Cass. pen. Sez. I, 11.10.2005, n. 36853



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente
Dott. SILVESTRI Giovanni - Consigliere
Dott. GRANERO Francantonio - Consigliere
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere
Dott. TURONE Giuliano - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) C. G., N. IL 23/04/1984;

avverso ORDINANZA del 16/05/2005 TRIB. LIBERTA' MINORI di BARI;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. TURONE GIULIANO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. FEBBRARO Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

OSSERVA
In data 24 dicembre 2004 il Gip del Tribunale di Bari emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di C. G. per i reati di omicidio e tentato omicidio pluriaggravati e porto di arma da fuoco, commessi in Bari il 20 aprile 2002. Il Tribunale del Riesame di Bari confermava l'ordinanza, ma dichiarava l'incompetenza funzionale del Gip di prime cure essendo emerso che, all'epoca dei fatti, il C. era minorenne.
Il Gip minorile di Bari rinnovava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, per i medesimi reati, in data 26 aprile 2005. E successivamente, in data 16 maggio 2005, il Tribunale dei Minorenni di Bari in funzione di Tribunale del Riesame confermava il provvedimento di custodia con l'ordinanza oggi impugnata, rigettando l'istanza di revoca o sostituzione della misura.
Il C. veniva accusato di aver cagionato la morte di B. M. e di aver cagionato lesioni gravi a D. B. B. agendo, come conducente del ciclomotore utilizzato per l'agguato, in concorso con un non meglio identificato "P. di C." che aveva materialmente esploso undici colpi di pistola cal. 9 verso le persone offese. Il prevenuto, secondo l'accusa, avrebbe agito avvalendosi delle condizioni di intimidazione e di omertà derivanti dall'appartenenza al sodalizio mafioso denominato "clan S.", imperante nel quartiere Libertà di Bari, per rafforzarne l'egemonia e per contrastare il sodalizio mafioso avversario costituito dal cosiddetto "clan A.-C.", cui appartenevano il B. e il De Bari. Di qui la contestazione all'indagato anche della circostanza aggravante di cui all'art. 7 Legge 152/91.
Il Tribunale del Riesame esamina gli elementi acquisiti a carico dell'indagato, sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, premettendo che il fatto di cui è processo - verificatosi sul corso Mazzini di Bari verso le 17.30 del 20 aprile 2002 - costituisce immediata e diretta risposta a un sanguinoso attentato avvenuto tre giorni prima (17 aprile) sulla via Nitti della stessa città, nei pressi del bar S.., allorquando un appartenente al gruppo A.-C. (poi identificato in C. C.) esplodeva numerosi colpi di pistola all'indirizzo di un gruppo di aderenti al clan S., tra cui lo stesso C., proprio mentre essi subivano un controllo da parte della Polizia, ferendo due agenti e un membro di quel sodalizio. Il Tribunale precisa, inoltre, che l'appartenenza del C. al c.d. clan S. risulta dalla sentenza emessa dal Gip di Bari in data 1 dicembre 2004 a carico del C. medesimo e di numerosi coimputati, per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. e per svariati delitti fine, sentenza divenuta definitiva.
Lo specifico episodio criminoso del 20 aprile 2002 era stato descritto, sia pure in modo sommario, dall'unico teste oculare identificato, un sottufficiale dei Carabinieri fuori servizio che, per ragioni personali, si trovava in quel momento a una cinquantina di metri dalla scena del delitto (cfr., sul punto, anche l'ordinanza 26 aprile 2005 del Gip minorile). Il teste aveva notato tre uomini fermi sul marciapiede di corso Mazzini intenti a parlare tra loro;
dopo trenta secondi, due dei tre si allontanavano repentinamente e di corsa dal terzo, mentre quest'ultimo esplodeva diversi colpi di pistola verso i due che fuggivano; dopo di che il giovane che aveva sparato (il cui abbigliamento era compatibile con una tuta da lavoro) raggiungeva un altro giovane che attendeva nei pressi, tra alcune auto in sosta, a bordo di un ciclomotore, ed entrambi si allontanavano rapidamente con quel mezzo.
L'ordinanza del Tribunale del Riesame da poi atto che gli elementi di accusa a carico del C., relativamente all'episodio specifico di cui è processo, emergono invece dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia - B. F., M. M. e N. G. - tutti appartenenti, per loro stessa ammissione, allo stesso clan S.. In particolare, le circostanze che l'ordinanza impugnata desume dalle dichiarazioni dei tre collaboranti sono le seguenti. a)- Dichiarante B. F.:
Effettivi destinatari dell'azione di fuoco del 20 aprile 2002 erano altri tre membri del gruppo A.-C. che erano stati visti stazionare sul corso Mazzini all'angolo con via Ravanas (tradizionale luogo d'incontro di tale sodalizio) dalla convivente del C..
Costei aveva avvisato quest'ultimo telefonandogli a casa (in via De Rossi). Il C., insieme con il "P. di C.", si era subito spostato in motorino da via De Rossi per raggiungere il vicino corso Mazzini, sennonchè i due - al loro arrivo - non avevano più trovato sul posto le tre vittime predestinate ed avevano consumato la rappresaglia contro il B. e il De Bari. Il B. riferiva di avere personalmente assistito alla telefonata pervenuta e ricevuta dal C. nella casa di via De Rossi e di avere poi visto personalmente il C. allontanarsi da quella casa in motorino con il "Pietro" per andare in corso Mazzini.
Giunti in corso Mazzini, il "P." - vestito con una tuta da meccanico - aveva materialmente sparato al B. e al D. B.dopo che, non essendo conosciuto dalle vittime, si era avvicinato loro senza destare sospetti; il C. aveva invece atteso in disparte a bordo del motorino tenendosi pronto per la fuga.
