Cass. Civ. Sez. III, 17.11.1997, n. 11396



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

 

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

 

 

Dott. Manfredo GROSSI Presidente
Ugo ALOYSIO Consigliere
Vincenzo SALLUZZO Rel. "
Giovanni Battista PETTI "
Bruno DURANTE "

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

U. A., U. R., R. U. B., elettivamente domiciliati in Roma Via Anapo 29, presso lo studio dell'avvocato Dario Di Gravio, che li difende, giusta delega in atti;

 

Ricorrenti
contro
C. NAZ V. E. II, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso gli uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato, da cui è difesa per legge;
Controricorrente
nonché contro
TORO ASSIC SPA;
Intimata avverso la sentenza n. 1669/95 della Corte d'Appello di Roma, emessa il 04/04/95 e depositata il 11/05/95 (R.G. 3149/91);

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/97 dal Relatore Consigliere Dott. Vincenzo Salluzzo;

udito l'Avvocato Dott. Dario Di Gravio; udito l'Avvocato Dott. G. D'Avanzo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Palmieri che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del I motivo del ricorso, l'assorbimento del II ed il rigetto del III.

Svolgimento del ricorso

 

Con atto notificato il 7/8 ottobre 1991 U. A., U. A. e Richichi U. B. proponevano gravame, davanti la Corte di Appello di Roma, alla sentenza del Tribunale di Roma 15.4/24.5.1991 con la quale, in parziale accoglimento della domanda da loro avanzata, il C. Naz. V. E. II era stato dichiarato unico responsabile del sinistro avvenuto il 29 ottobre 1984 nella sala giochi del C. e del quale era rimasto vittima il minore A. U. che, fatto segno degli scherzi di un gruppo di sei compagni, aveva riportato, per il cedimento di una grossa lastra causato dalla contemporanea, contrapposta pressione esercitata su una porta (dietro la quale si era rifugiato) una grave ferita alla gamba sinistra con lesione

dell'arteria poplitea e del nervo, e condannato a pagare all'U. A. L. 131.717.000 e all'U. R. L. 30.000.000.

 

 

Lamentavano gli appellanti: a) l'insufficiente determinazione degli importi relativi all'invalidità permanente e temporanea; b) la mancata liquidazione dei danni morali nelle misure richieste in primo grado e dei danni morali subiti dai genitori del minore; c) l'omessa rivalutazione del credito per effetto della svalutazione monetaria e la mancata determinazione degli interessi.
Il C. Naz. proponeva appello incidentale per ottenere la declaratoria della esclusiva responsabilità, per colpa in educando, dei genitori dei ragazzi.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza 4 aprile/2 maggio 1994, rigettava tanto l'appello principale che quello incidentale e compensava interamente tra tali parti le spese del giudizio di gravame.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso U. A., U. A. e Richichi U. B., affidandone l'accoglimento a tre motivi.
Ha resistito con controricorso il C. Naz. V. E. II.

 

 

Motivi della decisione

 


Denunciando i ricorrenti con il primo motivo: violazione e falsa applicazione dell'art. 112 e dell'art. 345 c.p.c. in relazione all'art. 149 disp. att. c.p.c., nonché degli artt. 2056, 2057, 2059, 1223, 1226, 1227 cod. civ., omesso esame di un punto decisivo della controversia, motivazione lacunosa e contraddittoria ( art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).

 

 

Lamentano, in particolare, che pur avendo in sede di conclusioni chiesto: l'ammissione della documentazione prodotta in appello ed una nuova consulenza tecnica per accertare l'aggravamento verificatosi nel corso del giudizio (sia con riferimento alle modificazioni quantitative del danno che all'entità ed al tipo delle lesioni) - e depositato nella stessa sede documentazione relativa ad intervento chirurgico subito da A. U., nonché, in data successiva, altra documentazione, la Corte di merito non avrebbe nemmeno preso in esame la richiesta di restituzione degli atti alla fase istruttoria per la integrazione probatoria sugli ulteriori danni sofferti (345 c.p.c.).
Rilevano che, ancorché alcuni documenti sarebbero stati prodotti tardivamente (così la perizia) in mancanza di ogni eccezione di controparte andavano esaminati e sostengono che la Corte territoriale omettendo di farlo come di statuire sulla richiesta di una nuova indagine tecnica volta ad accertare il denunciato aggravamento delle condizioni fisiche di U. A. verificatosi in epoca successiva alla consulenza di primo grado e comprovato dalla documentazione medica successivamente formata, era incorsa in vizio di motivazione.
L'esposta censura è fondata e meritevole di accoglimento. Come è dato rilevare dall'esame della stessa sentenza di appello, nelle conclusioni sottoposte dagli U., attuali ricorrenti, alla Corte di merito erano comprese la richiesta di ammissione della documentazione prodotta in appello (formulata al punto 7) e quella di un supplemento di perizia o di una nuova consulenza medica onde accertare l'aggravamento verificatosi nel corso del giudizio (rassegnata al punto 8).

 

 

E quanto alle produzioni documentali va precisato che è rimasto processualmente accertato, ed è peraltro incontroverso tra le parti, che alla udienza di precisazione delle conclusioni gli appellanti principali depositarono documentazione sull'intervento chirurgico subito da A. U. presso l'ospedale civile di Lione e successivamente, prima della udienza di discussione, atti relativi alla sentenza del Pretore di Roma per l'accertamento dell'invalidità civile e copia di consulenza disposta dal Pretore del Lavoro.
A tali precise richieste, chiaramente riferentisi a fatti successivi alla sentenza di primo grado ed attestantesi, sulla scorta di idonea e qualificata documentazione, un aggravamento del danno subito da A. U., la Corte territoriale non ha dato alcuna risposta, omettendo del tutto di statuire al riguardo,

ponendo così in essere un'evidente violazione degli artt. 112/345 c.p.c. ed incorrendo nel vizio di omesso esame di punti decisivi della controversia.

