostegno della sollevata eccezione, i ricorrenti principali osservano che i resistenti, ancorché abbiano qualificato il loro scritto difensiva anche come "ricorso incidentale", in realtà nessuna censura hanno proposto avverso la decisione di secondo grado, avendo essi al contrario concluso chiedendo sic et simpliciter il rigetto del ricorso principale. Aggiungono che mentre, come risulta dalla intestazione di detto atto, la U.S.L. resiste in persona del presidente p.t., la procura a margine risulta invece rilasciata dal direttore generale: contrasto, questo - affermano - che importa incertezza sull'organo rappresentativo dell'ente e, conseguentemente, la nullità della relativa costituzione in giudizio.
La prima eccezione è fondata, non avendo né l'A. né la U.S.L., pur qualificando il loro atto difensiva anche quale ricorso incidentale, avanzato alcuna censura avverso la decisione di secondo grado: detto ricorso è, pertanto inammissibile.
È parimenti inammissibile - come devesi rilevare d'ufficio - il ricorso principale della B. in proprio, non avendo costei a sua volta proposto, in tale qualità, censure di sorta avverso la stessa decisione: la quale, come esposto in narrativa, le ha riconosciuto un risarcimento di complessive L. 350.000.000.
È, infine, inammissibile anche il controricorso della U.S.L., dal momento che, mentre, nella intestazione di esso, questa ha implicitamente indicato nel presidente il proprio legale rappresentante, la relativa procura speciale a margine è stata invece sottoscritta dal direttore generale dell'ente. Nessun chiarimento è stato da questo reso riguardo alla effettiva titolarità della propria legale rappresentanza, neppure nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c. - dopo, quindi, che l'avversa eccezione era stata sollevata -, né risulta prodotta alcuna documentazione al riguardo.
Essendo stata la procura in questione rilasciata da persona fisica diversa da quella che, come sopra, risulta investita del potere rappresentativo, essa è nulla, e, pertanto, il controricorso è inammissibile.
3) Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., e si afferma che la decisione impugnata, nella parte in cui ha respinto le pretese risarcitorie, avanzate dal M. in proprio e da entrambi i ricorrenti, quali legali rappresentanti del figlio minore, è illegittima: l'interruzione volontaria della gravidanza è, infatti un episodio isolato nella vita della donna, che non può impedire a costei in futuro, di divenire madre. Da ciò i ricorrenti traggono che l'illecito, commesso dai convenuti, ha prodotto un danno, morale e biologico, non limitato alla donna, come, invece, ha ritenuto la Corte territoriale, sibbene esteso anche ai predetti congiunti, i quali vivranno di riverbero il dolore della rispettiva moglie e madre, e vedranno disattese le possibilità di ampliare il nucleo familiare e compromesso il libero esplicarsi della loro vita di relazione. Ed essendo tutelati dalla costituzione sia il matrimonio (art. 29) che il rapporto di filiazione (art. 30), le norme, asseritamente violate, ove interpretate nel senso seguito dalla Corte territoriale, apparirebbero sospette di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost.

 

 

Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano che la decisione impugnata, nella parte in chi ha riconosciuto alla donna il risarcimento del danno, negato invece al marito ed ai figlio, appare contraddittoria, poiché è illogica ed illegittimo - affermano - limitare il diritto di questi ultimi al ristoro al solo caso di morte del prossimo congiunto, e subordinatamente prospettano, sotto tale profilo, dubbi di illegittimità costituzionale degli stessi artt. 2043 e 2059 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 29 30 e 32 Cost.
4) Osserva la Corte che i due motivi - i quali, dunque, investono le sole posizioni del M. in proprio e del minore - possono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente connessi.

