Cipriani Gaia, Il fenomeno del bullismo



IL FENOMENO DEL BULLISMO: QUALE RESPONSABILITA' PER I GENITORI E GLI INSEGNANTI?

IL FENOMENO DEL BULLISMO: QUALE RESPONSABILITA' PER I GENITORI E GLI INSEGNANTI?

Cipriani Gaia

L. 11-07-1980, n. 312
c.c. art. 2043
c.c. art. 2048
c.c. art. 2049

FONTE
Famiglia e Diritto, 2009, 1, 74
Responsabilità civile dei genitori

L'A. si interroga sul fenomeno del cd. bullismo, con particolare riferimento agli atti violenti e dannosi posti in essere tra soggetti minorenni: dopo una prima definizione del crescente fenomeno viene specificamente esaminata la responsabilità civile dei genitori, nell'evenienza concorrente con quella degli educatori, verso i minori.
 

1. Il bullismo: nozione e delimitazione del fenomeno
Il c.d. bullismo è un fenomeno che, negli ultimi tempi, coinvolgendo in modo sempre crescente soggetti minorenni, sta riempiendo quotidianamente le pagine della cronaca e merita pertanto un approfondimento dal punto di vista strettamente giuridico, al fine di individuare gli strumenti di tutela per la vittima (1).
Il termine italiano "bullismo" è la traduzione letterale della parola inglese bullying, comunemente utilizzata nella letteratura internazionale per qualificare un atteggiamento di prepotenza tra pari in un contesto di gruppo. In sostanza si tratta di una manifestazione di prevaricazione da parte di un soggetto (bambino, ragazzo preadolescente, adolescente) nei confronti di un altro, più debole (per condizione fisica, sociale, psicologica e via dicendo) che, il più delle volte, si attua nell'ambito di rapporti tra soggetti appartenenti al medesimo contesto relazionale (come nel caso di compagni di scuola, all'interno di amicizie di quartiere o fra membri della stessa squadra sportiva) (2).
Il bullismo è un fenomeno multifattoriale, influenzato da modelli culturali, dal clima sociale, dalle peculiari caratteristiche dei soggetti coinvolti, nonché da modelli familiari, da stili educativi e dalle dinamiche di gruppo.
Il problema per il giurista che si trova ad affrontare questa tematica è principalmente quello di individuare quale sia la forma di tutela più efficace per il danneggiato, nonché i più opportuni strumenti di prevenzione finalizzati ad evitare il ripetersi per il futuro dell'atteggiamento lesivo manifestato dal ragazzo.
Va premesso che il fenomeno del bullismo assume connotazioni diverse a seconda che il comportamento dannoso sia posto in essere da un soggetto maggiorenne, pertanto pienamente responsabile civilmente e penalmente, oppure da un soggetto neo-adolescente ma comunque minore dei diciotto anni (3). In quest'ultimo caso, infatti, le implicazioni dell'atto dannoso dovranno coinvolgere necessariamente la famiglia, quale nucleo primario di formazione della personalità del minore.
Fra soggetti minorenni, il bullismo può attuarsi, come purtroppo emerge da ben noti fatti di cronaca, sia attraverso vere e proprie forme di aggressione personale, fisica e psichica (percosse, lesioni, violenze private, minacce), ovvero reale (furti, danneggiamenti), sia attraverso non meno gravi forme di prevaricazione e di prepotenza (es. scherzi pesanti, prese di giro) che, se isolatamente considerate, potrebbero ritenersi immeritevoli di rilievo giuridico ed addirittura valutate quali manifestazioni fisiologiche nei rapporti tra ragazzi. Tuttavia, qualora questi atteggiamenti vengano ripetuti costantemente e quotidianamente a danno di soggetti più deboli, possono causare nella vittima uno stato di profonda prostrazione e di forte turbamento psichico, certamente meritevoli di tutela.
Senza considerare che discutiamo di un fenomeno da sempre esistito nella società ma i cui effetti dannosi oggi, attraverso l'impiego distorto di mezzi elettronici e telematici, vengono spesso ampliati dalla captazione attraverso i cellulari e dalla diffusione via internet delle immagini del comportamento lesivo, tanto che si è persino parlato di "cyberbullismo" (4).
Va altresì precisato che l'atto di bullismo il più delle volte comporterà una violazione della legge penale (basti pensare ai reati sopra brevemente elencati), anche se, ad oggi, non esiste ancora una fattispecie penale ad hoc, la quale prenda in considerazione il fenomeno nella sua peculiarità. Di conseguenza si aprirà il relativo procedimento contro l'autore del reato, avviato direttamente dall'autorità giudiziaria ovvero tramite atto formale di querela, secondo i principi generali procedurali. Ciò detto, resta da chiarire che non qualsiasi reato commesso da un adolescente denota di per sé un comportamento connotato da bullismo. Al contempo episodi che spesso vengono qualificati come atti di bullismo fanno trapelare invece una vera e propria microcriminalità insorgente nel minore, che andrà perseguita in modo più severo.
È importante pertanto non confondere ovvero omologare tipologie di comportamenti profondamente diverse tra loro, che necessitano di sanzioni differenziate e graduate. Per verificare se la condotta del minore possa ascriversi al fenomeno del bullismo o meno soccorrerà la disciplina del processo minorile, ordinato al principio di reinserimento del reo minorenne, le cui specifiche caratteristiche permetteranno l'adozione di misure interdittive e cautelari, nonché di strumenti tesi al recupero del minore deviato (5).
Dal punto di vista civilistico, in assenza di una precisa legislazione che disciplini i danni provocati da adolescenti nei confronti dei coetanei, posti in essere mediante condotte prevaricatrici e vessatorie, parte della letteratura giuridica ha tentato di ricondurre la fattispecie delle condotte c.d. bullistiche all'interno della più ampia figura del mobbing (6).
