Cass. civ. Sez. III, 13.09.1996, n. 8263



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

Svolgimento del processo

A seguito di declinatoria d'incompetenza per territorio del Tribunale di Chiavari, con distinti atti di citazione notificati il 2 ed il 4 aprile 1981 R. C. conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Genova il Ministero della Pubblica Istruzione ed A. A. in R., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni. Esponeva a sostegno che il 20 novembre 1970, quando frequentava la terza classe elementare presso la scuola M.di Rapallo, nel corso delle lezioni tenute dall'insegnante A. lo scolaro G. M. aveva scagliato contro di lei un oggetto colpendola all'occhio sinistro con conseguenti lesioni.
In contumacia della convenuta A., si costituiva l'Amministrazione della pubblica istruzione, contestando la domanda ed instando, per esserne manlevata, per la chiamata in causa di G. M. quale autore del fatto lesivo nonchè del padre dello stesso G. O. quale esercente, all'epoca, la potestà genitoriale. Anche i chiamati in causa, nel costituirsi, contestavano la domanda attrice e quella di manleva dell'Amministrazione. In esito all'istruzione, il tribunale adito condannava le parti convenute al pagamento in solido in favore dell'attrice della somma di L. 4.176.614, oltre rivalutazione ed interessi, e rigettava le domande risarcitorie e di garanzia dell'Amministrazione nei confronti dei G. .
A seguito di autonomi appelli dell'Amministrazione e dell'A. , con l'impugnata sentenza la Corte di merito, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiarava responsabili del fatto dannoso anche G. O. e G. M., condannandoli in solido al pagamento delle somme precedentemente liquidate in primo grado in favore dell'attrice nonchè dell'ulteriore somma di L. 1.000.000 a titolo di danni morali.
Hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre censure, G. O. e G. M.; resistono con controricorsi l'Amministrazione della pubblica istruzione, che ha anche presentato ricorso incidentale, e R. C., la quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso dei G. e, con successiva memoria, la nullità del predetto nonchè del ricorso incidentale dell'Amministrazione della pubblica istruzione.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente provvedersi alla riunione dei ricorsi principale ed incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni separamente proposte avverso la medesima sentenza.
Anzitutto si pone l'esame delle due eccezioni di rito avanzate dalla resistente R..
Con la prima eccezione la R. deduce l'inammissibilità del ricorso proposto dai G. avverso la sentenza notificata in data 21.9.1993, in quanto proposto con atto notificato in data 2.12.1993, ossia oltre il termine di sessanta giorni di cui all'art. 325 c.p.c.
L'eccezione è infondata, avendo i ricorrenti usufruito della sospensione dei termini "di prescrizione o di decadenza da qualsiasi diritto" (cfr. art. 6) dal 23 settembre al 23 novembre 1993, disposta, a favore delle zone dell'Italia nord-occidentale colpite da fenomeni alluvionali, con d.l. 7.10.1993 n.401, i cui effetti sono stati fatti salvi con l. 25.7.1994 n.471.
Con la seconda eccezione la resistente, premesso che l'impugnata sentenza è stata pubblicata in data 27 agosto 1993, deduce nullità della notifica del ricorso principale proposto dai G. e del ricorso incidentale proposto dall'Avvocatura dello Stato per l'Amministrazione della pubblica istruzione nei confronti di A. R. A., deceduta in data 28.7.1993 anteriormente alla notificazione della sentenza, per essere stata fatta agli eredi impersonalmente, anziché alla stessa presso il suo procuratore costituito nel giudizio di appello.
Anche tale censura è infondata. Questa Corte in un precedente caso (cfr. Cass. 9.7.1992 n.8347) ha già affermato il principio, desunto da una serie di sentenze ivi richiamate (fra le altre, cfr. Cass. S.U. nn. 1228, 1229 e 1230 del 21.2.1984), che l'ultrattività della procura ad litem opera soltanto se l'evento della morte cade nella fase tra la costituzione in giudizio e la chiusura dell'udienza di discussione, nel senso che non si verifica l'estinzione di essa quale effetto automatico della morte della parte. Esaurita tale fase attiva del primo o del secondo grado del giudizio di merito, nella quale l'interruzione costituisce una fattispecie complessa il cui realizzarsi è impedito dalla mancata dichiarazione dell'evento da parte del procuratore, riprende vigore il principio per cui occorre tener conto della concreta situazione soggettiva di ciascuna delle parti (cfr. Cass. 25.6.1990 n.6404), essendo funzionale al sistema che l'impugnazione, in ipotesi di morte di taluna delle parti, possa svolgersi contro o per iniziativa dei soggetti reali del processo.
In detto quadro, il secondo comma dell'art. 330 c.p.c., per il quale l'impugnazione può essere notificata agli eredi della parte deceduta dopo la notificazione della sentenza presso il procuratore costituito per la parte stessa nel progresso giudizio, non esprime una manifestazione di ultrattività della procura, bensì identifica soltanto uno dei luoghi in cui la notificazione dell'impugnazione è eseguibile (cfr. Cass. n. 30 del 1974). La possibilità, letteralmente riferita nel predetto secondo comma all'ipotesi della "parte defunta dopo la notificazione della sentenza", è stata già ritenuta da questa Corte estensibile al caso in cui, come nella specie, la parte sia deceduta prima (cfr. Cass. 9.7.1992 n.8347). Va, infine, avvertito che nel caso in esame, risultando la conoscenza della sentenza collegata alla sua notificazione, non rileva la data di pubblicazione della stessa, essendosi questa esaurita nella formalità interna del deposito in cancelleria e della relativa attestazione al fine di rendere giuridicamente esistente la decisione.
Deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c,, i ricorrenti principali assumono con il primo motivo che la corte di merito, rielaborando le dichiarazioni del teste Sabba ed integrandole con la relazione dell'episodio fatta dall'insegnante A. , avrebbe operato una ricostruzione della vicenda non sorretta da validi elementi ed estranea agli atti di causa. Con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c., gli stessi deducono con il secondo motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le modalità dell'evento, assumendo che queste avrebbero dovuto portare ad escludere ogni addebitabilità del fatto a G. M..
Le censure, congiuntamente esaminate in quanto interdipendenti e concernenti lo stesso tema, sono prive di fondamento. La conferma dell'affermazione di responsabilità risulta congruamente motivata dalla corte di merito, con giudizio immune da errori giuridici e da vizi logici, per attenta verifica delle deposizioni testimoniali e degli altri elementi probatori convergenti a giustificare il convincimento che la R. venne colpita da una penna a sfera lanciatale contro da G. M., minore capace d'intendere e di volere. Per il resto, l'illustrazione delle censure si espande alla riconsiderazione di circostanze e questioni non consentite nella presente sede di legittimità, atteso il coerente accertamento operato dal competente giudice del merito.
Deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2048 c.c., in relazione all'art. 360 n.3 c.p.p., i ricorrenti principali assumono con il terzo motivo che la disposizione di cui all'art. 2048 c.c.: a) esonera il figlio minore da responsabilità, mentre nella specie è stato condannato; b) al secondo comma trasferisce la responsabilità per il danno cagionato dagli allievi dai genitori al precettori nel tempo in cui, come nella specie, sono affidati alla vigilanza di questi ultimi; c) non è ipotizzabile un concorso tra il fatto omissivo dell'insegnante ed il fatto commissivo dell'allievo, onde i giudici hanno errato nel non graduare le responsabilità.
Anche tale censura è priva di fondamento, in quanto: a) per affermata giurisprudenza di questa Corte, per lo stesso fatto sussiste la responsabilità solidale del minore capace nel senso anzidetto e quella dei genitori, essendo la prima, per fatto proprio, fondata sulla disposizione di cui all'art. 2043 c.c. e la seconda su quella di cui all'art. 2048 c.c.; b) il vincolo di solidarietà sussiste anche tra la responsabilità dei genitori, da un lato, e quella dei precettori , dall'altro, poiché la responsabilità del precettore per culpa in vigilando non esclude la concorrente colpa del genitore per culpa in educando allorquando come nella specie, con motivato e coerente giudizio in punto di fatto non sindacabile nella presente sede, sia stata accertata un'inadeguata educazione del minore alla vita di relazione ( cfr. Cass. n. 1056 dei 1973; Cass. n.516 del 1980 e successive); c) la solidarietà fra responsabili ex art. 2048 c.c. e minori capaci autori di fatti illeciti è un principio costantemente affermato in giurisprudenza (essendo l'evento dannoso conseguenza tanto dell'azione del minore che ha materialmente commesso il fatto, quanto dell'omissione del precettore che aveva il dovere di impedire quel fatto e non l'ha impedito) e non è ammissibile una suddivisione di responsabilità valevole in sede di regresso se non quando sia dimostrato dal figlio uno specifico concorso valutabile ex art. 2055 c.c., il che non risulta nel caso in esame avvenuto.
La ricorrente incidentale deduce: in primo luogo, violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 nn.3 e 5 c.p.c., lamentando travisamento del fatto nonchè omessa considerazione dell'esclusione della responsabilità dell'insegnante per il danno subito dall'allievo nel caso in cui l'insegnate fosse assente, come nella specie, al fine di adempiere ad un altro dovere; in subordine, lamenta che gli interessi legali siano stati cumulati con gli interessi in difformità del principio affermato da questa Corte (con la sent. S.U. n.5299 del 1989).
Le prima censura è priva di fondamento. La conferma dell'affermazione di responsabilità dell'insegnante risulta adeguatamente motivata dalla corte di merito, per attenta e coerente verifica degli elementi probatori posti a base della decisione di primo grado, fra i quali la considerazione che, in violazione dell'art. 350 R.D. 26.4.1928 n.1297, l'insegnante, dopo aver preso in consegna l'intera classe, non fu costretta ad allontanarsi per adempiere ad altro dovere, bensì permise che alunni entrassero nell'aula, mentre lei rimaneva nel corridoio, così consentendo l'accaduto nell'aula priva di sorveglianza.
La seconda censura - volta a sentir affermare la non cumulabilità della rivalutazione monetaria della somma risarcitoria e degli interessi legali sulla somma rivalutata - si profila inammissibile. Con la sentenza resa in primo grado l'Amministrazione della pubblica istruzione venne, infatti, condannata al pagamento della somma risarcitoria "oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici I.S.T.A.T. ...ed agli interessi legali sulla somma rivalutata dal 20.11.70" (dì della inferta lesione). Non essendo stato, sul punto, proposto specifico motivo di appello, non può la questione della cumulabilità costituire, per la prima volta, materia di impugnazione davanti a questa Corte.
Per le ragioni esposte, i ricorsi principale ed incidentale non possono che essere rigettati. Giusti motivi inducono a dichiarare compensate le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta; spese compensate.