Cass. pen. Sez. III, 21.07.2008, n. 30402



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. MARMO Margherita - Consigliere

ha pronunciato la seguente: SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) S.R. N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 03/10/2007 CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORDOVA AGOSTINO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI Vincenzo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21.7.2003 S.K. veniva assolto dal G.i.p. di Torino dal reato di cui all'art. 609 octies c.p., commi 1, 2, 3, in relazione all'art. 609 ter c.p., n. 2, per avere, assieme ad altri soggetti non identificati, costretto con violenza e minaccia e facendo uso di un coltello C.M. a subire violenze sessuali di gruppo (capo A). Lo condannava invece alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione in ordine ai reati di cui agli art. 582, 585 c.p., per avere col coltello ferito la donna al viso e ad una mano (capo B) ed alla L. n. 110 del 1975, art. 4, per avere abusivamente portato fuori della propria abitazione detto coltello (capo C).
Avverso tale sentenza proponevano appello sia il P.M. quanto all'assoluzione dal reato di cui al capo A), che il difensore dell'imputato per la mancata assoluzione da quelli di cui ai capi B) e C), o, in subordine, per la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, la riduzione della pena e la sospensione condizionale di essa.
Il G.i.p. aveva ritenuto quanto segue:
1) alle ore 6,20 del (OMISSIS) un assistente della P.S. notava la marocchina C. seduta su un marciapiede, sconvolta e piangente, con una ferita al viso, e che urlava di essere stata stuprata nell'androne di un palazzo sito a poca distanza;
2) davanti al portone vi era parcheggiata una Peugeot con il parabrezza infranto e macchie di sangue sulla carrozzeria;
3) alle ore 8 del medesimo giorno la donna dichiarava che verso le ore 2,30, mentre faceva ritorno a casa, era stata avvicinata da un connazionale che le aveva fatto proposte sessuali; era poi sopraggiunto un algerino che in modo sprezzante l'aveva costretta ad entrare nel portone assieme al marocchino;
4) quest'ultimo aveva estratto un coltello e, puntandoglielo alla gola, l'aveva costretta a spogliarsi, a sdraiarsi per terra ed a congiungersi carnalmente senza preservativo;
5) subito dopo era stata posseduta, sempre senza preservativo, dall'algerino;
6) poi il marocchino aveva fatto intervenire altri quattro connazionali, che avevano abusato di lei;
7) alla fine, rivestitasi, era uscita fuori chiedendo aiuto, ma il primo marocchino l'aveva raggiunta, percossa ed accoltellata al viso, mentre gli altri le avevano inferto calci;
8) conosceva di vista il primo marocchino, abitante in via (OMISSIS), ed anche gli altri;
9) alle ore 10,20 R.P., cognato della donna, avvertiva la polizia che la C. aveva riconosciuto detto marocchino, identificato nel S.;
10) alle ore 12,30 ella, assistita come interprete informale dal cugino S.Y., confermando ed integrando le precedenti dichiarazioni, dichiarava che il S. era sicuramente uno degli aggressori, aggiungendo che aveva la mano sinistra "offesa" (malformata), che le aveva eiaculato sulla pancia e che aveva gli slip di colore grigio (mentre gli altri l'avevano di colore bianco), mentre l'algerino aveva eiaculato in vagina, e, degli altri quattro, due avevano usato il preservativo e due no; e che, usciti in strada, il S. aveva danneggiato con una bottiglia di vetro un'auto lì parcheggiata, ferendosi alla mano destra:
11) in effetti, alle ore 8 del (OMISSIS) il S. si era recato presso il CTO per farsi suturare la ferita, allontanandosi poi precipitosamente senza ritirare il referto;
12) egli, dopo l'identificazione, veniva fermato e gli veniva applicata dal G.i.p. la misura cautelare carceraria;
13) esaminata in sede di incidente probatorio, la C. forniva una versione non del tutto conforme alla precedente quanto all'uso o meno dei profilattici, al momento in cui era stata ferita in volto, al possesso o meno di un telefono cellulare ed ai contatti con i parenti durante la notte, alla mancata identificazione degli altri aggressori;
14) sottoposta a visita ginecologica, non le venivano riscontrate lesioni, e la ricerca di nemaspermi nel liquido vaginale aveva dato esito negativo;
15) riteneva quindi che il quadro incriminatorio dell'imputato fosse insufficiente per il reato di cui al capo A), mentre lo era per quelli di cui ai capi B) e C), tenuto conto delle lesioni riscontrate al viso ed alla mano della donna, ed avendo l'inquisito ammesso di essere venuto in contatto con essa quella notte, ma adducendo che era stata la stessa a ferirlo con una bottiglia rotta.