Le tre vittime predestinate si erano allontanate da corso Mazzini qualche minuto prima che arrivassero gli attentatori perchè avevano visto transitare in auto un altro membro del gruppo S. (M. M.) e lo avevano inseguito per costringerlo a fuggire dal territorio di loro appartenenza nel quale quello era 'sconfinatò. b)- Dichiarante M. M.:
Quel pomeriggio, ancora ignaro degli eventi, percorreva in auto il corso Mazzini quando si avvide che tre membri del gruppo A.- C. lo guardavano con aria minacciosa e poi lo inseguirono fino a che egli non giunse e si rifugiò nel territorio del gruppo S.. Qui giunto, si era rifugiato presso un sodale detto il 'C., dal quale aveva saputo dell'azione di fuoco in atto proprio in quel momento in corso Mazzini per opera del C. e del non meglio identificato "P.", in risposta dell'attentato di tre giorni prima.
La casa di C. in via De Rossi, dove il gruppo teneva le armi, era quella da cui ci si muoveva in occasione delle azioni di fuoco.
Dopo aver saputo dell'azione di fuoco era subito tornato a casa sua, nel rione Enziteto, e lì erano sopraggiunti anche il C. e alcuni altri membri del gruppo S., per evitare i controlli di polizia.
Giunto a Enziteto, il C. aveva detto al Mari e agli altri di aver commesso l'attentato con un ragazzo di C.. Inoltre, riferendosi al B. che era stato ucciso, il C. aveva anche detto: "Ora, M., che vuoi... l'ho fatto ballare in mezzo alla strada". c)- Dichiarante N. G.:
Anche lui era confluito a casa del M. nel rione Enziteto subito dopo l'omicidio e il tentato omicidio di corso Mazzini. Lì aveva visto arrivare il C. in macchina: era sceso dall'auto con in mano il casco e i vestiti usati per l'azione di fuoco appena compiuta, nonchè con la pistola usata per l'agguato. Inoltre il C., miniando i movimenti del B. mentre veniva raggiunto dalle pallottole, aveva detto ai presenti: "L'ho sparato, e faceva così a terra".
Relativamente alle esigenza cautelari, il Tribunale del Riesame ritiene sussistente, serio e concreto il pericolo che il prevenuto possa commettere gravi delitti con uso di armi o comunque delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per cui si procede, facendo leva sulle specifiche modalità del fatto, sulla personalità dell'indagato e, soprattutto, sulla sentenza di condanna subita dal C. per il reato di associazione di tipo mafioso, recentemente divenuta esecutiva (art. 274, lettera c, c.p.p.).
Contro l'ordinanza del Tribunale del Riesame ha proposto ricorso la difesa dell'indagato per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, prospettando due distinti motivi che sono ulteriormente sviluppati nella memoria 6 luglio 2005.
Con il primo motivo si eccepisce che gli elementi a carico del C. discendono esclusivamente da dichiarazioni "de relato" rese da collaboranti, per le quali la giurisprudenza di legittimità esige la prospettazione di riscontri esterni "individualizzanti". In proposito, il ricorrente sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato formula un mero giudizio sommario nella ricostruzione degli accadimenti, fondato solo sulle suddette dichiarazioni definite de relato, che sarebbero "generiche, contraddittorie e prive dei necessari riscontri estrinseci".
Con il secondo motivo si sostiene il difetto di motivazione circa la sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lettera c, c.p.p..
Ritiene la Corte che entrambi i motivi di ricorso siano infondati.
Per quanto riguarda il primo motivo, non corrisponde a verità che le dichiarazioni rese dai tre collaboratori di giustizia in ordine alla dinamica del fatto criminoso siano dichiarazioni de relato. Al contrario i tre dichiaranti hanno riferito circostanze da essi constatate de visu. Il B. ha riferito di avere assistito personalmente alla telefonata giunta in via D. R., allorchè la convivente del C. avvertì quest'ultimo della presenza delle vittime designate in corso Mazzini, e di avere altresì personalmente assistito alla partenza in motorino del C. e del 'Pietrò (quest'ultimo vestito con una tuta da meccanico) per recarsi sul luogo dell'agguato. Il M. ed il Nuovo hanno riferito di avere assistito personalmente al rientro del C. dal luogo dell'agguato - con il casco e la pistola usati nell'occasione - e di avere assistito al racconto fatto da costui circa la dinamica del delitto e circa i particolari relativi alla morte del B..
E' noto che in tema di motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale "l'ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicchè la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato" (Cass., Sez. Unite, 3 luglio 1996, n. 7, Moni, mass. 205257). Nel caso di specie, poi, l'ordinanza impugnata richiama in più punti l'ordinanza del Gip minorile del 26 aprile 2005, la quale, a sua volta, richiama spesso la motivazione della più corposa ordinanza del Gip ordinario che l'ha preceduta in data 24 dicembre 2004, per modo che il provvedimento del Tribunale del Riesame oggi impugnato deve essere necessariamente integrato in base alle due suddette ordinanze.
Orbene, il provvedimento impugnato, integrato ove del caso dalle due ordinanze precedenti, da conto delle circostanze di cui sopra con una motivazione che non presenta profili di illogicità e che appare pertinente sotto il profilo della valutazione della attendibilità sia intrinseca che estrinseca delle propalazioni. In particolare, la motivazione appare congrua e pertinente laddove indica i riscontri esterni alle propalazioni quali desumibili dalla testimonianza resa dall'unico testimone oculare al fatto di sangue (oltre che dalle risultanze del sopralluogo sulla scena del delitto).
Del tutto logica e pertinente è altresì la motivazione del Tribunale del Riesame circa la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lettera c, c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna.
Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2005.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2005