Cass. pen. Sez. I, 09.03.2005, n. 9452



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SOSSI Mario - Presidente
Dott. MOCALI Piero - Consigliere
Dott. GIRONI Emilio - Consigliere
Dott. GRANERO Francantonio - Consigliere
Dott. PEPINO Livio - Consigliere

ha pronunciato la seguente: SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) C. M. S., n. il 14 dicembre 1964;
2) D. B. A. G.n. il 17 febbraio 1976;
3) P. V., n. il 30 settembre 1969;
4) S. G. R., n. il 25 marzo 1978;

contro l'ordinanza 26 maggio 2004 del Tribunale di Reggio Calabria;

visti gli atti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Livio Pepino;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale Dott. A. M. che ha chiesto rigettarsi i ricorsi di C. e D. B., dichiararsi inammissibile il ricorso di P. e dichiararsi, per quanto riguarda S., la competenza del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso detto tribunale;
sentiti i difensori:
- avv. Giorgio Antoci per C.;
- avv. Claudio Faranda per D B;
- avv. Licastro (in sostituzione avv. Marcella Belcastro) per P.;
- avv. G. Nucera per S.;

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza 26 maggio 2004 il Tribunale di Reggio Calabria - sezione del riesame, decidendo sull'appello del Procuratore distrettuale della stessa città contro l'ordinanza 18 aprile 2003 del giudice per le indagini preliminari reiettiva di una pluralità di richieste di applicazione di misure cautelari, ha disposto la custodia in carcere nei confronti di:
- S. G. R. e P. V. per l'omicidio di Z. G. e F. A.(avvenuto il 16 gennaio 1996) e connessi reati di detenzione e porto illegale di armi da fuoco;
- P. V. e D. B. A. G. per l'omicidio di C. A. (avvenuto il 14 febbraio 1996) e connessi delitti concernenti le armi;
- C. M. S.per l'omicidio di Z. A. (avvenuto il 4 settembre 1996) nonchè per detenzione e proto illegale di armi da fuoco.
Il tribunale ha osservato che la ricostruzione di detti omicidi, collegati con la violenta lotta tra le fazioni criminali dei G. e degli Z. in corso all'epoca nella zona di Oppido Mamertina, è stata resa possibile dalla "voce inattesa di un personaggio della criminalità siciliana, B. Maurizio, che ha scelto la via della collaborazione in modo ampio e, evidentemente, sofferto se, come si sostiene in atti, è morto suicida nella fase successiva". Ciò posto, l'ordinanza, dopo essersi soffermata sull'attendibilità del B. (ritenuta provata dalla genesi, dalla spontaneità e dal disinteresse della collaborazione nonchè dalle imponenti conferme dei fatti riferiti), riporta ampi stralci delle sue dichiarazioni da cui risulta; a1) l'appartenenza del collaborante, in ruolo apicale, alla cosca mafiosa C. operante nel catanese, alleata dei G. nel conflitto tra gli stessi e gli Z.; a2) la partecipazione diretta del B. agli omicidi di Z. G. e F. ., di C. A.e di Z. A.; a3) l'esecuzione materiale di tutti e tre gli omicidi, decisi e ordinati da G. A., ad opera di elementi siciliani della cosca C., e cioè, rispettivamente, B. e S., B. e D. B. A., C. (assistito, nella fase preparatoria in cui venne provata la carabina di precisione poi utilizzata per il delitto, dallo stesso B.); a4) l'intervento, nel primo e nel secondo omicidio, per indicare le vittime designate (sconosciute agli esecutori) di P. V. (genericamente indicato come E.), componente del clan G.. Quanto ai riscontri alle dichiarazioni del collaborante il tribunale indica:
b1) per S., la stretta e intensa frequentazione del B., con il quale venne ripetutamente fermato e controllato (in una occasione, il 6 febbraio 1996, appena venti giorni dopo l'omicidio contestatogli e a bordo dell'auto Y10 con la quale, sempre secondo il B., avrebbero fatto ritorno in Sicilia dopo l'omicidio); b2) per P., la comprovata vicinanza ai G. (tanto da a vere in uso un'auto blindata fornitagli da G. A.), il coinvolgimento nel conflitto con gli Z. (risultante dall'attentato subito in quel torno di tempo, dalla partecipazione all'omicidio di Z. S. e dalla sua considerazione, da parte del clan avverso, come proprio acerrimo nemico, secondo la testuale definizione di Z. D.); b3) per D. B. A., i comprovati stretti rapporti con il B. e la cosca C. e, soprattutto, il contenuto di una conversazione intercettata il 6 luglio 1998 nella quale egli si dichiara autore di un omicidio, individuato dagli inquirenti (dopo iniziali incertezze dovute a una inesatta trascrizione) come quello del C.; b4) per C., l'appartenenza alla cosca C. e soprattutto alcune conversazioni intercettate, segnatamente quella in data 7 luglio 1998, nella quale lo stesso espressamente dichiara di avere commesso, per G. A., ben sette omicidi.
