Cass. Civ. Sez. III, 07.01.1991, n. 60



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Giovanni MEO Presidente
Marcello TADDEUCCI Rel. Consigliere
Enzo MERIGGIOLA "
Luigi F. DI NANNI "
Giovanni B. PETTI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Ric. n. 6841/85

DALL'O. G. e DE C. R. in Dall'O. - res. in Ravenna, .............. - elett. dom.ti in Roma, Viale Castro Pretorio n. 25, presso lo studio dell'avv. Vincenzo Mesiano - rapp.ti e difesi dagli avv.ti Aldo Formiggini e Vincenzo Guberti per mandato in calce al ricorso.

Ricorrenti

Contro

 

S.P.A. Lavoro e Sicurtà, Compagnia di Assicurazioni e B. M..

Intimati
Ric. n. 7611/85

S.P.A. Lavoro e sicurtà - con sede in Milano - in persona dei suoi legali rapp.ti - elett. dom. in Roma, Via Panama n. 88, presso lo studio dell'avvocato Giorgio Spadafora che la rapp. e difende unitamente all'avv. Vincenzo Nasini per mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale.

Controricorrente e ricorrente incidentale
Contro

DALL'O. G., DE C. R. in Dall'O. e B. M..

Intimato

Visti i ricorsi avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 27./4/12.6.1984 (R.G. 966/80)

 

Udito il Cons. Rel. dott. M. Taddeucci nella pubblica udienza del 2.6.1989; Sentito l'avv. Formiggini;
Sentito l'avv. Spadafora;
Sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. dott. R. Golia che ha concluso per il rigetto del ricorso principale ed assorbito l'incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

 

Con atto di citazione notificato il 31 ottobre ed il 3 novembre 1978, i coniugi Dall'O. e R. De C. convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Ravenna, M. B. e la S.p.A. Lavoro e Sicurtà - Compagnia di Assicurazioni - per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni da loro sofferti a seguito di un incidente stradale avvenuto in data 12 aprile 1975, allorché l'auto sulla quale gli astanti viaggiavano era stata investita dall'autocarro guidato e di proprietà del primo dei due convenuti e da questi assicurato per la R.C.A. presso la compagnia predetta.

 

Resistenti i convenuti, l'adito Tribunale con sentenza del 24 aprile 1980, dichiarava il Bassi unico responsabile del sinistro e lo condannava al risarcimento integrale, dei danni, in solido con la compagnia assicuratrice sino alla concorrenza del massimale di polizza (di L. 25 milioni per ciascuno dei due infortunati ridotto a L. 21 milioni a seguito di versamento di provvisionale).
Detti danni venivano liquidati, in favore della De C., (casalinga riconosciuta portatrice di postumi invalidanti permanenti dell'11% per esiti di frattura delle tibia e per neurosi depressiva post traumatica nonché di reliquati di carattere estetico, pari al 9% per l'alterazione del profilo del naso) nella somma complessiva di L. 27.846.000, di cui L. 7.926.000 per danni materiali, L. 10 milioni per danni morali ed alla vita di relazione ed il residuo per rivalutazione monetaria.
A favore del Dall'O. (funzionario di banca che, per assistere la più giovane moglie affetta da depressione, aveva tre anni dopo l'incidente stradale volontariamente rassegnato le dimissioni dall'impiego) veniva attribuito un risarcimento complessivo di L. 29.220.000, di cui L. 798.559 per esborsi vari, L. 550.000 per danni all'autovettura, L. 2 milioni per la retribuzione di una collaboratrice domestica assunta in ausilio alla moglie inattiva, L. 7.200.000 per minore indennità da pensionamento anticipato; L. 7.200.000 per ridotto trattamento pensionistico, L. 400.000 per danni morali da lesioni personali guarite in 40 giorni ed il residuo per rivalutazione monetaria. Era invece disattesa la richiesta del Dall'O. di un altro indennizzo di L. 15 milioni pari alla differenza tra il prezzo di vendita della casa coniugale sita in Ravenna ed il prezzo di acquisto di altro alloggio in Lugo ove egli, per meglio assistere la consorte, si era trasferito definitivamente assieme a lei ed ai figli.