La Corte di Torino accoglieva l'appello del F.M. e rigettava quello dell'imputato con le seguenti motivazioni:
1) la C. risiedeva regolarmente in Italia da dieci anni, lavorava come collaboratrice domestica, non aveva precedenti o pendenze penali, non aveva manifestato alcunchè di anormale, nè aveva motivi di astio o di rancore verso l'imputato, per cui era del tutto credibile;
2) data l'appartenenza al medesimo gruppo etnico - sociale (musulmani) doveva desumersi che il S. ritenesse una incondizionata sudditanza sessuale della donna, che mai avrebbe osato denunziarlo;
3) quanto alle imprecisioni o contraddizioni esse erano irrilevanti e dovute alla rielaborazione linguistico - concettuale dei verbalizzanti i quali evidentemente riportarono in corretto italiano le frasi approssimative e sgrammaticate della donna (mano bendata anzichè mano offesa): comunque non interessavano il nucleo essenziale della vicenda ed il ruolo dell'imputato, e ciò valeva anche per le dichiarazioni rese al G.i.p. in lingua d'origine (un dialetto arabo che aveva creato difficoltà all'interprete);
4) comunque, le lacune e le incongruenze, quali la ferita al volto inferta prima della violenza sessuale e non dopo, la violenza sessuale posta in essere da tutto il gruppo o solo da alcuni di esso, l'uso o meno del profilattico, le eiaculazioni vaginali o extravaginali, i contatti telefonici con i parenti dopo l'episodio (non sarebbe stata in possesso di un cellulare nè risultavano telefonate dai tabulati telefonici) non incidevano negativamente sulla situazione di intimidazione e sopraffazione, non avendo evidentemente fatto caso ad alcuni particolari, o non avendoli memorizzati, o avendoli cancellati dalla memoria; e quanto al telefono, la donna non aveva alcuna necessità di mentire, per cui si sarebbe confusa o avrebbe erroneamente rievocato la cosa, oppure il cognato R. potrebbe aver memorizzato male la vicenda;
5) quanto all'assenza di sperma in vagina, gli aggressori potrebbero aver eiaculato fuori di essa, e, quanto alle mancate lesioni, la donna, come disse, aveva preferito non opporre resistenza, non vedendo alcuna via di scampo, favorendo un coito meno brutale e doloroso, tanto più che il sanitario aveva attestato che l'assenza di lesioni vaginali poteva essere compatibile con più rapporti sessuali;
6) la mancata identificazione degli altri cinque aggressori, che la donna aveva dichiarato di conoscere di vista, non incideva sulla sua veridicità, potendo non averli più incontrati perchè intenzionalmente dileguatisi, o per non aver voluto aggravare la propria posizione quale accusatrice di altri connazionali, oltre che del S., protagonista principale e più efferato della vicenda;
7) la polizia non aveva inspiegabilmente svolto indagini per verificare la presenza di tracce di sperma o di sangue sul luogo dell'aggressione;
8) la donna quando fu soccorsa dalla polizia alle ore 6,20 fu trovata sconvolta, visibilmente scossa e fuori di sè;
9) S. aveva effettivamente la mano sinistra malformata, e ciò era stato indicato alla polizia alle ore 10, e, come controllato, indossava effettivamente slip di colore grigio;
10) non solo l'autovettura presentava i danni indicati, ma il S. al mattino si era fatto medicare la ferita alla mano destra, allontanandosi precipitosamente poi dal nosocomio scavalcando la finestra del bagno;
11) sulla donna erano state riscontrate ferite da taglio alla guancia e alla mano, oltre che tumefazioni al volto:
12) l'inquisito aveva ammessi)di aver avuto contatti ed una lite con la donna, che sarebbe stata ubriaca e l'avrebbe ferito alla mano con una bottiglia rotta, ferendosi poi ella stessa al volto per simulare di essere stata aggredita dal S.;
13) tutto ciò faceva disattendere i motivi d'appello della difesa, a parte che il reato di cui al capo C) si era estinto per prescrizione;
14) l'imputato non meritava le attenuanti generiche per l'estrema gravità della condotta e per il grave precedente penale concernente la detenzione di stupefacenti (ed altro), ed in relazione alle umilianti modalità del fatto ed all'aver invitato a partecipare alla violenza gli altri;
15) dichiarato prescritto il reato di cui al capo C), la pena andava determinata nella complessiva misura di cinque anni e due mesi di reclusione, con quelle accessorie di legge, e con la revoca della sospensione condizionale..
