Cass. Civ. Sez. III, 27.12.1994, n. 11169



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

 

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

 

Dott. Pio SCALA Presidente
" Enzo MERIGGIOLA Consigliere
" Paolo VITTORIA "
" Luigi RAGOSTA Rel. "
" Luigi Francesco DI NANNI "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sul ricorso proposto

da

Ric. n. 6215/191

V. A. M., in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia minore B. L., B. G., elett.

dom.to in Roma, c/o la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappr.ti e difesi dall'avv. Gian Maria Furlan con studio in Massa Carrara (54100) via del Patriota 20, per mandato a margine del ricorso.

Ricorrenti

 

contro
COMUNE DI M.
Intimato
ric. n. 7849/91:

 

COMUNE DI M., in persona del Sindaco p.t, elett. dom.to in Roma, Piazza Adriana 12 c/o lo studio dello avv.to Giuseppe Vittorio Biolato che lo rappr.ta e difende unitamente all'avv.to Sergio Menchini per mandato in calce al controricorso e ricorso incidentale.

Controricorrente e ricorrente incidentale

Contro

V. A. M. in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia minore B. L.; B. G.

Intimata

visti i ricorsi avverso la sentenza n. 2605/90 della Corte d'Appello di Genova del 21.12.89/4.4.90 (r.g. 153/89);

 

udito il Consigliere relatore dr. Luigi Ragosta nella pubblica udienza del 4.3.94.
sentito il P.M nella persona del sost. proc. gen. dr. Delli Priscoli che ha concluso per il rigetto del I motivo del ricorso principale, accoglimento p.q.r. del II, assorbimento del III ed inammissibilità del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

 

Con atto notificato il 9 novembre V. A. M., in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sulla figlia B. L., e B. G. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Massa il Comune di M., ed in relazione all'incidente stradale, verificatosi nella notte fra il 20 ed il 21 agosto 1979, sulla strada discendente dalla località Serra verso valle, premesso che B. B., a bordo di ciclomotore, "a causa della presenza di ghiaia sul fondo stradale sconnesso, in assenza di idonei strumenti di segnaletica e di protezione della parte della sede stradale, interessate dai lavori in corso", usciva di strada, precipitando nel burrone sottostante e riportando gravissime lesioni personali, che ne causavano il decesso, ciò premesso chiedevano la condanna del Comune, proprietario della strada e tenuto alla manutenzione della stessa, al risarcimento dei danni da essi subiti, con gli interessi e la rivalutazione monetaria.

 

Il Comune di M. resisteva.
Con sentenza del 14 giugno 1988 il Tribunale di Massa condannava il convenuto al risarcimento dei danni in favore degli attori.
Avverso detta sentenza il Comune di M. proponeva appello, deducendo che erroneamente era stata affermata la sua responsabilità e che non era congrua la quantificazione del danno.
La V., in proprio e quale legale rappresentante di B. L., nonché B. G. resistevano, ed a loro volta proponevano appello incidentale in ordine alla quantificazione del danno.

 

 

Con sentenza del 21 dicembre 1989 la Corte di Appello di Genova, in parziale accoglimento dell'appello principale e di quello incidentale, condannava il Comune di M. al risarcimento dei due terzi dei danni cagionati, rideterminando gli importi da corrispondere alla V. ed ai suoi due figli B. G. e L..
La Corte osservava che le risultanze di causa consentivano di affermare la sussistenza, nella specie, della responsabilità dell'Ente pubblico, proprietario e gestore di un bene pubblico nei confronti degli utenti di esso, stante il carattere "insidioso" della condizione dell'opera pubblica; che essendo in corso la esecuzione di lavori di allargamento della sede stradale, la responsabilità del Comune andava affermata altresì in base alla norma dell'art. 2050 c.c., trattandosi di attività in se stessa pericolosa, idonea ad incidere sulla sicurezza del transito, e disciplinata come tale da specifiche norme di prevenzione, che nella specie, non erano state "rispettate"; che, anche la condotta del B. non andava esente da censura, dal momento che egli, percorrendo abitualmente il tratto di strada, interessato dal sinistro, non poteva non essere a conoscenza delle "condizioni dissestate della rete stradale per i lavori in corso" ed avrebbe dovuto, in conseguenza, tenere una condotta più cauta; che la entità della incidenza causale della condotta del B. poteva essere determinata nella misura di un terzo.
La Corte osservava ancora che le critiche mosse alla determinazione quantitativa del danno risarcibile, sia dagli attori V. - B. che dal convenuto Comune di M., risultavano parzialmente fondate; che in relazione ai danni subiti dal coniuge, era accettabile il frazionamento del calcolo operato dai primi Giudici, a base del quale andava, però, posto la somma di L. 1.000.000 e non pure quella di L. 5.000.000; che, in considerazione della età del deceduto, lo scarto fra vita fisica e vita lavorativa poteva essere valutato nella misura del 20%; che andava accolta la domanda degli attori, avente ad oggetto il risarcimento del danno spettante a B. B. per la invalidità temporanea", di durata pari alla degenza ospedaliera"; che non era, invece accoglibile la domanda, con le quale si chiedeva la liquidazione in favore dei superstiti della "invalidità totale" e con essa del "danno biologico"; che non poteva ritenersi avvenuto il trasferimento ai detti superstiti del diritto al risarcimento del danno biologico, in quanto siffatto diritto non era sorto in capo al deceduto e che, se anche fosse sorto, non sarebbe stato "trasferibile a causa di morte"; che andava riconosciuto agli attori il risarcimento del danno morale, la cui liquidazione da parte del Tribunale era, però, "inadeguato per difetto" ed andava, quindi, effettuato in misura più elevata.
Avverso detta sentenza la V., in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore B. L., nonché B. G. proponevano ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Comune di M. resisteva ed a sua volta proponeva ricorso incidentale sulla base di un urico motivo.