In comune bullismo e mobbing avrebbero la ripetizione nel tempo della condotta dannosa, le finalità emulative, e quindi l'elemento soggettivo del dolo, nonché la posizione di debolezza della vittima (7).
In realtà, a ben vedere, si tratta di fenomeni estremamente diversi, che meritano approcci e soluzioni giuridiche differenziate. Innanzitutto il referente normativo del mobbing, l'art. 2087 c.c., riguarda esclusivamente il datore di lavoro e le misure che questo deve adottare a tutela della personalità morale del prestatore di lavoro, e non sembra pertanto estensibile alle ipotesi di bullismo tra adolescenti, come sopra descritte.
Inoltre è possibile ritenere che possa configurarsi quale atto di bullismo anche un solo episodio idoneo a cagionare un danno psicofisico ovvero esistenziale alla vittima, connotato quindi da una certa gravità, mentre il fenomeno del mobbing appare caratterizzato da un minimo di reiterazione nel tempo del comportamento lesivo (8).
Sembra perciò preferibile tenere distinti i due fenomeni e riferirsi ai principi generali in tema di responsabilità aquiliana.

2. Principi generali in tema di comportamenti dannosi del soggetto minore d'età
Se guardiamo al profilo strettamente civilistico del fenomeno è ovvio che la produzione volontaria, anche non intenzionale (e quindi meramente colposa), di un danno ingiusto, comporterà la responsabilità civile extracontrattuale del danneggiante, ai sensi e per gli effetti della clausola generale di responsabilità contenuta nell'art. 2043 c.c.
È noto come in materia di responsabilità extracontrattuale non rilevi la capacità d'agire che presuppone (salvo l'ipotesi particolare dell'emancipazione) la maggiore età, in quanto ai sensi di legge è considerato imputabile per il fatto dannoso cagionato chiunque sia capace d'intendere o di volere (art. 2046 c.c.).
Pertanto il minore che ponga in essere un atto illecito dannoso risponderà personalmente ai sensi dell'art. 2043 c.c., e starà in giudizio nella persona del proprio rappresentante legale (si parla dei c.d. grands mineurs), tranne per l'ipotesi in cui il minore sia un incapace naturale, nel qual caso si applicherà il diverso art. 2047 c.c., secondo cui risponderà solo il sorvegliante dell'incapace (che ben potrà coincidere, anche se non necessariamente, con il genitore o con il precettore), salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto (9).
Del comportamento illecito del figlio minorenne, capace di intendere e di volere, potranno essere chiamati a rispondere anche i genitori, ai sensi dell'art. 2048 c.c., nell'evenienza con responsabilità concorrente con quella dei precettori, i quali rispondono dell'illecito commesso dagli allievi limitatamente al periodo in cui essi si trovano sotto la loro vigilanza (comma 2, art. 2048 c.c.).
Si tratta di una responsabilità eventuale e solidale con quella dei minori, seppur autonoma in quanto tradizionalmente fondata sulla colpa in educando con riferimento ai genitori (10), e sulla colpa in vigilando la per quella dei precettori (11).
Si noti che la nozione di precettore è intesa dalla giurisprudenza in senso lato. In particolare sono identificati quali precettori gli insegnanti di scuole pubbliche e private (12), gli allenatori sportivi (13), gli assistenti in attività extrascolastiche o ludiche (14), ed in genere ogni adulto che svolga funzioni di vigilanza collegate all'insegnamento. È però esclusa tale qualifica in capo al preside ovvero al direttore didattico dell'istituto, per la loro attività meramente amministrativa (15), mentre si dubita della applicabilità di tale funzione al personale ATA (16).
Nel caso in cui l'illecito sia invece commesso dal minore nell'esercizio della sua attività lavorativa (ad esempio di apprendistato), potrebbe essere accertata la responsabilità esclusiva, ex art. 2049 c.c., del datore di lavoro. Tale responsabilità, "essendo fondata sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di subordinazione fra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro, e sul collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto dalla colpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro, è quindi insensibile all'eventuale dimostrazione dell'assenza di colpa dello stesso", potendo pertanto ricorrere anche in presenza di dolo del commesso (17).
Di fronte ad atti di bullismo, posti in essere da minorenni, è pertanto possibile applicare le norme sopra richiamate. Inoltre andrà considerata la possibilità per la vittima di richiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., posto che "le conseguenze per la vittima di certi atti, specie se consumati in contesti scolastici caratterizzati da minori in età adolescenziale, sono la tendenza a chiudersi in atteggiamenti ansiosi e insicuri e il calo progressivo del senso di autostima suscettibile di produrre un'immagine negativa di sé in quanto persona di poco valore e inetta" (18).
In particolare, di fronte ad atti illeciti posti in essere da minore d'età, soccorre l'apparato di cui all'art. 2048 c.c., la cui portata applicativa è stata nel corso degli anni delimitata dalla giurisprudenza, posto che il dettato generico della norma ha rivelato lacune, nonché difficoltà interpretative - anche circa il suo rapporto con la clausola generale di responsabilità ex art. 2043 c.c. - tant'è che larga parte della dottrina è convinta della necessità di riformulare la norma, soprattutto per quel che concerne il primo comma relativo alla responsabilità dei genitori (19). Senza considerare che la stessa terminologia nell'articolo appare superata in riferimento ai "maestri d'arte" (figure di scarso rilievo pratico) nonché all'istituto dell'affiliazione (abrogato dalla l. n. 184/1983) (20).