 

 

La compagnia assicuratrice interponeva gravame nei confronti del Dall'O., dolendosi di quella parte della sentenza con cui gli era stato attribuito il ristoro di danni "riflessi" e cioè asseritamente conseguenti alle menomazioni sofferte dalla di lui moglie. Addebitava al Tribunale di non essersi avveduto che, ai sensi degli artt. 1223, 2056 cod. civ., l'obbligazione risarcitoria era circoscritta al ristoro delle conseguenze, pregiudizievoli, che fossero immediate e dirette rispetto al fatto illecito: e tra queste non poteva essere ricompresa la contrazione degli introiti da anticipato pensionamento dal Dall'O. prospettata in correlazione con una menomazione fisica non della propria persona ma di quella della moglie; di non avere inoltre considerato che, in ogni caso, detti "danni riflessi" del marito avrebbero dovuto essere calcolati in uno con quelli direttamente sofferti dalla moglie, onde riscontrare se il risarcimento di essi superava o meno il limite del massimale di polizza (25 milioni) stabilito per ogni singola persona danneggiata; per tale intendendosi ai fini del conteggio, la De C., soggetto sinistrato.
Questa ultima ed il Dall'O. proponevano impugnazione incidentale al fine di ottenere una maggiorazione delle somme risarcitorie loro rispettivamente attribuite dal Tribunale, oltre alla ulteriore rivalutazione monetaria per la perdita del potere d'acquisto della moneta sino alla data della emandata sentenza.
M. B. rimaneva contumace.
Con sentenza 27 aprile - 12 giugno 1984, la Corte di Appello di Bologna, in accoglimento del primo motivo di gravame principale, escludeva che la compagnia assicuratrice fosse tenuta a risarcire al Dall'O. i danni per minore indennità di fine rapporto di lavoro e per minore pensione (L. 7.200.000 + L. 7.200.000) osservando che tali detrimenti rappresentavano un semplice riflesso del danno cagionato alla moglie dall'incidente, e quali pregiudizi indiretti e mediati non rientravano

nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto secondo il principio della cosiddetta "regolarità causale".

 

 

La Corte dichiarava assorbito il secondo motivo dell'appello principale, relativo alla imputazione dei danni predetti al massimale per danno a persona diversa dalla sinistrata De C.; rigettava gli appelli incidentali di costei e del Dall'O. (anche in considerazione del fatto che l'incapacità totale della donna ad attendere alle proprie mansioni di casalinga era durata solo quattro mesi); provvedeva infine alla rivalutazione degli importi risarcitori riconosciuti dovuti (L. 2.035.180, al netto della provvigionale di L. 4 milioni per il marito, e L. 23.846.000 al netto della provvigionale di L. 4 milioni per la moglie) per la perdita del potere di acquisto della moneta nei settanta mesi intercorsi tra la sentenza di primo grado e quella di secondo grado.
Per la cassazione di tale ultima decisione Dall'O. e R. De C. hanno proposto ricorso articolato in due censure.
La società Lavoro e Sicurtà ha resistito con controricorso contenente altresì ricorso incidentale. L'intimato M. B. non si è, in questa sede, costituito.
I ricorrenti principali hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso principale e quello incidentale devono essere preliminarmente riuniti a mente dell'art. 335 c.p.c.
Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti principali - deducendo la violazione degli art. 2043, 1882 c.c. e seguenti, dell'art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 - sostengono che la Corte di merito, nell'escludere che il pregiudizio sofferto dal Dall'O. correlativamente al suo anticipato pensionamento fosse meritevole di ristoro da parte del responsabile dell'incidente stradale e della società assicuratrice della R.C.A., avrebbe errato nel qualificare quel danno come subito da "un terzo" (tale non essendo egli, proprietario e conducente dell'auto investita) ed avrebbe errato nel non avvedersi che la anticipata rinunzia al rapporto di impiego aveva comportato un "danno diretto del danneggiato", a nulla rilevando la circostanza che quella rinunzia fosse stata provocata non dalle lesioni personalmente subite dal rinunziante ma fosse conseguenza della menomazione permanente subita dalla sua consorte (bisognosa di assistenza perché colpita da nevrosi depressiva).

