Cass. Civ. Sez. III, 17.091996, n. 8305



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

 

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

 

 

Dott. Enzo MERIGGIOLA Presidente
" Claudio FANCELLI Rel. Consigliere 
" Roberto PREDEN " 
" Antonio LIMONGELLI " 
" Luigi Francesco DI NANNI "

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA
sul ricorso proposto
da

 

LA P. SOC già A. ASS SOC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA RUGGIERO FIORE 25, presso lo studio dell'avvocato RENATO RECCA, rappresentata e difesa dall'avvocato ROCCO LAMARINA, giusta delega in atti;

 

Ricorrente
Contro

 

M. F.A in proprio e n.q. rappresentante figli minori C. F., C. L. e C. E. e nella qualità di tutrice provvisoria dell'interdicendo C. L., elettivamente domiciliata in ROMA P.ZZA F. MOROSINI 12, presso lo studio dell'avvocato ROSALBA GRASSO, rappresentata e difesa dall'avvocato GENNARO INGLETTI, giusta delega in atti;

 

Controricorrente
nonché contro
L. M.;
Intimato avverso la sentenza n. 564/93 della Corte d'Appello di LECCE, emessa il 28/05/93, depositata il 16/07/93 (R.G. 176/92);

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/96 dal Relatore Consigliere Dott. Claudio FANCELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto CINQUE che ha concluso per l'accoglimento del 1° motivo di ricorso, l'assorbimento del 2° ed il rigetto del 3° e 4° motivo.

Svolgimento del processo

 

A seguito di incidente automobilistico avvenuto il 20 maggio 1988 nei pressi di Fasano sulla S.S. 16 all'altezza del km. 856+340 tra l'auto Citroen condotta da C. L. e l'autoarticolato Fiat condotto dal proprietario Lo. M., il C. subiva gravi lesioni per le quali rimaneva in stato di coma profondo.

Con citazione notificata il 17 ottobre 1988 Ma. F., coniuge del C., sul rilievo che la responsabilità del sinistro era ascrivibile al Lo. e stante l'assoluta incapacità del marito a svolgere qualsiasi attività, dichiarando di agire sia per sé e per i tre figli minori, sia in nome e per conto del marito ai sensi dell'art. 2028 c.c., conveniva dinanzi al Tribunale di Brindisi il responsabile e la sua compagnia di assicurazione, all'epoca denominata A. s.p.a., chiedendo la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni cagionati al C., da liquidarsi in favore dell'attrice, nella spiegata sua qualità.

 

 

L'A. s.p.a. e il Lo., costituitisi, eccepivano il difetto di legittimazione attiva della Ma. per sé e per i figli minori e il difetto di legittimazione ad processum relativamente alla dedotta negotiorum gestio in favore del marito; in subordine contestavano il merito della domanda.
Con comparsa 18 maggio 1989 la Ma. spiegava intervento volontario adesivo in qualità di tutore provvisorio del marito.
I convenuti eccepivano l'irritualità di tale intervento.
Rimessa la causa al collegio per la decisione sulle questioni pregiudiziali, il Tribunale con sentenza non definitiva del 22 gennaio 1992 dichiarava la legittimazione attiva della Ma. per sé e per i figli minori e la ritualità dell'intervento della stessa nella qualità di tutore provvisorio del marito.
Sull'appello dell'A. s.p.a. che insisteva nelle proposte eccezioni, la Corte d'appello di Lecce con sentenza del 16 luglio 1993 rigettava il gravame, confermando l'impugnata sentenza sia pure con diversa motivazione. Riteneva in particolare:

 