Avverso tale sentenza proponeva ricorso il difensore, deducendo che:
a) essa era palesemente illogica e carente nella sommaria e superficiale motivazione, avendo indicato in modo approssimativo e del tutto insufficiente gli elementi dai quali aveva tratto il proprio convincimento in contrasto con quello del G.i.p.;
b) la C. alle ore 8 del 15.9.2002 aveva reso la prima versione, premettendo di parlare bene l'italiano, trovandosi da dieci anni in questo territorio; alle ore 12,20 dello stesso giorno rendeva nuove dichiarazioni, integrando le precedenti, ed avvalendosi come interprete informale del cugino SA.; dopo circa un mese, il 17.10.2002, esaminata in sede di incidente probatorio, rendeva nuova versione, che il G.i.p. riteneva confusa e lacunosa oltre che non del tutto conforme alle precedenti, sia in ordine alle modalità della violenza, che al contesto spazio-temporale in cui veniva collocata;
c) il G.i.p. si avvedeva della difficoltà della donna di esprimersi in lingua italiana e, tenuto conto che la seconda versione era stata tradotta dal cugino, per cui non era possibile verificarne la correttezza sotto i profili della traduzione e della verbalizzazione, aveva ritenuto inattendibile la donna, non essendo sufficienti le sue discordanti dichiarazioni a fondare un giudizio di colpevolezza;
d) la Corte d'appello, pur dando atto delle imprecisioni e di qualche approssimazione, non aveva fornito alcun elemento idoneo a giustificare la traduzione resa dal cugino e delle verbalizzazioni effettuate dagli operanti, nè aveva fornito una motivazione adeguata circa le incertezze manifestate in sede di incidente probatorio;
e) non era stato spiegato il contrasto per avere la polizia dato atto che la donna parlava l'italiano abbastanza bene, nè era dato di sapere se il cugino avesse operato a sua volta rielaborazioni di quanto riferitogli; e, poi, si era dato atto che persino il perito aveva trovato difficoltà a tradurre le dichiarazioni della donna, rese in dialetto arabo molto stretto;
f) il Collegio aveva lasciato insoluti tali dubbi, venendo meno agli obblighi di cui all'art. 646 c.p.p., e ciò in assenza di altri elementi certi per affermare la responsabilità dell'imputato, a parte l'esito negativo degli accertamenti ginecologici.
Chiedeva pertanto l'annullamento dell'impugnata sentenza per carenza di motivazione.

Motivi della decisione

Dalla motivazione della sentenza impugnata, sinteticamente riportata in punto di fatto, risulta che la Corte territoriale ha esaurientemente trattato tutti gli aspetti facenti ora oggetto del ricorso, per cui non si ravvisa alcuno dei vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, ed, in particolare, quello di cui alla lett. e):
infatti, pur essendo astrattamente possibile dare a tutte le considerazioni svolte diverse interpretazioni, quelle di cui trattasi non sono certamente viziate da irragionevolezza, avendo una loro coerenza logica. D'altra parte, i motivi di gravame non si basano su elementi non presi in esame dalla Corte territoriale, bensì su una rilettura difensiva dei medesimi: ma il giudizio di legittimità non può mai risolversi nella rivisitazione dell'iter ricostruttivo del fatto, dovendo limitarsi alla mera constatazione dell'eventuale travisamento della prova, che consiste nell'utilizzarne una inesistente o un risultato di essa inconfutabilmente diverso nella sua oggettività da quello effettivo. Quindi, restano estranei al sindacato di questa Corte i rilievi in merito al significato di detta prova ed alla sua capacità dimostrativa, non potendosi accedere ad una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa loro interpretazione, essendo in questa sede precluso il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, e rimanendo suo unico oggetto i vizi di cui al citato art. 606 c.p.p., Vero è che, basandosi la sentenza impugnata principalmente sulle dichiarazioni della C., l'attendibilità di questa andava rigorosamente valutata: ma è quel che ha fatto la Corte territoriale, dando compiuta valutazione degli elementi per cui l'ha ritenuta attendibile e motivando sulla irrilevanza delle eccepite diversità su punti non essenziali delle varie dichiarazioni. Ed, invero, quanto al tipo di violenza subita da ciascuno degli aggressori, alla eiaculazione vaginale o extravaginale, alle ferite al volto inferte prima o dopo gli abusi sessuali, ed altro, non poteva pretendersi, nello sconvolgimento causato alla vittima, che costei "registrasse" con esatta precisione i vari particolari o che, nel trauma subito, li ricordasse con estrema precisione, anche per l'istintiva e dichiarata tendenza a rimuovere il ricordo della penosa vicenda: ed ella fu trovata dagli operanti sconvolta e fuori di sè, così come lo era nel corso dei vari interrogatori, per cui le marginali divergenze, come ritenuto dalla Corte territoriale, sono del tutto irrilevanti rispetto al fatto principale, che peraltro non avrebbe avuto motivo di denunziare falsamente, e, per di più, esponendosi a possibili rappresaglie.
A parte ciò, la sentenza impugnata ha dato atto della sussistenza dei riscontri esterni, quali le ferite al viso ed alla mano, il significativo dileguamento dell'imputato dal nosocomio dopo essersi fatto curare le proprie ferite (era saltato da una finestra), le tracce di sangue sull'autovettura parcheggiata dinanzi al luogo in cui avvenne il fatto, il riscontrato colore degli slip indossati dall'imputato, l'avere questi una mano malforinata, indicata come fasciata dalla donna: e tale ultimo particolare dimostra la difficoltà di costei ad esprimersi in lingua italiana, e spiega talune discrasie descrittive, nonostante l'attestazione degli operanti che parlasse bene tale lingua.
Infine, non è stato indicato nel ricorso il motivo per cui la donna, non avendo mai conosciuto il S. se non di vista, l'avrebbe indicato quale principale protagonista della vicenda.
Ne consegue il rigetto del ricorso, come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2008