Corte Cost., 17.9.02.1994, n. 37



Sentenza

LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sesto e settimo comma, e l'art.11 del D.P.R. 30 giugno 1965 , n. 1124, primo e secondo comma (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1993 dal Tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Concordato preventivo M. G. e B. F. ed altri, iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti l'atto di costituzione dell'I.N.A.I.L. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 novembre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avv. Adriana Pignataro per l'I.N.A.I.L. e l'avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

l.- Con sent. n. 485 del 1991, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale - per violazione dell'articolo 32 della Costituzione - dell'articolo 10, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sesto e settimo comma,nella parte in cui prevedeva che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa avessero diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio è derivato, al risarcimento del danno bio-logico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superasse l'ammontare delle indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L.. Con la medesima pronunzia e con riferimento al medesimo parametro costituzionale è stata dichiarata l'illegittimità anche dell'articolo 11, del D.P.R. del 30 giugno 1965, n. 1124, primo e secondo comma del suddetto decreto, nella parte in cui consentiva all'I.N.A.I.L. di avvalersi - nell'esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili - anche delle somme dovute al lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato a perdita o riduzione della capacità lavorativa generica.

 

Il Tribunale di Ravenna, invocando gli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, chiede alla Corte di estendere la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme suddette al fine di comprendere anche il danno morale nella garanzia che tale decisione e la precedente sent. n. 356 del 1991 hanno attuato nei confronti del c.d. danno biologico. Il giudice a quo dà atto che quest'ultima pronunzia aveva affermato che la dichiarazione di incostituzionalità non poteva estendersi a quanto attiene al risarcimento del danno morale di cui all'articolo 2059 del codice civile o ad altre ragioni risarcitorie, parimenti non assistite dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione, ma ritiene che tale affermazione, in quanto contenuta nella sola parte motiva della sentenza, non precluda un nuovo esame della questione. Quest'ultima troverebbe fondamento nella considerazione che il danno morale "costituisce pur sempre una lesione della salute psicofisica (in particolare della salute

psichica)" - e nella considerazione della illogicità di norme che consentono all'ente assicuratore di avvalersi, ai fini dell'azione di regresso, di una ragione risarcitoria - il danno morale - non coperta dall'assicurazione.

 

 

2.- Deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa dell'I.N.A.I.L..
Il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, sia pure in modo sintetico, della rilevanza della questione, rappresentando, in sostanza, che l'accoglimento del gravame, per la parte concernente la misura del risarcimento liquidato in primo grado per le varie componenti del danno, avrebbe potuto por tare il cosiddetto danno differenziale - evidentemente, anche in relazione ai risultati di una consulenza tecnica espletata nel giudizio di secondo grado - ad un importo inferiore alla somma di danno biologico e danno morale, con conseguente possibilità concreta per l'I.N.A.I.L. di avvalersi di quest'ultima ragione risarcitoria ai fini dell'azione di regresso.
3.- Sul merito della questione, deve preliminarmente essere osservato che l'affermazione secondo cui il risarcimento del danno morale di cui all'articolo 2059 del codice civile non è assistito dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione non costituiva, nella sent. n. 356 del 1991, un mero "obiter dictum", posto che, al contrario, in base ad essa l'accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale è stato limitato al profilo riguardante il cosiddetto danno biologico. Tale affermazione, del resto, si uniformava ai principi enunciati da questa Corte con la sent. n. 184 del 1986, secondo cui la limitazione, ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile, della risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge era compatibile con la tutela del diritto alla salute consacrato dall'articolo 32 della Costituzione, purché il medesimo articolo 2059 fosse riferito al solo danno morale subiettivo, inteso quale "momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico" collegato alla sofferenza fisica o al dolore morale e, come tale, alla pari del danno patrimoniale in senso stretto, "danno-conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento" e non soltanto dalla menomazione dell'integrità psicofisica dell'offeso.

 

 

Il rilievo del giudice a quo, secondo cui "il danno morale, che non ha ovviamente natura economica, costituisce pur sempre una lesione della salute psicofisica ed in particolare della salute psichica", non tiene quindi conto della lettura "costituzionale" degli articoli 2043 e 2059 del codice civile indicata dalla giurisprudenza di questa Corte, peraltro in armonia con le più accreditate acquisizioni della dottrina civilistica e della giurisprudenza di legittimità. Altro problema è, invece, quello che si riferisce all'ipotesi che la sofferenza fisica o morale determini effettivamente, di per se stessa, alterazioni della psiche tali da incidere negativamente sull'attitudine del soggetto a partecipare normalmente alle attività, alle situazioni e ai rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita. Ma la risarcibilità di un simile pregiudizio - ed in particolare la configurabilità di esso in termini di danno biologico - è una questione di interpretazione del diritto e di valutazione del fatto che spetta al giudice ordinario risolvere.
4.- Ribadita, quindi, l'insussistenza della dedotta violazione dell'articolo 32 della Costituzione, non può essere presa in considerazione la censura formulata con riferimento agli articoli 2 e 38 della Costituzione, in quanto la totale mancanza di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza di tali profili rende privo di specificità il richiamo ai suddetti parametri costituzionali.
5.- Il giudice a quo ha chiesto il vaglio di questa Corte sull'articolo 11, del D.P.R. n. 1124 del 1965, primo e secondo comma, "anche sotto l'aspetto dell'illogicità di una disposizione che consente, nell'interpretazione corrente, l'esproprio a favore dell'assicuratore e a danno del lavoratore di un risarcimento riguardante un danno non coperto dall'assicurazione", la quale, nel caso del - l'I.N.A.I.L., riguarda esclusivamente i riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato. Nell'esporre i motivi di tale profilo - al quale non è peraltro collegata una esplicita denunzia di violazione dell'articolo 3 della Costituzione - il Tribunale di Ravenna rileva che tale illogicità richiede, per essere superata, l'esclusione del danno morale dall'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. ed osserva che a tale risultato ben si potrebbe pervenire anche in via di interpretazione degli articoli 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965. Ma una simile soluzione si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità; donde la necessità di sollecitare l'intervento del giudice delle leggi.

