Cass. pen. Sez. V, 19.01.1999, n. 714



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Nicola MARVULLI Presidente
1.Dott. Franco MARRONE Consigliere
2. " Francesco CALBI "
3. " Carlo COGNETTI "
4. " Sandro OCCHIONERO "

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da , nato a Rovagnate il 21.4.1955, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano in data 31.10.1997;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Cognetti;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gianfranco Ciani che ha concluso per il rigetto del ricorso;
osserva:

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23.1.1997, il Tribunale di Lecco dichiarava colpevole dei reati di minaccia, ingiuria e molestie in danno di e dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato di lesioni personali perché l'azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per mancanza di querela.
A seguito di appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco che chiedeva che l'imputato fosse condannato anche per il reato di lesioni sul presupposto che la querela esisteva, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza in data 31.10.1997, dato atto che la querela, presentata tempestivamente dalla parte offesa, sussisteva; ritenuta provata la responsabilità dell'imputato in ordine al contestato reato di lesioni sulla base delle dichiarazioni di un teste oculare che aveva visto il afferrare per due volte per il collo la , la quale, lasciata la presa, cadeva a terra faticando a respirare; in riforma dell'impugnata decisione dichiarava il colpevole anche del reato di cui all'art. 582 c.p. e, ritenuta la continuazione con i reati di minaccia, ingiuria e molestia, rideterminava la pena, calcolando la pena base sul reato di lesioni ritenuto più grave, in mesi quattro e giorni quindici di reclusione.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il , il quale deduce erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto applicabile l'art. 582 c.p., anziché l'art. 581 c.p., non risultando in atti che sia stato accettato da parte di persona in possesso di cognizioni mediche uno stato di malattia nella parte offesa.

Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento.
Il delitto di cui all'art. 581 c.p. è configurabile allorquando la violenza produce al soggetto passivo soltanto una sensazione fisica di dolore, senza postumi di alcun genere, mentre il delitto di cui all'art. 582 c.p., che può essere commesso con qualsiasi mezzo, sussiste quando il soggetto attivo cagioni al soggetto passivo una lesione dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente. Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non costituiscono malattia e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità (cfr. Cass. Sez. IV, 9.12.1996, Viola, RIV 207339).
Nel caso di specie, emerge dal testo della sentenza impugnata, che riporta le dichiarazioni del teste oculare , che la parte offesa, una volta che l'imputato lasciò la presa al collo, dette segni di svenimento, nel senso che cadde a terra facendo fatica a respirare per tre o quattro minuti. Dalla descritta stretta al collo é perciò indubbiamente derivato al soggetto passivo un'alterazione della funzionalità respiratoria, tra l'altro puntualmente descritta dal teste, che ben può ritenersi fatto morboso integrante l'elemento oggettivo del reato di lesioni. Stato morboso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, non necessita di particolari riscontri medici, essendo sufficiente la comune esperienza per ritenere che una forte e prolungata stretta al collo, anche in assenza di visibili lesioni anatomiche sulla pelle, determina difficoltà respiratorie; e nel caso in esame l'alterazione della funzionalità respiratoria neppure può ritenersi essere stata di scarso rilievo, considerato che la parte offesa è caduta a terra semisvenuta.
L'impugnata sentenza ha perciò correttamente dimostrato, sulla base delle risultanze processuali acquisite, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 582 c.p., di talché il ricorso, in quanto infondato, deve essere respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Camera di Consiglio il 15.10.1998.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19 GEN. 1999.