Cass. Civ. Sez. III, 17.10.1992, n. 11414



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Carmine CECERE Presidente
" Alberto SCIOLLA LAGRANGE Consigliere
" Ubaldo FRANCABANDERA Rel. "
" Francesco VIZZA "
" Gaetano FIDUCCIA "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Ricorso n. 12763/89

 

V. R. elettivamente domiciliato in Roma, Via R. Fauro n. 59 presso lo studio dell'avv. Paolo Mosconi che lo rappresenta e lo difende giusta procura a margine del ricorso.

 

Ricorrente
Contro

 

S. G. residente in S. Mauro Pascoli ed elettivamente domiciliato in Roma - via G. Severano n. 35 presso lo studio dell'avv. Mario Simoncini, rappresentato e difeso dall'avv. Massimino Lo Conte giusta procura in calce al ricorso.

 

Controricorrente
contro
C. F.
Intimato

 

Ricorso n. 878/90

V. G. e B. A. entrambi elettivamente domiciliati in Roma, Via R. Fauro n. 59 presso lo studio dell'avv. Paolo Mosconi che li rappresenta e li difende giusta procura a margine del ricorso.

 

Ricorrente
Contro

 

S. G. residente in S. Mauro Pascoli ed elettivamente domiciliato in Roma - via G. Severano n. 35 presso lo studio dell'avv. Mario Simoncini, rappresentato e difeso dall'Avv. Massimino Lo Conte giusta procura in calce al controricorso.

 

Controricorrente
contro
C. F
Intimato

Visti i ricorsi avverso la sentenza n. 222/89 della Corte di appello di Bologna del 16.2.88/18.3.89 (R.G. 245/86);

 

 

Udito il Consigliere Relatore Dott. Ubaldo Francabandera nella pubblica udienza del 12.12.91; E' comparso l'avv. P. Mosconi che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
E' comparso l'avv. M. Lo Conte che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Leo che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del ricorso n. 12747/89 e per l'accoglimento del ricorso n. 878/90 p.q.d.r.

 

Svolgimento del processo

Il 26 luglio 1977 R. V., un bambino di circa sette anni, dopo essere uscito dalla sua abitazione sita nel centro abitato di S. Mauro Pascoli, mentre attraversava la strada fu investito dalla autovettura di proprietà di F. C., condotta da G. S.; riportò gravi lesioni con rilevanti postumi invalidanti.

 

I genitori del bambino, G. V. e A. B., con atto notificato il 20 novembre 1979, convennero dinanzi al Tribunale di Forlì il predetto autista, il proprietario e l'Assicuratrice Italiana S.p.A., per ottenere il risarcimento dei danni.
Il C. eccepì che il veicolo circolava contro la sua volontà, essendo stato consegnato allo G. S., meccanico, per riparazioni; propose comunque domanda di garanzia nei confronti dell'Assicuratrice Italiana e dello G. S.; costui chiese il rigetto della domanda per insussistenza di colpa da parte sua. Anche l'Assicuratrice, costituitasi, escluse che l'incidente si fosse verificato per colpa dello G. S. avendo il bambino attraversato improvvisamente la strada. Propose comunque domanda di manleva nei confronti dello G. S..

 

 

Nel corso del processo intervenne volontariamente la R.A.S. - Assicuratrice Italiana nella sua qualità di successore a titolo universale per incorporazione dell'Assicuratrice Italiana S.p.A. e versò agli attori la somma di L. 18.649.623 corrispondente al residuo massimale disponibile detratte le somme pagate dagli enti mutualistici per assistenza medico ospedaliera.
Con sentenza del 28 febbraio 1985, l'adito Tribunale ritenne lo G. S. responsabile dell'incidente, con il concorso di colpa della vittima nella misura di un terzo e lo condannò, in solido col C., al pagamento in favore degli attori della somma di L. 3.300.000 per ciascuno a titolo di risarcimento danno morale; liquidò il danno patrimoniale, morale e biologico patito dal minore nella somma di L. 68.199.000 comprensiva di interessi e svalutazione alla data del 26 luglio 1981; detrasse da tale somma l'acconto versato dalla RAS e condannò i debitori al pagamento della differenza oltre interessi e svalutazione dal 26 luglio 1981 alla data della sentenza. Condannò inoltre lo G. S. a manlevare il C. e dichiarò cessata la materia del contendere sulla domanda di manleva del C. nei confronti della RAS limitatamente al massimale; rigettò la domanda di manleva della RAS nei confronti dello G. S..
La sentenza fu appellata da quest'ultimo e dal C. i quali si dolsero:
a) dell'affermazione della loro responsabilità dovendosi considerare causa dell'incidente esclusivamente la condotta del V.;
b) della liquidazione dei danni morali in favore dei genitori della vittima; c) dell'errata liquidazione del danno da invalidità permanente;
d) dell'eccessività della liquidazione del danno morale e di quello biologico; 
e) dell'errato conteggio della rivalutazione. 
Nel corso del processo di appello R. V. raggiunse la maggiore età ed intervenne nel processo, chiedendo il rigetto dell'impugnazione, così come avevano chiesto i suoi genitori.
La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza del 18 marzo 1989, sul punto della responsabilità, escluse che si potesse presumere, come aveva fatto il primo giudice, che il bambino avesse attraversato la strada improvvisamente e di corsa; tuttavia ritenne certo che il bambino avesse attraversato la strada al di fuori delle strisce pedonali; e pertanto, ritenuto che l'investitore procedeva ad una velocità di circa 60 km orari, ritenne le due contrapposte condotte colpose di pari