Effettivamente, era stato costantemente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione che l'unico limite quantitativo che l'assicuratore incontra, quando agisce in surroga ai sensi dell'articolo 1916 del codice civile o in regresso ai sensi dell'articolo 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965 per il recupero di quanto corrisposto all'assicurato a titolo di indennizzo o di indennità, va individuato nell'ammontare complessivo del risarcimento dovuto dal terzo (o dal datore di lavoro) responsabile, senza che sia possibile distinguere tra le varie componenti del danno subito dall'assicurato, neppure con riferimento, in particolare, al caso in cui fra di esse vi siano voci non coperte dalla garanzia assicurativa.

 

Riconoscendo che tale consolidato indirizzo giurisprudenziale rappresentava il diritto vivente nella materia regolata dalle disposizioni suddette, la Corte Costituzionale, con le già citate sent. n. 356 del 1991 e sent. 485 del 1991, ha osservato che, allorquando la copertura assicurativa, in virtù delle norme di legge o di contratto che la disciplinano, non abbia ad oggetto il danno biologico, oppure si limiti ad indennizzare la perdita o la riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto, consentire che l'assicuratore, nell'esercizio del proprio diritto di surroga o di regresso nei confronti del responsabile, si avvalga anche del diritto dell'assicurato al risarcimento del danno biologico non coperto dalla prestazione assicurativa, significa sacrificare il diritto dell'assicurato stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell'articolo 32 della Costituzione , non essendo logicamente possibile spiegare altrimenti l'operatività del meccanismo: non è infatti ipotizzabile - ha osservato la Corte - che l'esistenza di una pretesa risarcitoria estranea alla copertura assicurativa sia di per sé idonea ad alterare, riducendoli, i termini, le condizioni e l'oggetto di quest'ultima.

 

Da tali pronunzie, la Corte di cassazione ha tratto l'occasione e lo spunto per una revisione della propria precedente interpretazione della disciplina in oggetto. Nell'assenza di elementi di interpretazione letterale univocamente cogenti in un senso o nell'altro, è stato posto in rilievo come le suddette dichiarazioni di illegittimità costituzionale avessero fatto venir meno il principio interpretativo secondo cui il danno risarcibile, anche se comprende diverse componenti, costituisce un complesso unitario e sostanzialmente indifferenziato, sicché veniva a riacquistare preminente rilievo la considerazione del fatto che l'azione di surroga o di regresso, formalmente diretta contro il terzo, incide sostanzialmente sul patrimonio dell'assicurato, il quale viene privato, in tutto o in parte del suo credito di risarcimento. Si intende, quindi, "come i limiti dell'azione debbano essere ricercati nel rapporto assicurativo e nella sua funzione indennitaria, escludendosi dunque dall'ambito della surroga quelle componenti del danno spettanti al danneggiato nei confronti del terzo che siano estranee alla copertura assicurativa", ché, altrimenti, l'assicurato verrebbe espropriato del suo diritto all'integrale risarcimento del danno, con conseguente palese violazione del principio generale espresso dall'articolo 2043 del codice civile (Cass. 20 giugno 1992 n. 7577). Da tali premesse, la Corte di cassazione, con una serie di successive pronunzie conformi, che hanno riguardato sia l'articolo 1916 del codice civile, sia gli articoli 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, ha tratto la conclusione che il diritto di surroga o di regresso non può, in generale, essere esteso al danno non coperto da garanzia assicurativa, ed in particolare non può essere esteso al danno morale previsto dall'articolo 2059 del codice civile, quando tale danno sia estraneo al rischio assicurato. Deve quindi rilevarsi che l'opzione interpretativa perseguita dal giudice a quo - e che il medesimo non ha ritenuto di poter autonomamente adottare in concreto per la presenza di un consolidato indirizzo contrario della giurisprudenza di legittimità - è stata invece fatta propria dalla stessa Corte di Cassazione, con pronunzie che hanno ricostruito la razionalità del sistema normativo risultante dagli interventi correttivi di questa Corte. La questione di costituzionalità sottoposta all'esame di questa Corte deve quindi ritenersi superata.

P.Q.M.

 

La Corte Costituzionale

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sesto e settimo comma e dell'articolo 11 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 , primo e secondo comma, (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in riferimento agli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Ravenna con ordinanza del 15 aprile 1993.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1994.