 

Motivi della decisione

In via preliminare deve procedersi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., alla riunione dei due ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

 

Con il ricorso incidentale, che va logicamente esaminato per primo, il Comune di M. denuncia le contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge ( art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) nelle parte della sentenza impugnata in cui si afferma la sua responsabilità.
Assume che se il B. era a conoscenza delle condizioni dissestate della sede stradale per i lavori in corso, era in grado di rappresentarsi il pericolo esistente, per cui sarebbe venuto meno, nella specie il requisito soggettivo della "non prevedibilità del pericolo", ritenuto necessario per configurare il carattere insidioso delle condizioni dell'opera pubblica, fonte di responsabilità per l'Ente proprietario e gestore del bene pubblico.
Si osserva che la Corte di merito ha affermato la responsabilità del Comune di M. non soltanto per difetto di manutenzione della strada, ma altresì per la pericolosità dei lavori di allargamento della sede stradale, in corso all'epoca dell'incidente, e per la inosservanza delle specifiche norme di prevenzione ed essi relativi, avente una rilevanza determinante nella causazione dell'evento dannoso.

 

 

Pertanto, essendo stata la responsabilità del Comune affermata sulla base di due distinti ed autonomi titoli (art. 2043 ed art. 2050 c.c.), l'eventuale errore, in ordine alla sussistenza di tutti i requisiti necessari per ritenere il primo dei suddetti titoli, non può giustificare il ricorso per cassazione e determinare l'annullamento della sentenza impugnata sul punto, dal momento che i secondi Giudici hanno ritenuto applicabile, nella specie, altresì l'art. 2050 c.c., dando pienamente ragione della loro pronuncia in tal senso, in base ad argomenti informati ad esatti principi giuridici ed aderenti ai dati di fatto emersi dagli atti.
Il ricorso incidentale è, quindi, inammissibile per mancanza di interesse, censurandosi con esso una sola delle ragioni giuridiche, su ciascuna delle quali, indipendentemente dalle altre, la Corte di merito ha fondato la sua decisione.
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione dei danni subiti dalla V., avendo la Corte di merito erroneamente posto a base della determinazione di tali danni, relativi al periodo successivo alla data della sentenza di primo grado, la somma di L. 1.000.000-, anziché quella di L. 5.000.000-, tenuta presente dal Tribunale.
La censura è infondata.
Ed invero, in base al dato non controverso che il B., all'epoca dell'incidente, ritraeva dalla sua attività di imbianchino, un reddito pari a L. 4.200.000- 4.800.000-, la Corte di merito ha valutato il reddito utile, destinato al soddisfacimento delle esigenze delle moglie e dei due figli, nella misura di L. 1.000.000- per ciascuno.
E nel liquidare poi il danno patrimoniale in favore della V., sia per il periodo, che va dalla data del fatto alla data della sentenza di primo grado, sia per quello successivo, ha fatto riferimento all'ammontare suindicato, a differenza del Tribunale, che per il secondo periodo, poneva a base del calcolo le somma di L. 5.000.000.
Correttamente i secondi Giudici hanno rilevato le erroneità del riferimento a quest'ultimo importo, "corrispondente ad un ritenuto reddito totale" della vittima, anziché al reddito utile, attribuibile al coniuge.
Ed infatti, in sede di risarcimento dei danni subiti dai familiari della vittima di un incidente, in quanto diretto a sopperire al mancato apporto patrimoniale derivato al sostentamento dei predetti dal decesso del loro congiunto, non può tenersi conto di quella parte del reddito, che questi abbia

destinato al proprio sostentamento, nella capitalizzazione delle somme da destinarsi ad essi familiari.