2. Contro l'ordinanza hanno proposto ricorso tutti gli indagati.
C. deduce violazione di legge e vizi di motivazione, lamentando, in particolare che: c1) gli elementi indiziali a proprio carico consistono esclusivamente nella chiamata in reità del B., che, per di più, riferisce notizie apprese, secondo le sue stesse dichiarazioni, dal C. e dal coindagato G. A. (successivamente deceduto), nonchè da organi di stampa; c2) dette chiamate sono prive di riscontri individualizzanti (necessari ai sensi degli artt. 273, comma 1 bis e 192, comma 3, c.p.p.), tali non potendo considerarsi la frequentazione del B. e gli esiti dell'intercettazione citata nell'ordinanza (equivoca e priva di riferimenti specifici all'omicidio de quo); c3) in ogni caso le intercettazioni in questione sono inutilizzabili per violazione dell'art. 268, comma 3, c.p.p., siccome effettuate con utilizzazione di impianti esterni alla Procura in assenza di una congrua motivazione, da parte del pubblico ministero, circa l'insufficienza o inidoneità degli impianti giudiziari e le eccezionali ragioni di urgenza; c4) mancano, inoltre, esigenze cautelari tali da giustificare la misura.
Di Bella deduce, a sua volta: d1) mancanza di adeguata motivazione circa l'attendibilità del B., in generale e con riferimento all'omicidio Carbone; d2) totale assenza di riscontri individualizzanti che l'unico elemento indicato in tal senso nell'ordinanza sta nel contenuto di un'intercettazione contente la descrizione di un fatto di sangue incerto e, comunque, diverso dall'omicidio C..
Nel ricorso di P. si deduce nullità dell'ordinanza: e1) per carenza di riscontri individualizzanti alla dichiarazioni accusatorie del B.; e2) per travisamento di fatto, avendo impropriamente il tribunale ritenuto di identificarlo nell'Enzo cui il collaborante attribuisce il ruolo di "segnalatore" negli omicidi di Z. G. e F. A. e di C. A..
S. deduce anzitutto la propria minore età all'epoca dell'omicidio contestatogli e, dunque, l'evidente incompetenza del Tribunale ordinario di Reggio Calabria. A ciò aggiunge numerosi rilievi ed eccezioni, in particolare su: f1) scarsa attendibilità delle dichiarazioni del B. in relazione alla loro genesi e alle modalità di assunzione; f2) mancanza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie del collaborante; f3) omessi accertamenti da parte del tribunale di circostanze ritualmente dedotte dimostrative del fatto che, all'epoca dell'omicidio, egli si trovava ricoverato presso l'ospedale militare di Messina.
Il Procuratore generale ha concluso come in epigrafe.
3. Il ricorso dello S. è fondato: è pacifico che all'epoca dell'omicidio ascrittogli, commesso il 16 gennaio 1996, egli, essendo nato il 25 marzo 1978, non aveva ancora compiuto i diciotto anni. La conseguente incompetenza funzionale dell'autorità giudiziaria ordinaria vizia irrimediabilmente l'ordinanza applicativa della misura cautelare e ne impone l'annullamento con trasmissione di copia degli atti al competente Procuratore della Repubblica minorile (e assorbimento delle altre doglianze).
4. I ricorsi degli altri indagati presentano profili (totalmente o parzialmente) comuni: l'attendibilità del B., l'utilizzabilità delle intercettazioni ambientali agli atti e l'esistenza (o meno) di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del collaborante.
I motivi concernenti l'asserita mancanza o illogicità della motivazione in punto attendibilità del B. sono infondati. La relativa valutazione è stata, infatti, compiuta dal tribunale del riesame tenendo conto dei parametri indicati dalla costante giurisprudenza di legittimità (personalità del collaborante, sue condizioni socio-economiche e familiari, suo passato, genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all'accusa dei coautori e complici, intrinseca consistenza e caratteristiche delle dichiarazioni, precisione, coerenza, costanza, spontaneità delle dichiarazioni: così Cass., sez. 2, 12 dicembre 2002 - 3 aprile 2003, procuratore generale in proc. Contrada, riv. n. 225565) e con motivazione ampia, accurata e priva di vizi logici, a fronte della quale le doglianze prospettate sono prive della specificità richiesta dall'art. 581, lett. c del codice di rito.