 

 

Ricollegandosi con quest'ultimo concetto, con il secondo motivo del ricorso principale si sostiene che - quand'anche il danno da anticipata risoluzione del rapporto di lavoro fosse da considerare indiretto e fosse da imputare al massimale previsto per il danno subito dalla De Carlo - sussisteva tuttavia l'interesse del Dall'O. ad ottenere una sentenza di condanna, a risarcimento di tale pregiudizio, sia nei confronti dell'autore del fatto illecito (il Bassi) sia nei confronti della compagnia assicuratrice in quanto la liquidazione dei danni sofferti dalla donna (L. 23.846.000 al netto della provvigionale di L. 4 milioni) non esauriva completamente il massimale.
Relativamente, poi, all'affermazione della Corte bolognese secondo cui difettava un nesso di causalità normale ed ordinaria tra le lesioni personali ed i reliquati invalidanti riportati dalla De Carlo a seguito del sinistro stradale ed il detrimento patrimoniale sopportato dal Dall'O. a seguito del suo anticipato e volontario pensionamento, i ricorrenti principali si dolgono che la suindicata conclusione negativa sia stata, nell'impugnata sentenza, suffragata dal richiamo ad un principio di carattere generale, certamente non condivisibile, quale quello che "i danni riportati da una persona in un sinistro possono indubbiamente causare ai familiari della stessa danni sia di natura patrimoniale che morale, ma tali danni non sono risarcibili perché sono la mera conseguenza di un danno subito da un terzo".
Le sopra riassunte censure possono essere congiuntamente esaminate, stante la loro interconnessione logica: e l'esame può iniziare con il riconoscimento che l'ordinamento positivo non contiene (tanto meno con il carattere di assolutezza che la sentenza impugnata mostra di attribuirgli) il principio secondo cui l'autore del fatto illecito sarebbe obbligato a risarcire unicamente i danni, alla persona od al patrimonio, arrecato al soggetto, e rimasti a carico del soggetto, immediatamente

offeso dalla sua azione, e non anche i danni riverberanti a carico dei familiari del soggetto offeso (o di terzi in genere a quest'ultimo legati da particolari rapporti giuridici idonei a provocare nelle loro distinte sfere patrimoniali effetti pregiudizievoli pur sempre eziologicamente collegati con il fatto illecito quale fonte genetica).

 

 

Dottrina e giurisprudenza concordano nell'escludere siffatta limitazione all'obbligazione risarcitoria extracontrattuale sia nei confronti dei terzi, in virtù della così detta tutela aquiliana del diritto di credito, o della tutela dell'aspettativa di una prestazione del debitore frustrata dal fatto illecito altrui incidente sulla possibilità della prestazione medesima; sia nei confronti del familiare o congiunto della vittima dell'illecito in virtù dei vincoli di solidarietà e di assistenza (anche materiale ed a rilevanza economica) tra di loro intercorrenti e non preteribili, ex art. 143, 147, 433 c.c. e seguenti.
Classici, a quest'ultimo riguardo, gli esempi della risarcibilità - pacificamente ammessa - degli esborsi sostenuti dal genitore per le lezioni private da impartire al figlio minore che, leso nella persona per altrui colpa non abbia potuto continuare a frequentare regolari e gratuiti corsi scolastici; ed ancor più classico l'esempio della risarcibilità del danno da uccisione del congiunto per la lesione del diritto al mantenimento o del diritto alimentare anche sotto il profilo di una ragionevole, probabilistica previsione di contribuzione futura.
Ma - senza attardarsi in ulteriori esemplificazioni - può ritenersi ormai acquisito, dalla coscienza sociale e dalla esperienza giurisprudenziale, il dato della ammissibilità, sulla base del disposto dell' art. 1223 cod. civ., richiamato dall'art. 2056 cod. civ., del risarcimento della lesione dei così detti "diritti riflessi" (o di rimbalzo, secondo l'incisivo appellativo usato dalla dottrina francese) di cui siano portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto altrui.

 

 