Dal punto di vista sistematico, la disposizione di cui all'art. 2048 è stata ricondotta, in un primo momento, nell'ambito della responsabilità oggettiva, assieme all'art. 2049 c.c. che, come accennato, disciplina la responsabilità dei padroni e committenti per fatto illecito del dipendente o dell'ausiliario, - senza possibilità di prova liberatoria connessa alla mancanza di colpa - per poi essere successivamente inquadrata nell'ambito della colpa presunta, fondante un regime di responsabilità "quasi oggettiva", che appare sostanziarsi in una inversione dell'onere probatorio, ovvero nell'aggravamento dello stesso (21).
Anche la giurisprudenza sembra ormai propendere per una responsabilità diretta dei genitori per fatto illecito dei figli minori imputabili (22), superando così il tradizionale orientamento volto a ricondurre tale ipotesi nell'ambito della responsabilità per fatto altrui e quindi indiretta (23).
La prima conseguenza di siffatto orientamento è che la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto viene trasformata da prova negativa nella prova positiva non solo di aver sorvegliato adeguatamente, ma soprattutto di aver ben educato il minore, impartendogli un'educazione ed istruzione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, vigilando altresì sulla sua condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini, all'età e al carattere del soggetto, rivolta a correggere comportamenti non corretti e, quindi, a prevenire un suo comportamento illecito (24).
Si tratta perciò di una responsabilità presunta, sia pure iuris tantum (in deroga alla generale previsione di cui all'art. 2043 c.c.), fino a quando non sia stata offerta la positiva dimostrazione, da parte dei genitori, del rispetto dei precetti posti dall'art. 147 c.c., focalizzata, fra l'altro, sul rilievo più volte esplicitato in giurisprudenza, che l'inefficacia dell'educazione impartita al figlio minore sia legittimamente desumibile (anche solo) dalla specifica condotta causativa del danno (25). Addirittura si è arrivati a sostenere in alcuni casi l'inutilità dell'assunzione della prova testimoniale richiesta in giudizio dai genitori, quando le circostanze dell'illecito rivelano di per sé una carenza di educazione (26).
A ben vedere la norma, così interpretata, più che invocare una valutazione della condotta dei genitori secondo un astratto modello di riferimento, appare rispondere all'esigenza di individuare nei genitori, proprio in virtù della loro particolare veste e condizione, quei soggetti tenuti a garantire i terzi esposti al rischio di illecito commesso dai minori (27). In tal modo la prova richiesta ai genitori non assume alcun riferimento diretto alla concreta possibilità di impedire il fatto illecito, ma si estende alla valutazione dell'intero sistema educativo da questi posto in essere (28).
Garanzia ex lege, dunque, ricondotta all'esercizio della potestà, che comporta la salvaguardia e la cura della persona del minore, anche nell'interesse dei terzi, e che sembra venir meno solo qualora il minore non coabiti più con i genitori.

3. La responsabilità civile dei genitori
Il sorgere della responsabilità genitoriale ex art. 2048 c.c. appare connesso, non solo alla semplice commissione di un fatto illecito da parte del figlio, ma ad una condotta (attiva o, più frequentemente, omissiva) ascrivibile al genitore. Quest'ultimo ha infatti l'obbligo di sorvegliare i figli minori, per impedire loro di nuocere a se stessi e ad altri, e di impartire a costoro, come sopra accennato, l'educazione e l'istruzione adeguate e conformi alle condizioni sociali e familiari, tenuto conto della personalità del figlio (artt. 147 e 315 c.c. e artt. 30, 31 Cost.).
La norma in esame prescrive una rigorosa presunzione di responsabilità, che potrà essere vinta solo mediante la prova, a carico dei genitori, di "non aver potuto impedire il fatto" (comma 3, art. 2048 c.c.) (29). Tale meccanismo presuntivo si giustifica alla luce della più efficace tutela risarcitoria che viene così offerta al danneggiato, posto che solitamente i minori non dispongono di un proprio patrimonio e il danneggiato rischierebbe altrimenti di non vedersi compensato delle conseguenze dell'illecito (30).
Una recente pronuncia della Suprema Corte, ha chiarito e meglio definito i presupposti in presenza dei quali sussiste la responsabilità genitoriale nell'ipotesi di danno cagionato dai figli minori. In questa sentenza si precisa che, ai sensi dell'art. 2048 c.c., i genitori sono responsabili dei danni cagionati non solo dai figli minori che abitano con essi, per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente sorveglianza, ma anche dai minori che si siano allontanati dalla casa genitoriale, per quanto riguarda gli "illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell'attività educativa che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare" (31).
Nella specie la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto che il temporaneo allontanamento di un minore sedicenne, trasferitosi per motivi di lavoro, dalla casa dei genitori, non esima questi ultimi da responsabilità per l'illecito comportamento del figlio consistente nella inosservanza delle norme sulla circolazione stradale, con conseguente scontro con un motociclo, condotto da un altro minorenne. In particolare, il Supremo Collegio precisa che la negligenza, l'indisciplina e l'irresponsabilità nella condotta di guida, in termini tali da mettere a rischio i beni o l'incolumità altrui, costituiscono indubbie manifestazioni di tal genere di comportamenti illeciti del minore, riconducibili senz'altro a oggettive carenze educative.
In altre parole, per il genitore che voglia sottrarsi alla responsabilità risarcitoria non è sufficiente dimostrare di non aver potuto materialmente impedire la commissione dell'illecito, sarà invece necessario che egli dimostri di aver impartito al figlio una corretta ed adeguata educazione, in modo tale prevenirne l'attività lesiva (32).
Ma così statuendo la Corte appare porre un limite invalicabile alla eventuale "irresponsabilità" dei genitori, posto che la produzione del fatto illecito sembrerebbe di per sé comportare la prova della inadeguata o comunque insufficiente educazione.