gravità e determinò quindi il concorso di colpa nel 50%. La Corte, poi, accolse la impugnazione sul punto del risarcimento del danno morale in favore dei genitori, escludendolo.

 

 

In relazione alla liquidazione del danno da invalidità permanente, escluso che fossero stati forniti elementi di giudizio per una liquidazione personalizzata, la Corte prese a base del calcolo una somma corrispondente al triplo della pensione sociale, rifacendo tutti i calcoli; confermò infine la liquidazione del danno morale e di quello biologico. Rivalutò tutte le somme secondo indici Istat e quindi, in definitiva, rigettò la domanda dei genitori relativa ai danni morali e condannò lo G. S. e il C. al pagamento in favore di R. V. della somma di L. 24.180.497.
Per la cassazione di tale sentenza sono stati proposti distinti ricorsi da parte di R. V. e dei genitori Giuseppe V. e A. B..
G. S. ha resistito con controricorsi ad entrambi i ricorsi, mentre F. C. non ha svolto attività processuale in questa sede.

 

 

Motivi della decisione

 


1) - Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi n. 12763 del 1989 e n. 878 del 1990 perché proposti contro la stessa sentenza. 
2) - Col primo motivo del suo ricorso R. V. denunzia la violazione degli artt. 134 e 102 del codice della strada (N.d.R.: D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393) in relazione ai n. 3 e n. 5 dell'art. 360 c.p.c. Premesso che correttamente la Corte del merito, in punto di fatto, aveva escluso che il bambino avesse attraversato improvvisamente e di corsa la strada come avevano presunto i giudici di primo grado, il ricorrente rileva che, ciononostante, la Corte aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa (elevandone la misura al 50%) per la violazione da parte del bambino dell'art. 134 del codice della strada. Rileva in proposito il ricorrente che nessuna prova vi è in processo dell'attraversamento della strada al di fuori delle strisce pedonali, e che non risulta neppure che nel raggio di cento metri dal luogo dell'incidente vi fossero strisce pedonali. Sicché, sostiene il ricorrente, si deve concludere che l'attraversamento della strada da parte del V. fu perfettamente regolare. Conseguentemente il ricorrente si duole del riconosciuto concorso di colpa e osserva che, sul punto, la motivazione è contraddittoria perché mentre afferma il concorso di colpa nel contempo riconosce che lo G. S. non riuscì ad evitare l'investimento a causa della eccessiva velocità e che perciò l'incidente si era verificato per sua colpa esclusiva. 
In relazione alle suddette censure, il controricorrente assume che esse sono inammissibili perché in grado di appello il V. aveva riconosciuto il suo concorso di colpa nella misura di un terzo non avendo impugnato la decisione di primo grado sul punto.
Osserva in proposito questa Suprema Corte che, in effetti, non risulta che il V. abbia impugnato la decisione sul punto, a lui sfavorevole, del concorso di colpa. Su questo si è quindi formato il giudicato e il giudice di appello avrebbe dovuto limitarsi a prenderne atto e non avrebbe potuto, come invece ha fatto, escludere la condotta colposa sulla base della quale il Tribunale aveva stabilito il concorso di colpa di un terzo.

 

 

Trattasi di giudicato interno, nei confronti del quale questa Corte ha il potere-dovere di rilevarlo di ufficio, interpretando direttamente la sentenza di primo grado.
Da quanto innanzi non discende, però, come pretende il controricorrente, l'inammissibilità del motivo di ricorso riguardante il concorso di colpa; al contrario il V. ha interesse a impugnare la sentenza sul punto perché il concorso è stato affermato sulla base dell'accertamento di una diversa condotta colposa e in una misura maggiore.
Ciò premesso, si osserva che il motivo del ricorso del V. è fondato.
La Corte del merito, invero, ha apoditticamente affermato essere certo che il minore fu investito mentre stava attraversando la strada al di fuori dell'attraversamento pedonale, violando così la

norma dell'art. 134, secondo comma, del codice della strada. Affermazione apodittica perché non è dato conoscere quale sia la fonte del convincimento del giudice nulla risultando dalla motivazione. Peraltro un accertamento del genere per poter costituire il fondamento di una responsabilità ne presuppone un altro, e cioè che nel raggio di cento metri dal luogo dell'incidente, sulla strada, vi fossero strisce pedonali.