 

 

Né rileva il fatto che gli stessi Giudici, nel liquidare il danno patrimoniale in favore della V., relativo al periodo successivo alla data della sentenza di primo grado, abbiano posto a base del calcolo, quale reddito utile, attribuibile ad esso coniuge, l'importo di L. 1.000.000- , determinato con riferimento ai valori correnti all'epoca dell'incidente, risalenti, quindi, a nove anni prima, dal momento che tutte le somme liquidate in favore della predetta a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, sono state dichiarate soggette a rivalutazione secondo gli indici Istat, con decorrenza dalla data del decesso, ed in ordine alle stesse sono stati attribuiti, con contemporanea decorrenza, gli interessi legali.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano la omessa e contraddittoria motivazione in ordine al rigetto della domanda relativa al "danno biologico da morte".
Osservano che la Corte di merito avrebbe dovuto tener conto delle gravi lesioni subite dal B. e del diritto di questi ad ottenere il risarcimento dei danni per la sua "totale ed irreversibile infermità" (100% di invalidità, come risulterebbe dagli atti di causa), a nulla rilevando il fatto che ne seguì il decesso; che il B., avendone il diritto, avrebbe potuto ottenere, nel periodo in cui rimase in vita (50 giorni), il risarcimento dei danni conseguenti alla suddetta "irreversibile e totale" invalidità; che non può negarsi che tale diritto di credito sia entrato nel suo patrimonio e, quindi, iure successionis, nel patrimonio dei ricorrenti.

 

 

Le censure vanno accolte per quanto di ragione.
Ormai da tempo la giurisprudenza di questa Corte - interpretando l'art. 2043 c.c. alla luce dell'art. 32 Cost., secondo i canoni enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 184 del 1986 - ammette la risarcibilità del "danno alla salute" o "danno biologico", inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica della persona, in sé e per sé considerata, ossia indipendentemente dalle ripercussioni sul reddito, in quanto incidente direttamente sul valore uomo, in tutte le sue concrete dimensioni.
Se così è, ne discende coerentemente il corollario secondo cui - in casi (come quello di specie) in cui da un fatto illecito altrui sia derivata dapprima una lesione con la conseguente menomazione dell'integrità psico-fisica nel senso indicato, e poi, dopo una fase intermedia di malattia, la morte dell'infortunato - gli eredi di costui trovano nel patrimonio del de cuis, e possono quindi far valere iure successionis, il diritto a pretendere dall'autore dell'illecito il risarcimento del "danno biologico" sopportato dal medesimo infortunato nel periodo che va dal momento della lesione a quello della morte. Si tratta di una piana applicazione alla materia del "danno alla salute" di principi sempre affermati da questa Corte, fin dalla risalente sentenza delle Sezioni unite n. 3475 del 1925.
Esula pertanto dai limiti della presente controversia l'esame della diversa ipotesi in cui l'infortunato muoia immediatamente onde si tratti di decidere se i suoi eredi possano iure successionis chiedere il risarcimento del danno subito dal loro autore per violazione del suo "diritto alla vita". A questa diversa ipotesi - che come si è detto, non ricorre nella specie - si riferisce la recente sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994, pronunziata in un caso in cui i referenti di fatto desumibili dall'ordinanza di rimessione lasciavano arguire che la morte della persona infortunata era stata immediata.
La Corte - investita, fra le altre, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c. in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto secondo il giudice remittente la norma codicistica non avrebbe consentito il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita - ha ritenuto la questione non fondata, affermando da un lato che "salute" e "vita" sono beni giuridici diversi, oggetto di distinti diritti, e chiarendo dall'altro che sarebbe stato necessario accertare se, nel caso di morte immediata, un diritto di risarcimento fosse effettivamente entrato nel patrimonio del defunto, al riguardo significativamente ricordando proprio la decisione delle Sezioni unite del 1925.
La sentenza impugnata ha per contro erroneamente ritenuto che gli eredi dell'infortunato non potessero agire iure successionis per il risarcimento del "danno biologico da morte" in quanto il

relativo diritto non era sorto in capo al medesimo infortunato, (che pure era morto 50 giorni dopo il fatto) e in quanto tale diritto, anche se fosse sorto, non sarebbe stato trasferibile a causa di morte.

 

 

Essa deve quindi essere cassata, con il conseguente rinvio della causa ad altro giudice, identificato in dispositivo, il quale si uniformerà al seguente principio di diritto: "nel caso di fatto illecito che abbia provocato ad un soggetto lesioni personali cui, dopo un periodo di infermità, sia sopravvenuta la morte, il diritto al risarcimento del danno alla salute verificatosi dal momento della lesione a quello della morte, essendo entrato nel patrimonio dell'infortunato al momento della lesione, può essere fatto valere iure successionis dai suoi eredi".
Il terzo motivo di ricorso, concernente la riforma da parte della Corte di merito della sentenza dei primi Giudici in ordine alle spese del giudizio, resta assorbito.
Si ritiene opportuno demandare al Giudice del rinvio anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; rigetta il primo motivo del ricorso principale.

Accoglie il secondo motivo dello stesso ricorso nei sensi di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia per nuovo esame ed anche per le spese di questo grado ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.

Così deciso in Roma il 4 marzo 1994.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 DICEMBRE 1994