 

a) che non è condivisibile la tesi affermata dal Tribunale circa l'applicazione in via analogica del principio della tutela aquiliana del credito del coniuge e familiari in caso di morte del congiunto, all'ipotesi di assoluta inabilità dello stesso ad attendere alle sue occupazioni e a provvedere al mantenimento della famiglia. Ciò in quanto la vittima conserva comunque la piena capacità giuridica in ordine alla titolarità del diritto alla integrale reintegrazione patrimoniale, sì da metterlo in condizioni di soddisfare tutte le obbligazioni civili e naturali nei confronti della famiglia; 
b) che, però, al di fuori di tale ipotesi è ben concepibile ex art. 2043 c.c. la tutela aquiliana di interessi di soggetti diversi dall'infortunato, come nel caso di coniuge e figli che siano stati direttamente lesi dal fatto illecito subito dal congiunto, anche se in via mediata attraverso il rapporto di coniugio o di parentela; 
c) che sotto tale profilo rilevano il danno alla sfera sessuale del coniuge, i danni materiali e spirituali derivanti (ex artt. 143 e 146 c.c.) dalla mancata assistenza, collaborazione e mantenimento dei congiunti, con particolare incidenza sullo sviluppo psico-fisico dei figli, nonché l'ulteriore danno materiale (per spese mediche ecc.) e alla vita di relazione conseguente all'assistenza da prestare al familiare infortunato; 
d) che pertanto nel caso in esame andava confermata la legittimazione ad agire iure proprio di moglie e figli, impregiudicata restando la necessità di provare in concreto la sussistenza delle condizioni per l'esercizio dei vantati diritti risarcitori; 
e) che l'intervento volontario del C., adeguatamente rappresentato ex artt. 78 c.p.c. e segg. era, quale titolare di un proprio diritto risarcitorio, pienamente ammissibile. 
Per la cassazione di tale sentenza la Previdente s.p.a., succeduta per incorporazione all'A. s.p.a. Assicurazioni s.p.a., ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui Ma. F., per sé e per i figli minori, nonché quale tutrice provvisoria dell'interdicendo C. L., ha resistito con controricorso.
Entrambi hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo la ricorrente società, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 100 e 81 c.p.c., nonché il vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), sostiene che la Corte d'appello sarebbe andata ultra o extra petita per aver riconosciuto alla Ma., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, la legittimazione e/o la titolarità dell'esercizio di un

diritto diverso da quello dalla stessa vantato con l'atto introduttivo del giudizio, avendo essa richiesto con tale atto non già il risarcimento di autonomi danni a seguito dell'incidente occorso al coniuge C. L., ma il risarcimento dello stesso danno patrimoniale subito da quest'ultimo, che, pur versando in coma profondo, era l'unico legittimato a proporre la domanda risarcitoria al riguardo.

 

 

Il motivo è sostanzialmente infondato.
È ben vero che con la citazione iniziale, con la quale aveva dichiarato di agire sia per sé e per i figli minori, sia in nome e per conto del marito ex art. 2028 c.c., nonché con la comparsa di intervento volontario, in qualità di tutrice provvisoria del predetto, e con le conclusioni finali del 18 dicembre 1989 la Ma., nelle surriferite qualità, aveva chiesto dichiararsi la convenuta assicurazione "tenuta al risarcimento del danno cagionato a C. L.", ancorché in vari scritti difensivi (note depositate il 7 luglio 1989 e comparsa conclusionale depositata il 15 giugno 1990) avesse espressamente dichiarato che le gravissime lesioni dell'infortunato incidevano sulla sfera giuridica dei prossimi congiunti.
A fronte di tale non limpida posizione di parte attrice il Tribunale con la sentenza non definitiva ha, però, dichiarato la legittimazione attiva iure proprio della Ma. per sé e quale esercente la potestà sui figli minori (per danni propri), escludendone la legittimazione ad agire per il marito a titolo di negotiorum gestio ex art. 2028 c.c., ma riconoscendo la legittimità del suo intervento (adesivo autonomo) quale rappresentante del predetto (per i danni propri di quest'ultimo).