Prendendo in primo luogo in esame le doglianze relative al danno biologico deve rilevarsi che la relativa prospettazione è più ristretta di quella avanzata nell'atto introduttivo, nel quale venne addotto, riguarda al marito, che, a seguito e per effetto dell'intervento chirurgico demolitore, subito dalla moglie nelle circostanze anzidette, erano a lui derivate conseguenze pregiudizievoli afferenti la sfera sessuale

 

 

Queste ultime, non essendo oggetto del ricorso, non possono essere pertanto prese in considerazione, casi come, del resto, non possono essere esaminate, nella loro totalità, le censure elevate dal M. in proprio riguardo al danno predetto: in primo grado, venne infatti riconosciuto a costui il risarcimento del solo danno patrimoniale e morale, dal che discende che, non avendo egli, in tale qualità, proposto appello per ottenere il ristora anche di quello biologico, sul diniego di questo si è formato il giudicato interno, come può e devesi, d'ufficio, rilevare.
Nei riguardi del figlio minore - nei confronti del quale, rimasto soccombente in toto già in primo grado, la stessa preclusione non si è invece verificata stante l'appello, in suo nome ed a suo tempo ritualmente prodotto - il danno biologico viene prospettato sub specie di danno alla vita di relazione per i riflessi pregiudizievoli, attuali e futuri, a lui asseritamente derivanti dalla impossibilità di procreare, cagionata alla madre dall'atto illecito, dedotto in giudizio.
Trattasi, dunque, di danno - così come prospettato - riflesso, la cui astratta risarcibilità è stata già riconosciuta da questa Corte Suprema, con sentenze, tra le altre, del 7 gennaio 1991 n. 60 e del 17 settembre 1996, n. 8305, in limiti, tuttavia, che devono essere verificati in relazione alla concreta fattispecie.

 

 

Deve premettersi che il danno, così come addotto nell'interesse del figlio minore (come del resto, - dal marito, è rimasto, nel corso del giudizio di merito, una mera allegazione, priva di ogni supporto probatorio, che la parte era tenuta ad offrire, sia pure mediante elementi indiziari, dal momento che dalla sopravvenuta incapacità a procreare della madre (o della moglie non necessariamente derivano - come invece si afferma - effetti pregiudizievoli per il figlio precedentemente nato (o per il marito, i quali, al contrario, potrebbero trarre, da tale situazione, benefici: ad esempio rispettivamente, sul piano delle aspettative ereditarie o su quello del rapporto di coppia.
Parimenti, anche la conclamata certezza di una futura nuova maternità della donna, pur dopo l'interruzione volontaria della gravidanza, qualificata episodica - certezza posta anch'essa a fondamento della rivendicazione del danno biologico -, è rimasta, nel corso del giudizio di merito, una mera allegazione, riguarda alla quale non può non rilevarsi che, nel nastro Paese, il diffuso calo della natalità ha assunto le dimensioni di un fenomeno sociale di rilevanti dimensioni, il quale ha, notoriamente, collocato l'Italia, statisticamente, ai primi posti nel mondo: talché l'addotta episodicità, a fronte della concreta eventualità di una contraria ed irreversibile scelta della donna - la quale ben avrebbe potuto ritenersi già appagata nella sua speranza di maternità dall'essersi questa già realizzata -, avrebbe dovuto trovare un qualche riscontro probatorio, che non risulta però acquisito.
Proprio sulla implicita premessa di tale carenza probatoria, insindacabilmente, dunque, la Corte territoriale è apparsa orientata a ravvisare astrattamente, nella fattispecie dedotta in giudizio, la sola lesione di un danno morale, peraltro non riconosciuta in concreto per quanto successivamente (sub 5) si esporrà.
A parte ciò, è comunque decisiva - si riconduca il riconoscimento del danno biologico all'art. 2043 (Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184) ovvero all'art. 2059 c.c. (Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372) - che nessun diritto è riconosciuto al figlio (come al marito) dalla legge (costituzionale ed ordinaria) per l'accrescimento del nucleo familiare, cui entrambi appartengono, potendo l'uno e l'altro al riguardo vantare, al più, un interesse di mero fatto.
È nota l'evoluzione che, nella responsabilità extracontrattuale, ha subito nel corso degli anni la nozione di danno ingiusto, nozione che, nella più recente casistica giudiziaria, sembra essere approdata agli stessi risultati applicativi derivanti dalla norma del codice civile tedesco (par. 823) in

forza della quale l'obbligo risarcitorio "grava su colui che viola una norma di legge avente per fine la protezione di un altro".