Fino ad arrivare alle estreme conseguenze secondo cui "l'eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere questi ultimi da responsabilità ove l'illecito comportamento del figlio sia riconducibile non all'omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui, ma ad oggettive carenze educative" (33). Intendendo la convivenza con il minore, non come mera coabitazione tra l'adulto ed il ragazzo, ma come consuetudine di vita in comune e condivisione di un sistema di valori, non interrotta dall'allontanamento del minore (anche per un tempo prolungato) dalla casa dei genitori.
Se guardiamo ai precedenti di merito in materia possiamo osservare un progressivo aggravamento di responsabilità a carico dei genitori. In un caso analogo a quello appena commentato, antecedente alla riforma del diritto di famiglia, il fatto dannoso era stato commesso da un minore ormai prossimo alla maggiore età (che all'epoca era collegato al raggiungimento dei ventuno anni) alla guida di un autoveicolo (34). Nella pronuncia il Tribunale chiarisce che i genitori, per impedire il fatto, avrebbero dovuto impedire al figlio (in possesso di regolare patente di guida) l'utilizzo del mezzo. Per il giudice occorre invece tener conto dei mutamenti intervenuti con riguardo ai poteri-doveri dei genitori, dell'età del minore, e della circostanza che "gli incidenti stradali possono capitare a chiunque", escludendo di conseguenza, nel caso di specie, la responsabilità dei genitori, sulla base della considerazione che il fatto era stato compiuto nell'ambito della sfera di autonomia normalmente concessa al minore.
In altri casi i genitori sono stati considerati esenti da responsabilità tramite l'esperimento di una prova generica attestante la sufficienza dell'educazione impartita al minore e della vigilanza sugli atti da lui compiuti (35). In una controversia addirittura tale prova viene considerata superflua dal momento che "non sussiste alcuna responsabilità dei genitori per l'illecito del figlio minore, nel caso in cui le circostanze con le quali si è verificato il fatto" (nella specie l'incidente era avvenuto durante un gioco, svoltosi sotto il controllo della maestra), "non facciano evincere una inadeguatezza nell'educazione impartita" (36).
Un'attenta analisi della casistica in materia ha rivelato invece la progressiva (ed oggi netta) propensione dei giudici ad affermare la responsabilità dei genitori ex art. 2048 cod. civ. In particolare sembra essersi creato una sorta di circolo vizioso in merito all'interpretazione della prova liberatoria (37): se i genitori riescono a provare di non aver potuto impedire la materiale commissione del fatto illecito, a causa di un'assenza giustificata, si afferma che per l'esclusione della responsabilità è necessaria l'ulteriore prova di aver fornito un'adeguata educazione al minore; e nel caso in cui si riesca a fornire tale prova, si conclude che l'indole particolarmente irrequieta del minore avrebbe imposto un maggiore rigore da parte dei genitori, come dimostrato dalla commissione stessa del fatto.
Il diverso e più rigoroso orientamento affermatosi da ultimo, appare improntato al tentativo di ovviare in tal modo al dilagante fenomeno del bullismo, tramite una "indiretta" punizione del ragazzo, ancora minorenne, che si suppone verrà in qualche modo "sanzionato" dal genitore stesso condannato a pagare le conseguenze dell'illecito, ovvero ad una punizione diretta del genitore colpevole di un comportamento eccessivamente tollerante davanti ad un bambino ritenuto semplicemente troppo vivace, in considerazione del fatto che la smisurata indulgenza e l'appagamento di ogni capriccio appaiono all'origine dell'irresponsabilità di molti giovani.
Nonostante ciò è indubbio che il problema culturale e sociale non possa risolversi semplicemente percorrendo la via del risarcimento del danno. Basti pensare che, seguendo l'indirizzo sopra riportato, i genitori si troveranno ad essere sempre responsabili delle conseguenze dannose delle violazioni al codice della strada commesse dal figlio minorenne abilitato alla guida di ciclomotori (e dunque nell'utilizzo del tutto legittimo del mezzo), apparendo come, per il solo fatto di aver concorso a cagionare un sinistro stradale, il minore non abbia ricevuto un'adeguata educazione. Ed analogo ragionamento potrebbe essere svolto con riferimento all'illecito cagionato durante una competizione sportiva ovvero in occasione di una qualunque altra attività ludica extrafamiliare.
Tramite questa soluzione si giunge inoltre ad introdurre nel nostro sistema della responsabilità aquiliana una nuova ipotesi di responsabilità oggettiva, peraltro di mera creazione giurisprudenziale, sulla scorta di quanto avvenuto in altri paesi europei (38), dove si è osservato che, così operando, "per alleviare le conseguenze di un incidente si impone a volte ad una famiglia una tragedia finanziaria assolutamente immeritata" (39).
A ciò è possibile aggiungere come questo passaggio da una responsabilità genitoriale fondata sulla colpa (seppure presunta) ad una responsabilità oggettiva comporterebbe una frattura nel sistema di responsabilità civile oggettiva, storicamente volta a disciplinare le conseguenze dannose di "attività" frutto di decisioni economiche, piuttosto che di singole azioni ovvero omissioni (40).
Inoltre, in applicazione del criterio di imputazione della colpa, la funzione di garanzia dei terzi esposti al rischio dell'illecito del minore dovrebbe essere mitigata con l'approssimarsi della maggiore età, in corrispondenza dell'attenuarsi dell'intensità del vincolo che lega i genitori ai figli, o meglio della riduzione della possibilità di controllo sui figli prossimi alla maggiore età da parte dei genitori (41). Ma simili riflessioni non sono presenti nella giurisprudenza dominante che, manifestando una netta tendenza ad assicurare la maggiore tutela al danneggiato (ponendo il costo dell'illecito a carico dei genitori, più solvibili rispetto all'autore del danno), non tiene conto che la sfera di libertà concessa al minore sarà verosimilmente maggiore tanto più questo si avvicini alla maggiore età.
