Cass. civ. Sez. III, 19.11.1990, n. 11163



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati
Dott. Aldo SCHERMI ff. Presidente
" Gioacchino DE ROSA Rel. Consigliere
" Angelo GIULIANO "
" Ugo DE ALOYSIO "
" Gaetano FIDUCCIA "

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
M. A. - C.u A.a e M. S. - dom.ti in Cagliari
- eltt. dom.ti in Roma, Via Monte Santo n. e preso l'Avv. Bruno Porcu Poren che li rappresenta e difende unitamente all'avv. Elio De Monti per delega a margine del ricorso
Ricorrenti
Contro

P. P. - residente in Domusnovas - elett. dom. in Roma, V.le Carso n. 77 presso l'avv. Edoardo Pontecorvo, rappresentato e difeso dall'avv. Gian Franco Anedda per delega a margine del controricorso
Controricorrente
Visto il ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari del 7.12.84-11.1.1985 (R.G. 4-84);
Udito il Cons. Rel. Dr. G. De Rosa nella pubblica udienza del 3.4.1989;
Sentito il P.M., in persona del Sost. proc. gen., Dr. R. Golia che ha concluso per il rigetto del ricorso

Svolgimento del processo

S. P., nella qualità di genitore esercente la patria potestà sul figlio minore P., convenne davanti al tribunale di Cagliari A. M. e A. C., genitore esercenti la patria potestà sul figlio minore S., e, premesso che quest'ultimo il 7 dicembre 1970 aveva colpito con un sasso all'occhio destro il proprio figlio cagionandogli una ferita perforante del bulbo con prolasso della membrana e perdita del visus, ne chiese la condanna al risarcimento dei danni nella misura non inferiore alla somma di L. 10.000.000.
Costituitisi i convenuti, che contestarono la loro responsabilità, ed istruita la causa, il tribunale, con sentenza dep. il 30 marzo 1983, rigettò la domanda.
La Corte d'Appello, con la sentenza ora in esame, ha accolto l'impugnazione proposta dal solo P. P., divenuto maggiorenne, ed ha condannato gli appellati, in solido, al pagamento, in favore dell'appellante, della somma si L. 50.000.000 oltre le spese di entrambi i gradi.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso A. e S. M., nonché A. C., formulando due motivi di annullamento illustrati da memoria.
Resiste con controricorso P. P..

Motivi della decisione

Con il primo motivi i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, criticando la ritenuta capacità di intendere e di volere del minore S. M., affermata dalla corte di merito con motivazione inadeguata e contraddittoria.
La censura è infondata.
Come già altre volte affermato da questa Corte (v. per tutte, sent. 2425-75) in tema di imputabilità del fatto dannoso opera, nel campo civile, un sistema diverso ed autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l'imputabilità nel campo penale, laddove è la stessa legge che fissa le cause che la escludono, mentre, a norma dell'art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso, se, in relazione all'età, allo sviluppo fisico-psichico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere.
Il relativo accertamento, se adeguatamente e logicamente motivato, non è sindacabile in sede di controllo di legittimità.
Nella specie, i giudice della Corte di merito hanno congruamente motivato il loro giudizio, senza incorrere in vizi logico-giuridici.
Essi, infatti, richiamati tali principi, hanno ritenuto che il piccolo M., benché seienne all'epoca dei fatti, avesse la capacità di comprendere la pericolosità del gesto che compiva, ed avesse la volontà di arrecare danno al coetaneo, ciò desumendo, oltre che dal suo normale sviluppo fisico-psichico (confermato anche dal suo buon inserimento nella vita scolastica), dalle modalità del fatto, emerse dalle deposizioni dei testi escussi, e dalla determinazione dimostrata nel lancio consecutivo dei tre sassi contro il coetaneo.
Con il secondo motivo, i medesimi ricorrenti, denunziano violazione e falsa applicazione dell'art. 2048 c.c., nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata, criticano l'affermazione della loro responsabilità in base alla presunzione di cui alla norma citata.
Anche tale doglianza non può essere accolta. I giudici della Corte territoriale, infatti, correttamente applicando i principi costantemente affermati da questo S.C., hanno ritenuto che i genitori sono responsabili a norma dell'art. 2048 c.c., non solo quali sorveglianti, ma anche come educatori, sicché ai fini della prova liberatoria concessa dal terzo comma della stessa norma, non è sufficiente la dimostrazione della esercitata sorveglianza materiale sul minore o della impossibilità di esercitarla, ma occorre anche la prova di avergli impartito una sana ed adeguata educazione.
Ciò posto, i giudice anzidetti hanno escluso che tale prova fosse stata fornita dai genitori del piccolo M., osservando, fra l'altro, che le modalità del fatto, già evidenziate, rilevano, per converso, l'inadeguatezza dell'educazione impartitagli.
Tale motivazione risulta adeguata e priva di vizi logici o di errori di diritto, sicché la decisione di merito non può essere censurata da questa Corte di legittimità.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio in L. 24.800 ed al rimborso degli oneri di avvocato, liquidati in L. 1.200.000 (unmilioneduecentomila).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III° sez. civ. della Corte di cassazione il 3 aprile 1989.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19 NOVEMBRE 1990