 

 

L'art. 345 c.p.c., vecchio testo, nel suo primo comma testualmente sanciva: "Nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono rigettarsi d'ufficio. Possono però domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa".
Nel suo secondo comma aggiungeva: "Le parti possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova, ma se la deduzione poteva essere fatta in primo grado di applicano per le spese del giudizio di appello....". Ora, la costante interpretazione di tale norma fatta dalla giurisprudenza, correlata con quella dell'articolo 184 c.p.c. (sempre vecchio testo) che poneva come limite temporale per svariate attività istruttorie, tra le quali la produzione di nuovi documenti, la rimessione della causa al collegio, era nel senso che a parte l'incidenza sull'onere delle spese processuali del giudizio di appello (in relazione a quelle produzioni documentali che avrebbero potuto essere effettuate prima) la produzione di nuovi documenti poteva essere fatta sino a tale momento (Cass. 92/7923; Cass. 91/25).
Ed anche la tardiva produzione, al pari della richiesta di ammissione di nuovi mezzi istruttori, in mancanza di eccezioni di controparte, veniva ritenuta ammissibile (Cass. 82/4081).
Ed atteso ciò è indubbio che, quantomeno per la produzione effettuata alla udienza di precisazione delle conclusioni che comprovava un aggravamento dei danni subiti dall'U. A. che aveva reso necessario la sottoposizione dello stesso ad un ulteriore intervento chirurgico e l'esborso di altre somme (anche senza considerare la diversa documentazione alla cui produzione non risulta le altre parti si siano opposte) la Corte di Appello avrebbe dovuto prospettarsi la necessità di un attento esame e chiedersi che essa giustificasse la rinnovazione della consulenza tecnica (richiesta dall'appellante con le rassegnate conclusioni). E non avendo perso nemmeno in considerazione tale istanza, oltre a violare, come si è detto, il preciso disposto degli artt. 112/345 c.p.c. è certamente incorsa nel vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia. Principio ripetutamente affermato da questa Suprema Corte (v. tra le altre Cass. sez. lav. 12.3.1980 n. 1653) è infatti quello secondo cui "seppure non è obbligatoria la rinnovazione della consulenza tecnica in grado di appello, tuttavia, qualora il giudice ritenga di non aderire ad una richiesta in tal senso formulata dall'appellante, deve spiegare le ragioni del proprio diniego, soprattutto quando sia stato dedotto un aggravamento delle condizioni fisiche dell'assicurato rispetto a quelle esaminate ed esistenti al momento della consulenza eseguita in primo grado".

 

 

E più in generale, avuto sempre riguardo a precedenti situazioni di questa Corte di Legittimità, "se il danneggiato deduce con l'atto di gravame che le sue condizioni fisiche hanno subito un aggravamento, in epoca successiva alla consulenza di primo grado, comprovato da una documentazione medica e ospedaliera, il giudice di appello che omette la relativa valutazione, senza disporre il rinnovo della relazione tecnica incorre in un evidente vizio di motivazione" (così Cass. sez. lav. 22.9.1978 n. 4268).
L'anzidetto motivo va pertanto accolto mentre il secondo, col quale si denuncia motivazione carente ed erronea sulla liquidazione del danno patrimoniale, atteso il riesame dello stesso che dovrà operarsi in sede di rinvio, va dichiarato assorbito.
Non merita invece accoglimento e va disatteso il terzo motivo con il quale i ricorrenti denunciano: violazione e falsa motivazione dell'art. 2057 cod. civ. motivazione carente, perplessa ed erronea sulla liquidazione dei danni morali all'U. A. (minore) ed ai suoi genitori ( art. 360 n. 5 c.p.c.); lamentando, in particolare, l'esiguità del danno morale liquidato al minore nonostante la notevole entità delle sofferenze da lui subite e la mancata liquidazione di danno morale ai genitori.
Avuto riguardo alla prima censura deve infatti osservarsi che la motivazione della Corte territoriale, ancorché stringata, è comunque adeguata e sufficiente ed essendo immune da errori logici e/o giuridici non appare suscettibile di riesame.
Relativamente alla seconda va rilevato che la tesi sostenuta dai ricorrenti è sfornita i qualsiasi fondamento giuridico costituendo ius receptum che "per il principio della risarcibilità del solo

danno diretto ed immediato stabilito dall'art. 1223 c.c., il risarcimento del danno non patrimoniale spetta soltanto a chi ha direttamente ed immediatamente subito la sofferenza, cioé al soggetto leso e non anche ai suoi prossimi congiunti, perché costoro, soffrendo per le sofferenze del proprio familiare, non sono colpiti in modo diretto e immediato dalla condotta lesiva del terzo" (V. Cass. 16.12.1988 n. 6854 e Cass. 17.10.1992 n. 11414).

 

L'impugnata sentenza va pertanto, avuto riguardo al motivo accolto, cassata e rinviata p.q. di r., anche per le spese di questo giudizio, a diversa sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo, rigetta il terzo, cassa e rinvia p.q.r., anche per le spese di questo giudizio dinanzi a diversa sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22.5.1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 NOVEMBRE 1997