 

 

Solo in questo caso, infatti, il mancato uso dell'attraversamento pedonale costituisce infrazione all'art. 134 del codice della strada.
Ovviamente da quanto innanzi consegue che non ha alcun fondamento la comparazione tra la condotta del V. e quella dello G. S..
Il motivo di ricorso deve essere quindi accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'affermato concorso di colpa; il giudice del rinvio dovrà riesaminare l'appello dello G. S. e del C., tenendo presente quanto si è detto innanzi in merito alla formazione del giudicato.
3) - Col secondo motivo il V., denunziando la violazione degli artt. 2056 e 1226 c.c., in relazione ai n. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., lamenta che il giudice di appello, per la liquidazione del danno da invalidità permanente, abbia fatto ricorso ai principi fissati dall'art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, mentre avrebbe dovuto procedere ad una determinazione equitativa sulla scorta degli elementi obiettivi emergenti dagli atti anche in considerazione che non era possibile per il V. fornire la prova della titolarità di un proprio reddito.

 

 

Il motivo è infondato.
La Corte del merito, dopo aver affermato il principio che la liquidazione equitativa del danno pur costituendo il frutto di una valutazione discrezionale basata su presunzioni e su apprezzamenti di probabilità, per non risultare arbitraria postula la necessità che siano fornite congrue ragioni del processo logico attraverso il quale il giudice perviene alla determinazione del danno, ha - dopo aver altresì constatato la carenza di prove o di elementi sulla base dei quali personalizzare il risarcimento - ritenuto di far ricorso all'equità ed ha quindi, onde effettuare il calcolo dell'indennizzo non in materia arbitraria, adottato come parametro un reddito pari al triplo della pensione sociale riferita al 1988, anno di raggiungimento della maggiore età da parte del V..
Tale ragionamento della Corte del merito è logico e non presenta errori giuridici, per cui è incensurabile.
4) - Il ricorso dei coniugi V. - B, deve essere rigettato.
Con l'unico motivo essi denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 1226 c.c. e criticano la tesi sostenuta nella sentenza impugnata, della irrisarcibilità, in favore dei genitori, del danno morale loro derivato dal reato di lesioni colpose di cui sia stato vittima il figlio minorenne; sostengono in proposito non potersi negare che il turbamento psichico, il dolore e l'angoscia dei genitori in presenza di una grave menomazione fisica del figlio, specie se piccolo, siano conseguenza diretta del reato.
Il motivo è infondato e va rigettato.
L'art. 185 c.p., cpv., stabilisce che ogni reato che abbia cagionato il danno patrimoniale e non patrimoniale obbliga il colpevole al risarcimento secondo le norme civili. Sebbene non sia precisato nella norma, non vi può essere dubbio alcuno sul fatto che il risarcimento è dovuto in favore della parte offesa dal reato, cioè del soggetto passivo di esso, individuato secondo le regole del diritto penale.
Nel delitto di lesioni colpose, la persona offesa dal reato è il leso: la persona cioè che ha riportato lesioni personali; a questa, e solo a questa, è dovuto quindi il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non.
Nel caso che il soggetto passivo del reato sia un minore, nulla ovviamente cambia, salvo che i suoi diritti dovranno essere fatti valere da chi ne ha la rappresentanza secondo la legge.
Sostenere che possa spettare un risarcimento, quale conseguenza dello stesso reato, di danni non patrimoniali anche ad altre persone, sia pure genitori, significherebbe duplicare l'obbligo del risarcimento incombente sul colpevole. Né vale riferirsi al turbamento psichico e alle sofferenze

che, specie se la vittima del reato è un minore o addirittura un bambino, certamente derivano ai genitori, perché in ogni caso si tratta di conseguenze indirette del reato. Per convincersene basti considerare il numero, in teoria illimitato, delle persone che legate al soggetto passivo del reato per le ragioni più varie (parentela, convivenza, amicizia, ecc.) possono subire le stesse conseguenze.

 

5) - In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'accoglimento del primo motivo del ricorso di R. V.. La causa deve essere rinviata ad altro giudice, che si designa in altra sezione della stessa Corte d'Appello di Bologna, il quale dovrà altresì provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi n. 12763 del 1989 e n. 878 del 1990; accoglie per quanto di ragione il 1° motivo del ricorso n. 12763 del 1989 e rigetta il secondo; rigetta il ricorso n. 878 del 1990; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della III Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, addì 12 dicembre 1991.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 OTTOBRE 1992