 

 

In tale scia sostanzialmente si collocano le già citate sentenze n. 60/1991 e n. 8305/96 di questa C.S. Precisa quest'ultima - in un caso di gravi lesioni alla persona, le quali avevano asseritamente prodotto effetti pregiudizievoli al coniuge ed ai figli - che "trattasi di danni solo apparentemente mediati, in quanto l'evento lesivo tocca immediatamente la famiglia intesa come formazione sociale interrelata, ove i singoli componenti realizzano la propria personalità e i cui diritti inviolabili sono costituzionalmente garantiti".
Orbene, con ordinanza del 31 marzo 1988, n. 389, la Corte costituzionale (la quale, successivamente, con sentenza del 10 febbraio 1997, n. 35, ha dichiarato inammissibile, in quanto avente ad oggetto disposizioni di legge a contenuto costituzionalmente vincolato, la richiesta di referendum abrogativo della legge 22 maggio 1978, n. 194, nei limiti di cui alla sentenza stessa) ha dichiarato manifestamente inammissibile, in quanto implica scelte discrezionali riservate al legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della stessa legge, nella parte in cui, nel procedimento per l'interruzione volontaria della gravidanza, prevede, anche nel caso di donna legittimamente coniugata, come solo eventuale l'audizione del marito, padre del concepito ed esclude comunque, in ogni caso, qualsiasi rilevanza della sua volontà in ordine alla decisione di interrompere la gravidanza, osservando che tale scelta politico -legislativa non può considerarsi irrazionale in quanto è coerente al disegno dell'intera normativa e, in particolare, all'incidenza se non esclusiva sicuramente prevalente dello stato gravidico sulla salute sia fisica che psichica della donna".

 

 

Se, dunque, al marito, posto dinanzi ad una gravidanza già in atto della moglie, non è riconosciuto alcun diritto al compimento di essa, a maggior ragione deve pervenirsi alla stessa conclusione relativamente al figlio.
Non ingiusto, nei riguardi di lui, è, pertanto l'atto illecito in danno della madre, che privi costei della capacità di procreare: atto, pertanto, che non può abilitare la stessa minare ad avanzare pretese risarcitorie, nei sensi, così come nella specie prospettati.
L'interesse di mero fatto di cui, per le considerazioni sopra svolte, al più può essere riconosciuto titolare il figlia, rende manifestamente infondati i prospettati profili di illegittimità costituzionale.
5) Il diniego del danno morale, che era stato richiesto dal marito e dal figlio minore per effetto dell'azione lesiva dell'integrità fisica della rispettiva moglie e madre, è stato motivato dai giudici del merita in espressa adesione all'indirizzo giurisprudenziale, in tal senso formatosi (da ultimo, Cass. 16 dicembre 1988, n. 6854, e 17 ottobre 1992, n. 11414), e basata sul rilievo che l'art. 185 cpv. c.p. attribuisce l'azione risarcitoria al solo soggetto passiva del reato di lesioni colpose, e che il danno sarebbe invece duplicato, ave esso fosse riconosciuto anche ai prossimi congiunti.
I ricorrenti non adducono argomenti contrastanti con tali rilievi e si limitano a prospettare un vizio di motivazione nonché a proporre una questione di legittimità costituzionale delle norme relative sulla premessa della disparità di trattamento rispetto al caso in cui la condotta illecita abbia invece prodotta un evento mortale, nel quale il danno morale è invece pacificamente riconosciuto ai prossimi congiunti: questione - osserva però la Corte - manifestamente infondata, poiché l'ontologica diversità dell'evento naturalistico (morte o soltanto lesioni giustifica il diverso trattamento ed esclude la contraddittorietà della motivazione.
6) Il ricorso del M. e della B., quali legali rappresentanti del figlio minare Davide, e del M. in proprio, è, pertanto, infondato.
I ricorrenti principali devono ( art. 91 c.p.c.) essere conseguentemente condannati, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dell'A., mentre non può provvedersi nei riguardi della U.s.l. stante la rilevata inammissibilità del controricorso di detto ente.

 

 

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e dichiara inammissibili il ricorso principale della B. in proprio; il ricorso incidentale, nonché il controricorso della U.s.l. Rigetta il ricorso di M. Carlo in proprio, e dello stesso e della B. nel nome del minore, e condanna i ricorrenti principali, il solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore dell'A., liquidate in lire 510.200 oltre lire 2.500.000 di onorari.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte, il 12 novembre 1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA L'11 FEBBRAIO 1998.