Pertanto è legittimo domandarsi se con la ricostruzione di una responsabilità sganciata da colpa si corra il rischio di introdurre soluzioni troppo rigide, che non tengono conto delle peculiarità del caso concreto (42). In presenza di atti illeciti compiuti dal minore si dovrebbe forse tener conto - al pari di quanto avviene del processo penale minorile - del contesto culturale e della situazione concreta su cui si innesta la condotta dell'agente, della gravità del comportamento del danneggiante, dei pericoli di una ripetizione in futuro del medesimo comportamento lesivo, e di tutti quegli elementi utili a valutare se sia opportuno o meno censurare anche il genitore (43).

4. La responsabilità degli insegnanti. La responsabilità della p.a. per gli atti illeciti dello studente della scuola pubblica
L'amministrazione scolastica è direttamente responsabile, in virtù del collegamento organico con il personale dipendente, del danno cagionato da un minore nel tempo in cui è sottoposto alla vigilanza di detto personale.
E proprio la scuola, o meglio la classe, appare oggi il luogo privilegiato per lo sviluppo del fenomeno di cui stiamo parlando. Come è purtroppo noto, nell'ambiente scolastico il bullismo sta raggiungendo livelli preoccupanti di efferatezza senza uguali (si pensi ai recenti e gravissimi episodi di oltraggi e maltrattamenti a soggetti disabili, ai suicidi delle vittime accusate di essere omosessuali, alle violente manifestazioni contro i ragazzi extracomunitari che hanno portato a pericolosi gesti di autolesionismo). Pertanto è inevitabile domandarsi che ruolo giochi in questo contesto la scuola e quale sia la responsabilità degli insegnanti.
La responsabilità dell'amministrazione scolastica e degli insegnanti presenta due limiti: 1) il limite esterno è rappresentato dal periodo d'affidamento dell'alunno alla scuola. Questo decorre dal momento dell'ingresso e termina al momento dell'uscita da scuola, pertanto non viene limitato all'orario delle lezione, ma si estende anche al momento della ricreazione, alle gite scolastiche, alle ore di svago comunque trascorse all'interno dei locali della scuola (44); 2) il limite interno è invece costituito dalla impossibilità di impedire il fatto (45).
La prova liberatoria ha ad oggetto il dovere di vigilanza, che non assume carattere assoluto, ma viene considerato inversamente proporzionale rispetto all'età del minore, e pertanto tale dovere è interpretato in senso più rigoroso per gli insegnanti delle classi inferiori delle scuole elementari, mentre è più attenuato nelle scuole superiori (46).
Pertanto l'onere probatorio del danneggiato, in tale ipotesi, si esaurisce nella dimostrazione che il fatto si è verificato nel tempo in cui il minore è affidato alla scuola, essendo ciò sufficiente a rendere operante la presunzione di colpa per inosservanza dell'obbligo di sorveglianza; mentre spetta all'amministrazione scolastica la prova liberatoria dell'avvenuto esercizio della sorveglianza, non bastando la dimostrazione che l'insegnante non è stato in grado di spiegare un intervento correttivo o impeditivo, ma richiedendosi la dimostrazione che siano state adottate, in via preventiva, tutte le misure organizzative o disciplinari, idonee ad evitare la situazione di pericolo (47).
Un'ipotesi tipica di responsabilità dell'insegnante si ha quando il fatto si verifica mentre si è allontanato dalla classe. In tali casi il precettore dovrà riuscire a provare che l'attività svolta nel frattempo dagli studenti era tale da non comportare alcun pericolo per gli stessi, avuto riguardo all'età ed alla maturità dei componenti della classe affidatagli (48). In ogni caso la priva liberatoria è esclusa se l'insegnate si è allontanato senza giustificato motivo.
Il rigore della prova liberatoria appare invece attenuato allorquando il precettore dimostri di essere stato presente, ma di non aver potuto impedire il fatto per il suo carattere imprevedibile ed improvviso, oppure con modalità tali che qualunque altro precettore non avrebbe potuto ostacolare (49).
Qualora l'illecito avvenga presso un istituto scolastico statale, alla responsabilità dell'insegnante si affianca quella dello Stato (ai sensi dell'art. 28 Cost.). Come già accennato, accanto alla responsabilità diretta dei pubblici dipendenti, sussiste una responsabilità della pubblica amministrazione per gli atti illeciti commessi dagli stessi dipendenti, che ha natura diretta in virtù del cosiddetto rapporto organico cha assimila l'attività degli organi con quella dell'ente pubblico.
In seguito alla suddetta previsione costituzionale, ma prima dell'entrata in vigore della l. n. 312/1980 (50), la responsabilità civile e patrimoniale del personale insegnante delle scuole statali era regolata dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 3/1957 (51), ai sensi dei quali "l'impiegato che nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalla legge o dai regolamenti cagioni ad altri un danno ingiusto, è personalmente obbligato a risarcirlo" (art. 22, comma 1), con la precisazione che è da considerarsi danno ingiusto "quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave" (art. 23, comma 1).
La stessa norma da ultimo citata aggiunge che l'azione di risarcimento nei confronti dell'impiegato statale "può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione qualora in base alle norme e ai principi vigenti nell'ordinamento giuridico sussista anche la responsabilità dello Stato".