 

 

Evidentemente il primo giudice ha interpretato la domanda nel senso che questa fosse diretta a far attribuire al convenuto la responsabilità delle gravissime lesioni subite dal C. (così intesa la dizione sopra virgolettata), con diversificazione, però, delle conseguenze dannose nei confronti dei vari soggetti passivi indicati in dispositivo.
Orbene con l'atto di appello l'impresa assicuratrice non fa questione sull'interpretazione della domanda come sopra accolta dal Tribunale, ma, dopo aver ricordato il dispositivo della sentenza impugnata che riconosceva alla Ma. la legittimazione ad agire sia iure proprio (per sé e i figli), sia quale tutrice provvisoria del coniuge ritualmente intervenuto nel processo, si è limitata ad affermare, per la parte che interessa il motivo in esame, che il risarcimento iure proprio è possibile per i familiari solo in ipotesi di decesso del loro congiunto.
Quindi nessuna censura viene formulata circa la prospettazione della domanda, investendo la doglianza solo la possibilità sul piano giuridico di richiedere danni iure proprio anche nel caso di lesioni gravissime del familiare.
Ciò, evidentemente, esclude che in appello sia stato dedotto un problema di ultra o extra petizione, che pertanto non può essere sollevato per la prima volta in questa sede di legittimità, dovendosi ritenere ormai ferma (per giudicato interno) la domanda come incontestatamente ritenuta in secondo grado.
Con il secondo motivo la ricorrente società, riprendendo un argomento già accennato nel corso del primo motivo, denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), sul rilievo che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere l'esistenza di un diritto risarcitorio della Ma. iure proprio (per sé e i figli minori), distinto da quello del coniuge vittima dell'incidente, affermando così la possibilità del risarcimento di autonome voci di danno in via mediata attraverso il rapporto di coniugio e di parentela.
Ad avviso della ricorrente il danno compete iure proprio - sia sotto il profilo patrimoniale che extrapatrimoniale - ai congiunti della vittima di un fatto illecito solo in ipotesi di decesso di quest'ultima, altrimenti giuridico al riconoscimento di non contemplati danni indiretti per pretesa lesione di interessi in via mediata.
Anche tale motivo è privo di fondamento.
Il problema concerne la legittimazione attiva del familiare per danni conseguenti a fatto illecito che abbia colpito il congiunto senza causarne la morte, valutato il tutto in correlazione al principio della conseguenzialità immediata e diretta previsto dal combinato disposto degli artt. 2056 e 1233 c.c. quale limite posto dal nostro ordinamento alla risarcibilità del danno.

Al riguardo occorre distinguere da un lato la possibilità in astratto di una pluralità di posizioni giuridiche lese, tra le quali vanno ricomprese quelle dei familiari della vittima in dipendenza dei vincoli di solidarietà ed assistenza tra loro intercorrenti ex artt. 143, 147, 433 c.c. e segg.; dall'altro l'individuazione delle conseguenze in concreto del danno considerato sotto il profilo di una regolarità casuale (cd. causalità adeguata) tra fatto lesivo ingiusto e pregiudizio del terzo alla stregua di tutte le circostanze proprie del singolo caso sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, influendo la derivazione dolosa o colposa dell'evento nell'ampiezza del risarcimento.

 

 

Siffatti principi sono affermati nello stesso precedente giurisprudenziale richiamato dalla ricorrente (Cass., n. 60 del 1991), con il quale si rammenta come possa ormai ritenersi acquisito dalla coscienza sociale e dalla esperienza giurisprudenziale il dato dell'ammissibilità, sulla base del disposto dell'art. 1223 c.c. cui rinvia l'art. 2056 c.c., del risarcimento della lesione dei cosiddetti diritti riflessi di cui siano portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto, essendo anche tali diritti eziologicamente collegati, in via diretta e immediata, con il fatto illecito, allorché tra questo e i lamentati danni sussista una correlazione impostata sui criteri della necessarietà, della adeguatezza o proporzionalità e della consecutività temporale.
Motivatamente nel contesto di tali principi - pienamente condivisibili - si pone la sentenza impugnata allorché, in base ad un criterio di normalità (o regolarità) causale, individua tra le possibili posizioni giuridiche lese dall'evento dannoso quelle dei familiari della vittima che subiscono direttamente, anche se mediatamente attraverso il rapporto di coniugio e parentela, le conseguenze di un danno apportato al familiare.

