Cass. Pen. Sez. V, 04.02.2008, n. 5394



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri:
Dott. Colonnese Andrea Presidente
Dott. Ferrua Giuliana Consigliere
Dott. Oldi Paolo Consigliere
Dott. Fumo Maurizio Consigliere
Dott. Dubolino Pietro Consigliere

Ha pronunciato la seguente:  SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) B. A. nato il 14/09/1987

Avverso Ordinanza del 02/10/2007 Trib. Libertà di Genova.

Sentita la relazione fatta dal Consigliere
FUMO MAURIZIO

Udito il PG in persona del sot. Proc. dr. G. D'Angelo, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.

B. A. ricorre per cassazione avverso ordinanza del Tdr di Genova del 2.10.2007, con la quale, accogliendo parzialmente l'appello del PM presso il Tribunale di Massa, avverso l'ordinanza del GIP 1.8.2007 era rigettata la istanza di revoca degli obblighi con riferimento ai reati dei capi A e C, per l'effetto ripristinando la misura dell'obbligo di dimora con reperibilità oraria.
Il B. è indagato, tra l'altro per il reato (capo A) ex artt. 81.110.610 cp per avere, in concorso con altri, costretto M. R. a subire maltrattamenti e offese (taglio e tintura dei capelli, verniciatura del corpo, anche con simboli nazisti, ripresa della scena con la videocamera inserita nel cellulare) e per il reato (capo C) perché, in concorso come sopra, inserendo le predette immagini sul sito www.youtube.com, offendeva la reputazione del M.
Entrambi i fatti sono stati contestati come aggravati ex artt. 61 n. 1 e 3 legge 104/92 in funzione della futilità dei motivi di tale procurata sofferenza e dell'invalidità civile della PO.
Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 272, 273 e 192 c.p.p., atteso che non è affatto emersa la prova che il B. abbia dato un contributo causale alla commissione del reato sub A, essendo viceversa emerso che lo stesso aveva frequentato solo in poche occasioni l'appartamento nel quale si sarebbero svolte le presunte angherie in danno del M. , il quale non cita mai il B. . Altro indagato (E. M. ) ha ammesso di aver scattato le foto, mentre l'unica persona che chiama in causa il B. è tale F. C., la quale però risponde a una suggestiva domanda degli inquirenti.
Deduce inoltre violazione dell'art. 274 e violazione e falsa applicazione dell'art. 275 c.p.p., atteso che la sussistenza delle esigenze cautelari si fonderebbe solo sul mancato ravvedimento da parte degli indagati. Lo stesso provvedimento però dà atto che il B. ammette di aver sbagliato nell'inserire in rete le immagini predette. D'altra parte, la misura non appare né idonea né proporzionata, ma ha valore meramente punitivo perché, secondo quanto si legge, svolgerebbe la funzione di assicurare la consapevolezza continua della antigiuridicità dei comportamenti degli indagati. Ma tali finalità correzionali non si attagliano a una misura cautelare che, per altro, non è affatto blanda, anche perché impedisce irragionevolmente a un cittadino di muoversi liberamente e, nel caso in esame, impedisce al B. di recarsi a studiare all'estero, cosa che sarebbe molto piu' efficace (della sterile misura persecutoria) per suo valido inserimento sociale.
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente va condannato alle spese del grado e al versamento di somma a favore della Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in € 1000.
In realtà, la prima censura, pur «etichettata» come violazione di legge processuale introduce argomentazioni relative al merito, laddove pretende di contrastare la ricostruzione in fatto operata dal Tdr, reinterpretando il contributo di conoscenza proveniente dalla F. e presupponendo che la stessa sia stata in qualche modo «indotta» dagli inquirenti a rilasciare compiacenti dichiarazioni. Il che, più che un'alternativa ricostruzione dell'accaduto, rappresenta una tendenziosa (e, allo stato, gratuita e insinuante) rappresentazione delle modalità con cui si sarebbe svolta la attività di indagine. D'altronde, è rimasto accertato (e lo ammette lo stesso ricorrente), sia che B. aveva frequentato l'appartamento dove si svolgevano le poco commendevoli scene, sia che lo stesso aveva curato la diffusione delle predette scene sul web.
Quanto alle esigenze cautelari, non è esatto che il provvedimento in esame si limiti a considerazioni di tipo moralistico, dal momento che (p. 8-9) viene motivatamente ipotizzato il rischio di reiterazione del reato, attesa la natura costante della aggressione psicologica in danno del M. la cui ridicolizzazione costitutiva occasione di divertimento per gli indagati e cemento del gruppo amicale.
La proporzione e la idoneità della misura adottata infine sono sinteticamente ma sufficientemente illustrate nell'ultima pagina del provvedimento impugnato, nella parte in cui si stabilisce una stretta relazione tra la condotta criminosa tenuta, il pericolo di reiterazione della stessa e la limitazione della libertà di movimento imposta con la ripristinata misura

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille (1000) euro a favore della cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, camera di consiglio in data 20.XII.2007.
L'estensore Il Presidente
Maurizio Fumo
Andrea Colonnese


DEPOSITATA IN CANCELLERIA  IL 4 FEBBRAIO 2008.