Secondo tali disposizioni gli impiegati statali, e fra questi il personale docente, non venivano quindi chiamati a rispondere civilmente verso i terzi nelle ipotesi di colpa lieve per tutte le attività inerenti al loro ufficio. Rispetto a queste ipotesi la giurisprudenza aveva però affermato la responsabilità diretta dello Stato, che poteva a sua volta promuovere l'azione di rivalsa sul dipendente ai sensi degli artt. 18 e 22 D.P.R. sopra citati. In base a queste norme limitative della responsabilità si deduceva che gli insegnanti statali fossero da considerarsi esonerati dalla responsabilità aggravata di cui all'art. 2048 c.c.
Con la successiva entrata in vigore della l. n. 312/1980, il legislatore ha perseguito l'obiettivo di limitare il regime di responsabilità diretta degli insegnanti. In particolare l'art. 61 apporta una rilevante modifica, sul piano processuale, del precedente regime, stabilendo che il Ministero della pubblica istruzione si surroga al personale scolastico nella responsabilità civile che eventualmente derivi da un'azione di risarcimento dei danni promossa contro detto personale, fatta salva la possibilità di rivalersi contro i dipendenti stessi, entro certi limiti ed in presenza di colpa grave o dolo nella vigilanza sugli alunni (52).
La disposizione si applica solo per gli insegnanti dipendenti di enti pubblici statali, e ciò ha fatto sorgere dubbi di costituzionalità della norma, per la disparità di trattamento rispetto agli insegnanti dipendenti di enti pubblici non statali oppure di istituti privati (53).
La Corte costituzionale, con sentenza n. 64 del 1992, ha risolto i contrasti nati in queste ipotesi circa la legittimazione passiva nel giudizio di risarcimento per danni, precisando che è consentito al legislatore ordinario limitare la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici in relazione all'elemento psicologico o anche escluderla in riferimento a determinate fattispecie, ed ha sottolineato che la responsabilità diretta dell'amministrazione scolastica è limitata ai soli casi d'omissione dei doveri di vigilanza da parte di quest'ultimi, mentre questi continuano a rispondere in via diretta nelle ipotesi diverse da quelle connesse alla culpa in vigilando (54).
Pertanto il quadro di responsabilità degli insegnanti delle scuole statali per il fatto illecito degli allievi ad essi affidati è composito, dovendosi distinguere le ipotesi di responsabilità per illeciti ascrivibili ad una culpa in vigilando da quegli illeciti commessi al di fuori di questo tipo di responsabilità.
Nel primo caso dobbiamo ulteriormente distinguere tra: a) i danni commessi per colpa lieve in vigilando degli insegnanti, dei quali dovrà rispondere solo la pubblica amministrazione, che non avrà alcuna azione di regresso nei confronti dell'insegnante; b) i danni commessi per colpa grave o con dolo dell'insegnante, dei quali risponderà la pubblica amministrazione, che avrà però azione di regresso nei confronti dell'insegnante colpevole.
Nel secondo caso, cioè al di fuori delle ipotesi di culpa in vigilando, per i danni commessi dall'insegnante con dolo o colpa grave risponderà quest'ultimo solidalmente con la pubblica amministrazione, la quale a sua volta avrà azione di regresso nei confronti dell'insegnante; viceversa, nei casi di colpa lieve risponderà solo la pubblica amministrazione, senza alcuna possibilità di regresso nei confronti dell'insegnante.
Particolarmente dibattuta è la possibilità per il danneggiato, che agisca nei confronti della pubblica amministrazione, di avvalersi della presunzione di cui al comma 2 dell'art. 2048 c.c. La giurisprudenza di legittimità in un primo momento ha ritenuto applicabile (in virtù del richiamato art. 61 l. n. 312/1980) il regime di cui all'art. 2043 c.c. e non quello, eccezionale, di cui all'art. 2048 c.c., il quale, al fine di garantire il danneggiato, finirebbe per operare a discapito dei soggetti tenuti alla sorveglianza (55). In questo modo l'attore, non potendo più giovarsi della presunzione di colpa, dovrebbe provare il dolo o la colpa grave dell'insegnante.
Tuttavia la giurisprudenza è poi tornata in seguito sul punto manifestando un diverso orientamento, secondo cui "il Ministero della pubblica istruzione è tenuto a risarcire il danno che si dimostri essere stato subito da terzo, ad opera di minore affidato a personale scolastico da esso dipendente, o dal minore stesso in conseguenza di atto da lui compiuto nel periodo di suo affidamento alla scuola, sempre che non dimostri l'impossibilità di impedire l'evento" (56), così ritenendo applicabile l'art. 2048 c.c. anche contro la stessa pubblica amministrazione.
Questa soluzione appare preferibile, considerando che la sostituzione della pubblica amministrazione all'insegnante nel giudizio risarcitorio non può mutare il fondamento della responsabilità che continua ad essere il comma 2 dell'art. 2048 c.c. Del resto una diversa conclusione non trova conforto neppure nel tenore letterale dell'art. 61 legge cit., il quale ha portata prevalentemente processuale (57). Pertanto anche nei confronti della pubblica amministrazione dovrà essere applicata la fattispecie normativa speciale di responsabilità prevista dall'art. 2048 c.c., con l'unica differenza, rispetto al regime antecedente al 1980, che la presunzione contemplata dalla norma andrà, come sopra detto, riferita esclusivamente al dolo o alla colpa grave (58).
Infine merita dedicare un cenno al problema degli atti di autolesionismo dell'alunno, in quanto la scuola, a norma della l. n. 312/1980, risponde anche dei danni causati dall'alunno a sé stesso: c.d. danno "allo" scolaro (59).
Questo è un fenomeno diverso dal bullismo che, come abbiamo visto, implica un comportamento dannoso rivolto verso cose o altre persone. In presenza di danni che l'alunno provochi a se stesso mentre si trovava sotto la vigilanza dell'insegnante, si è posto il problema dell'applicabilità dell'art. 2048 c.c.