Altrettanto è a dirsi per le censure relative all'asserita inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali effettuate dall'autorità giudiziaria di Catania nel ed procedimento V. e acquisite agli atti del presente procedimento. Secondo la giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte, infatti, "con riferimento alle intercettazioni disposte in altro procedimento non si può prescindere dalla chiara disposizione dell'art. 270, comma 2, c.p.p., che richiede il deposito solo dei verbali e delle registrazioni (...) sicchè i decreti autorizzativi costituiscono atti del procedimento a quo (art. 238 c.p.p.), che vanno prodotti da chi vi abbia interesse, perchè il controllo sulla legalità del procedimento di ammissione dell'intercettazione è demandato all'iniziativa delle parti" (Cass., sez. unite, 17-23 novembre 2004, Esposito + 1) e detta produzione, a quanto consta, non è avvenuta nel caso di specie.
Quanto al terzo profilo, ritiene il collegio, pur nella consapevolezza delle perduranti oscillazioni giurisprudenziali, che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 273, comma 1 bis, e 192, commi 3 e 4, del codice di rito, l'emissione di misura cautelare fondata su chiamata in correità sia consentita solo in presenza di riscontri individualizzanti (ovviamente commisurati alla natura del procedimento de liberiate e, quindi, indicativi non di certezza, ma di qualificata probabilità di colpevolezza del soggetto sottoposto a misura), cioè riferiti a fatti che riguardano direttamente la persona dell'incolpato, in relazione allo specifico fatto che gli si addebita.
5. E' possibile, a questo punto, passare all'esame delle posizioni dei singoli ricorrenti.
Il ricorso del P. è fondato. I riscontri alla chiamata in correità operata nei suoi confronti dal B. consistono infatti esclusivamente, come si è detto, nella sua appartenenza al gruppo G. contrapposto a quello degli Z.. Si tratta, all'evidenza, di semplici riscontri "d'ambiente" privi del necessario carattere individualizzante (cfr., in questo senso, Cass., sez. 6, 28 marzo - 12 maggio 2003, Capuano, riv. n. 226278) insufficienti ai fini della emissione della misura cautelare.
Infondati sono, per contro, i ricorsi di C. e D. ..
Quanto al primo: g1) le dichiarazioni accusatorie del B., a differenza di quanto sostenuto in ricorso, integrano una vera e propria chiamata in correità (avendo il collaborante ammesso la propria responsabilità nella fase organizzativa dell'omicidio) e non sono integralmente de relato (comprendendo, a fianco di circostanze apprese da terzi, la ricostruzione di propri comportamenti, come le prove di funzionamento della carabina utilizzata per l'omicidio, effettuate insieme al C.); g2) il contenuto della conversazione intercettata in data 7 luglio 1998, nella quale l'imputato (secondo la ricostruzione dell'ordinanza, non viziata da manifesta illogicità e, dunque, non censurabile in questa sede) ammette di avere commesso, per conto di G. A. e nel periodo de quo, ben sette omicidi, costituisce all'evidenza un riscontro individualizzante della chiamata in correità; g3) il concreto pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie, e dunque l'esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. c del codice processuale, emerge dalla natura e dalle modalità del fatto nonchè dalla personalità del ricorrente, interpretate alla luce di consolidare massime di esperienza.
Altrettanto è a dirsi per D. B.: il carattere di riscontro individualizzante di una conversazione (come quella intercettata il 6 luglio 1998) nella quale l'interessato si dichiara autore dell'omicidio in questione non è, in astratto, contestabile; in concreto poi, la coincidenza tra il delitto evocato nella conversazione de qua e l'omicidio del C. costituisce questione di fatto non deducibile in sede di legittimità ove oggetto, come nel caso di specie, di motivazione non illogica.
6. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con riferimento a S. e con rinvio per nuova deliberazione quanto a P. mentre devono essere respinti, con seguito di spese, i ricorsi di C. e D. B..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nei confronti dello S. e dispone la trasmissione di copia degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria;
rigetta i ricorsi del C. e del D. B. che condanna in solido al pagamento delle spese processuali;
annulla l'ordinanza impugnata nei confronti del P. e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2005.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2005