Ciò premesso, occorre peraltro distinguere e risolvere separatamente:
a) il problema della individuazione della (possibile) pluralità di posizioni giuridiche ingiustamente lese, l'una in riflesso della vulnerazione di altra, passibili in astratto di richiesta di tutela aquiliana per l'allegata propagazione intersoggettiva delle conseguenze negative di uno stesso fatto genetico illecito;
b) l'ulteriore problema della individuazione selettiva in concreto, seguendo le varie serie causali, di quelle sole conseguenze che, con adeguata certezza, possano essere saldate a detta fonte di danno in considerazione di una sua peculiare e naturale efficienza lesiva al di là della persona della vittima iniziale, nonché in considerazione delle circostanze e caratteristiche tutte del caso singolo, le quali conclamino l'esistenza di un collegamento cogente e non diaframmato tra fatto ingiusto e pregiudizio del terzo.
Sotto questo profilo può bene dirsi che il requisito della "conseguenzialità immediata e diretta" indicato nell'art. 1223 cod. civ. quale limite alla risarcibilità del danno, non riguarda il problema sub a), e cioè la distinzione soggettiva tra vittima iniziale ed altri portatori di diritti lesi di riflesso, ma attiene al problema sub b), e cioè alla qualificazione oggettiva del nesso di causalità; nesso che deve presentarsi tale da astringere con un vincolo di stretta lineare derivazione l'evento lesivo lamentato con il fatto doloso o colposo ascritto ad altri.
Orbene, il problema sopraindicato sub a) si presenta risolto, nell'impugnata sentenza in maniera che non può andare esente da censura, laddove si è acriticamente escluso che siano risarcibili, in quanto tali, i danni riflessi e cioè i danni patrimoniali subiti dai familiari del soggetto sinistrato in un incidente stradale provocato da altri.
Ma, trattandosi di errore in linea di affermazione di principio astratto, è consentito a questa Corte ai sensi del dell'art. 384 c.p.c., secondo comma, di limitarsi a correggere sul punto la motivazione nei sensi sopra indicati, dato che - a dispetto dell'errore medesimo - la Corte territoriale è poi pervenuta ad una corretta soluzione della concreta fattispecie sottoposta al suo esame secondo quanto emerge da altra e più pregnante parte della motivazione nonché dal dispositivo della decisione che da quella trae sufficiente e chiaro conforto.
Infatti, nell'affrontare il problema sopra indicato sub b), e quindi nell'affondare l'indagine all'accertamento dei fatti di causa per come prospettati e comprovati, il giudice d'appello ha

sostanzialmente negato la risarcibilità delle perdite patrimoniali da anticipato pensionamento, dal Dall'O. ricollegate all'asserito scopo di potersi più liberamente dedicare all'assistenza della moglie, per l'assorbente considerazione che tali danni rappresentavano un semplice riflesso di quelli cagionati alla persona della moglie dall'incidente e si ponevano in rapporto di conseguenzialità del tutto mediata ed indiretta con il sinistro medesimo, laddove per consolidata giurisprudenza sono risarcibili i soli pregiudizi i quali - pur essendo indiretti - "rientrino nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto, secondo il principio della cosiddetta regolarità causale".

 

 

Non sembra lecito dubitare, anzitutto, della validità di quest'ultimo principio, pacificamente utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (cfr. sent. n. 476 del 1980; numero 6587 e n. 6761 del 1982; n. 4661 del 1984) per espungere dall'area dei danni risarcibili quelli che non si presentino collegati con l'evento lesivo, secondo una serie ordinaria di cause e di effetti, da un nesso eziologico lineare e diretto, per essere intervenuta ad impedire od a spezzare il collegamento, altre circostanze estrinseche al comportamento dell'autore del fatto illecito.
Nemmeno sembra lecito dubitare della corretta applicazione che del principio in questione è stata fatta nel caso di specie, posta l'impossibilità logica di instaurare tra l'addotta esigenza di assistenza della moglie e la cessazione del rapporto di lavoro del marito una correlazione impostata sui criteri della necessarietà, della proporzionalità e della consecutività temporale.
Non il criterio della necessarietà, essendo del tutto indimostrato che l'opera di sostegno morale alla donna depressa potesse essere prodigata soltanto da un marito che fosse esente da impegni di lavoro e che la conservazione di questi ultimi fosse incompatibile con l'osservanza degli obblighi di assistenza incombenti sull'uomo ex art. 143 cod. civ., secondo comma; non il criterio della adeguatezza, essendo i postumi invalidanti di carattere neurologico residuati in pregiudizio della moglie di entità invero modesta e tali da non palesare, nell'anticipato pensionamento del marito, gli estremi di una contromisura proporzionata agli eventi da fronteggiare; non infine il criterio cronologico, essendo pacifico che le dimissioni dall'impiego in banca furono rassegnate tre anni dopo il sinistro e ben dopo la cessazione della invalidità temporanea totale sofferta dalla De C. (protrattasi per quattro mesi).