Secondo un primo orientamento, l'art. 2048, comma 2, c.c., nel contemplare la responsabilità dei precettori, intende limitarla alla sola ipotesi del danno causato a terzi dal fatto illecito dei loro alunni, commesso nell'arco di tempo in cui essi sono sotto la loro sorveglianza. Questa posizione, esplicitata dalla giurisprudenza più risalente (60), ha trovato conforto in pronunce recenti che interpretano la norma in senso restrittivo, nel senso di non ritenere sussistente la responsabilità prevista dall'art. 2048 nel caso di danno che l'alunno abbia causato a se stesso (61).
Un diverso filone giurisprudenziale ha invece ritenuto applicabile la norma anche in questa ulteriore ipotesi, affermando che "la vigilanza è diretta ad impedire non soltanto che gli alunni compiano atti dannosi a terzi ma anche che restino danneggiati da atti compiuti da essi medesimi, da loro coetanei o da altre persone ovvero da fatti non umani" (62).
Parte della dottrina opta invece per una diversa ricostruzione del titolo di responsabilità in capo agli insegnanti: si parla di responsabilità contrattuale per omesso controllo (63). In tal modo l'ente scolastico sarebbe responsabile contrattualmente nei confronti del minore e dei suoi genitori, mentre gli insegnanti lo sarebbero rispetto alla scuola.
Nelle ipotesi di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità della scuola e dell'insegnante viene ricondotta anche dalla più recente giurisprudenza nel diverso ambito della responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c., fondando il rapporto dell'alunno con la scuola non solo sul contratto di iscrizione - come avveniva in passato - ma direttamente su di un contratto di prestazione scolastica, in virtù del quale l'amministrazione ha il dovere di garantire all'allievo una puntuale ed adeguata formazione, impedendo che atti illeciti o illegittimi impediscano il pacifico svolgimento dei diritti dello studente.
Ne deriva che, "nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da c.d. autolesione è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola, né all'insegnante" (64).

5. Segue: la responsabilità concorrente dei genitori e dell'insegnante per il fatto illecito del minore
Va infine rilevato come, per effetto della rilevanza assegnata rispettivamente alla culpa in educando, nella responsabilità del genitore, e alla culpa in vigilando, in quella dei precettori, è possibile che vi sia concorso di entrambi i soggetti nel caso di illecito commesso dal minore nel periodo in cui questo è affidato ad un'istituzione scolastica (65). Tale principio di responsabilità solidale si era già affermato prima della riforma del diritto di famiglia, e viene tutt'oggi costantemente richiamato in giurisprudenza (66), la quale si è soffermata in modo particolare sul dissenso manifestato da uno dei genitori a quell'attività rivelatasi poi occasione dannosa, escludendo che in questi casi il genitore dissenziente sia liberato da responsabilità (67).
Pertanto, laddove sotto il profilo causale, la condotta dell'allievo sia riconducibile oltre che all'omessa vigilanza dell'insegnante, anche ad un difetto di educazione, la responsabilità del genitore sarà concorrente con quella del docente (68). Il danneggiato potrà quindi agire indistintamente nei confronti dell'insegnante o dei genitori, dal momento in cui l'obbligazione non fa sorgere litisconsorzio necessario (69).
Resta controverso il problema di stabilire se la mancanza di vigilanza dell'insegnante possa rendere più agevole, per i genitori, la prova di aver impartito una buona educazione, vale a dire se sia possibile sostenere per questi ultimi, a fronte di un illecito non particolarmente violento, che in presenza di un vigile insegnante il minore non avrebbe posto in essere il comportamento dannoso, proprio perché adeguatamente educato e disciplinato, mentre, in assenza di persone adulte vigili, ha dato sfogo alla sua esuberanza giovanile, danneggiando in modo involontario un compagno o un terzo (70).
Rimane altresì dibattuta la questione dell'eventuale responsabilità dei precettori nel diverso caso in cui l'autore dell'illecito sia un maggiorenne. Mentre alcuni autori propendono per escludere la responsabilità concorrente dei precettori, coerentemente con l'abbassamento della maggiore età ai diciotto anni (71), altri sostengono che, qualora l'atto illecito sia direttamente riferibile all'attività didattica, e non connessa con un rapporto meramente occasionale a questa, gli insegnanti dovrebbero comunque rispondere dei danni. Si ritiene infatti che ciò venga in rilievo in queste ipotesi sia non tanto la capacità legale del soggetto, quanto la carenza di nozioni educative connesse all'insegnamento e alla capacità tecnica del precettore (72).
Infine va precisato che la responsabilità del precettore si aggiunge a quella personale del minore capace di intendere e volere e, nei rapporti interni, l'insegnante avrà azione di rivalsa nei confronti dell'allievo che ha materialmente compiuto il fatto dannoso (73).

6. Alcune riflessioni conclusive
Alla luce di questa panoramica si intravede un segno di chiaro cambiamento riguardo al fenomeno di cui stiamo trattando. Oggi, davanti al moltiplicarsi degli atti di bullismo, è venuta in rilevo la tendenza ad una eccessiva tolleranza da parte dei genitori nei confronti di comportamenti irragionevoli dei minori e l'incapacità di correggere e castigare i capricci dei figli è forse all'origine del rilevato rigore manifestato dai tribunali (74).
Si è pertanto delineato un chiaro diritto al risarcimento per le vittime, riconoscendo la responsabilità, in primo luogo, in capo a chi ha il dovere di educare il ragazzo (i genitori), tenuto conto che la famiglia rappresenta il punto di raccordo fermo e costante tra la scuola e la società nel suo complesso; in secondo luogo nei confronti di chi ha il dovere di vigilare sul ragazzo in età scolare (gli insegnanti); ed infine in capo a chi ha il dovere di controllare che questa vigilanza sussista e sia effettiva (l'amministrazione scolastica).