 

 

Trattasi di danni solo apparentemente mediati, in quanto l'evento lesivo tocca immediatamente la famiglia intesa come formazione sociale interrelata, ove i singoli componenti realizzano la propria personalità e i cui diritti inviolabili sono costituzionalmente garantiti.
Tra questi il diritto del coniuge a regolari rapporti coniugali (ivi compresi quelli sessuali) nell'ambito dei reciproci doveri di assistenza materiale e morale, che trova riscontro nell'art. 143 c.c. e il diritto dei figli all'educazione e ad un sano sviluppo psico-fisico imposto dall' art. 147 c.c. a carico di entrambi i genitori: tutti diritti ai quali è accordata ampia tutela costituzionale dagli artt. 29 e 30 cost.
Orbene, alla lesione di tali diritti, oltre che a quelli risarcitori direttamente implicati dalle spese mediche e di assistenza dell'infortunato sopportate dai familiari, si è espressamente riferito il giudice a quo, allorché ha correttamente ritenuto l'esistenza della legittimazione ad agire del coniuge e dei figli per i danni da loro subiti in conseguenza delle gravissime lesioni patite dal congiunto.
Cosa diversa dalla legittimazione attiva, che è titolarità astratta del diritto fatto valere (cfr. Cass., n. 3005 del 1994) e che costituisce l'oggetto della pronuncia impugnata dalla ricorrente, è la concreta sussistenza del diritto stesso, che dovrà essere provata, con onere a carico della parte attrice, ricorrendo eventualmente anche al notorio e alle presunzioni, nel prosieguo del giudizio di merito, vuoi sotto il profilo dell'esistenza di un danno biologico inteso come comprensivo del pregiudizio alla sfera sessuale (cfr. Cass., n. 6607 del 1986) e alla vita di relazione, vuoi sotto il profilo di un danno strettamente patrimoniale, evitando nel contempo di pervenire a duplicazioni risarcitorie in relazione al danno liquidabile come proprio della vittima dell'evento lesivo.
Con il terzo motivo la ricorrente società, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 374 c.c. e dell'art. 78 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., sostiene che la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità dell'intervento adesivo della Ma. nella qualità di tutrice provvisoria del coniuge in difetto di una specifica autorizzazione del Giudice tutelare.
La censura non merita accoglimento in quanto la mancanza dell'autorizzazione, che non determina una nullità insanabile della costituzione in giudizio, può essere fatta valere soltanto nell'interesse della parte tutelata e non a suo danno (cfr. Cass., n. 3589 del 1993).
Con il quanto e ultimo motivo, nel dedurre la violazione e la falsa applicazione dell'art. 105 c.p.c., la ricorrente insiste nell'affermare che l'intervento spiegato dalla Ma. quale tutrice provvisoria del marito sarebbe inammissibile perché al di fuori dello schema dell'intervento adesivo autonomo

ritenuto dai giudici di merito, difettando il rapporto di derivazione e dipendenza dal titolo dedotto nel processo.

 

 

Anche tale motivo è infondato, dato che l'intervento adesivo autonomo ha luogo quando l'interventore fa valere un proprio diritto in via autonoma, cioè sollecitando una pronuncia che abbia ad oggetto quel diritto e che sia emessa nei suoi confronti, ancorché aderendo alle ragioni di una delle parti.
Cosa che puntualmente si verifica nell'ipotesi di intervento spiegato - come nella specie - da uno dei creditori in sede di azione risarcitoria conseguente allo stesso fatto illecito allorché detto creditore al pari del creditore-attore agisca nei confronti del debitore a tutela di un proprio autonomo diritto (cfr. Cass., n. 7508 del 1995, n. 103 del 1986).
Consegue da tutto quanto sopra esposto il rigetto del ricorso.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

 

Così deciso in Roma il 16 febbraio 1996.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 SETTEMBRE 1996