 

 

Constatate, pertanto, la coerenza e la correttezza della motivazione adottata sul punto dalla Corte di merito, si deve concludere che essa, nell'escludere una correlazione di normale regolarità causale tra malattia neurologica della moglie e volontario dimissionamento dall'impiego da parte del marito, ha espresso una valutazione in linea di fatto la quale resta sottratta al sindacato in questa sede di legittimità (Cfr. Cass. n. 567 del 1983).
Per completezza di indagine sembra lecito ed opportuno soggiungere che quand'anche le perdite patrimoniali derivate dall'anticipato pensionamento del Dall'O. fossero state ritenute dal giudice del merito risarcibili secondo un principio di regolarità causale - il che è stato correttamente escluso - comunque le perdite medesime avrebbero dovuto essere imputate (ai fini della quantificazione del ristoro dovuto dalla compagnia assicuratrice) al massimale di polizza di 25 milioni riguardante il sinistro occorso alla De C.. Esse infatti, a seguire la serie causale prospettata dai coniugi, in ogni caso avrebbero trovato radice originaria e fonte esclusiva nelle lesioni sofferte dalla donna, non in quelle patite dall'uomo, tanto che il depauperamento da cessazione dell'impiego si sarebbe verificato (secondo il loro assunto) anche se Dall'O. fosse uscito incolume dallo scontro automobilistico o non si fosse trovato ad esso presente.
Ebbene, ai fini dell'operatività dei limiti del massimale di polizza previsti rispettivamente per il danno ad una sola persona oppure a più persone e cose coinvolte nel sinistro (così detto limite catastrofale) occorre avere riguardo, salvo diversa clausola contrattuale, al soggetto individuo che nell'incidente abbia subito danni alla propria persona ed alle conseguenze pregiuzievoli che ne sono derivate anche se queste si siano propagate o traslate a carico di altri soggetti e, di riflesso, abbiano finito per incidere definitivamente sulla loro sfera patrimoniale; cosicché sarebbe erroneo moltiplicare il numero dei soggetti "sinistrati" a seconda del numero delle persone che dall'altrui danno abbiano risentito ripercussioni economiche negative, così come sarebbe erroneo imputare le somme risarcitorie esuberanti rispetto al limite del massimale previsto per il danno ad un singolo

sinistrato sul conto di altro massimale sol perché, in tal modo, quella eccedenza potrebbe trovare ristoro. (cfr. in argomento, Cass. n. 373 e n. 4712 del 1985; n. 1831 del 1988).

 

 

Ne caso di specie, poiché già dal giudice di primo grado erano state liquidate in favore della De C., a ristoro dei suoi danni materiali e morali diretti somme (L. 4 milioni di provvigionale + L. 23.846.000 per liquidazione definitiva) di per sé sufficienti a superare il limite del massimale assicurato per persona danneggiata (L. 25 milioni) risulta evidente che in nessun caso il detrimento da anticipato pensionamento del marito avrebbe potuto trovare capienza su quel massimale ed in nessun caso avrebbe potuto costituire oggetto di esorbitante pretesa risarcitoria nei confronti della compagnia di assicurazione.
Anche sotto il suindicato profilo (nel controricorso ampiamente trattato) la sentenza impugnata merita, in definitiva, conferma.
Può soggiungersi: che la risarcibilità del danno ultra massimale da colpevole ritardo nel pagamento dell'indennizzo è stata già riconosciuta dalla Corte di merito e sul punto non vi è impugnazione da parte della compagnia di assicurazione; che il ricorso incidentale di quest'ultima, (su altra circostanza, peraltro non provata, imperniato) rimane assorbito dal rigetto dell'impugnazione principale in quanto è stato esplicitamente condizionato all'eventualità dell'accoglimento di esso. Le spese relative a questo giudizio di legittimità gravano sui soccombenti.

 

 

P.Q.M.

 


La Corte Suprema di Cassazione: riuniti i ricorsi, rigetta quello principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato.

 

Condanna i ricorrenti Dall'O. e R. De C. in solido al pagamento delle spese in L. 90.400 oltre che degli onorari liquidati in L. 1.500.000 in favore della controricorrente S.p.A. Lavoro e Sicurtà, Compagnia di assicurazioni.

Così deciso in Roma il 2 giugno 1989.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 GENNAIO 1991