Dall'altro lato, non si può far a meno di osservare che in presenza di un comportamento meramente colposo del minore (si pensi ad una lieve lesione cagionata durante un gioco), ma anche ad un singolo episodio dannoso del ragazzo appena maggiorenne (come una violazione del codice della strada), che non sono sicuramente da soli sufficienti a qualificare il danneggiante quale bullo, l'atteggiamento dei giudici appare in qualche modo eccessivo, soprattutto nei riguardi di chi ha l'obbligo di educare e sorvegliare il ragazzo.
Rimane da aggiungere un'ultima riflessione: prima di pensare a quale sia la sanzione più idonea a reprimere il fenomeno, è doveroso chiedersi quale forma di prevenzione sia auspicabile. È lecito quindi domandarsi se lo strumento privatistico del risarcimento del danno rappresenti una soluzione ancora efficace, oppure abbia oggi perso il suo effetto inibitorio sulla condotta violenta o comunque illecita del minore.
È forse necessario che dalla punizione si passi alla prevenzione o, meglio, alla educazione di chi ha il compito di educare. I genitori dovrebbero recuperare la loro autorevolezza, in maggiore aderenza al concetto di potestà, i genitori "amici" hanno infatti trasformato la famiglia in un luogo di relazioni simmetriche, nell'ambito del quale il genitore dello stesso sesso non è più un modello "forte" in cui identificarsi, e questo ha inevitabilmente "delle conseguenze anche nel conflitto generazionale dell'adolescenza, perché con questi presupposti è difficile che un conflitto emerga. E così ci ritroviamo bambini senza modelli e adolescenti senza antagonisti" (75).
Oltretutto questo cambiamento nel ruolo dei genitori sembra riflettersi anche sulle responsabilità degli insegnanti, considerando che la scarsa motivazione di alcuni docenti, comportando una abdicazione al loro ruolo educativo, è in parte forse dovuta anche al distorto ruolo tra la famiglia e la scuola. Non possiamo infatti tacere come i genitori, invece di limitarsi a vigilare sul corretto e sereno svolgimento della funzione formativa, arrivano oggi spesso a sindacare pesantemente il comportamento in classe dell'insegnante.
La mancata condivisione del progetto educativo fra i genitori e gli insegnanti è quindi una probabile concausa del dilagare degli atti di bullismo da parte di minori, proprio nella scuola. I ragazzi infatti sentono di avere in qualche modo "le spalle coperte dai genitori", fino ad arrivare (e questo forse è una novità rispetto al passato) a forme di bullismo da parte degli alunni delle scuole superiori nei confronti degli stessi insegnanti (76). Oltre a ciò non va dimenticato che il bullismo è il prodotto di più interazioni, non solo tra il bullo e la vittima, ma anche tra il bullo e i suoi spettatori, tra il bullo e i suoi seguaci.
Sembra pertanto auspicabile che la scuola attivi un sistema di revisione della valutazione dei comportamenti e delle sanzioni da applicare. Compito del giurista sarà invece quello di individuare soluzioni alternative al risarcimento del danno, nell'ottica di prevenire e delimitare il fenomeno del bullismo.

-----------------------
(1) Per una recente indagine statistica cfr. A. Coluccia, L. Lorenzi, Devianza giovanile: i risultati di una ricerca su stili di vita, rapporto con il mondo scolastico, atti di bullismo, percezione dei comportamenti devianti, in Cass. pen., 2007, 1273 ss.
(2) Per un'analisi del tema si v. Direttiva del Ministero della Pubblica istruzione n. 16/2007, Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo, che ha previsto, tra le altre misure, l'istituzione di Osservatori regionali permanenti sul fenomeno del bullismo, presso ciascun Ufficio scolastico regionale.
(3) Si ricorda che l'art. 97 c.p. fonda una presunzione assoluta di non imputabilità del minore di quattordici anni. Oltre i quattordici anni, ma al disotto dei diciotto, l'imputabilità del ragazzo deve invece essere accertata caso per caso, sulla base della capacità di intendere e di volere del minore. Se la capacità sussiste, la pena è tuttavia diminuita (art. 98, comma 1, c.p.), ed in seguito alla sentenza della Corte Cost., 28 aprile 1994, n. 168, in Foro it., 1994, I, 2045, non può mai essere applicato l'ergastolo. Nulla esclude che l'imputabilità sia riconosciuta rispetto a certi reati e non ad altri, "dato che l'apprendimento dei valori socio-culturali non si sviluppa in termini sincronici", così T. Padovani, Diritto penale, VI, Milano, 2002, 175. Oltre i diciotto anni si profila un'implicita presunzione relativa di imputabilità, suscettibile di essere vinta in presenza di fattori specifici.
(4) Così M. Colamussi, Dalla violenza sui minori alla violenza dei minori: una prima verifica degli strumenti legislativi, in Minorigiustizia, 2007, 207 ss.
(5) Non va infatti dimenticato che il processo minorile si adegua alla personalità ed alle esigenze educative dell'imputato minorenne (art. 1 disp. proc. pen. min. ), quale persona dotata di personalità in fieri, che non può essere considerato al pari di un adulto. Sul punto v. Patane', Diversion, in Il processo penale dei minori: quale riforma per quale giustizia, a cura di Giostra, Milano, 2004, 65 ss.
(6) Il mobbing non ha la sua fonte regolatrice nella legge, bensì nella giurisprudenza che, nel corso degli anni, ha individuato i tratti caratterizzanti di un fenomeno socio culturale, consistente nella reiterazione di soprusi da parte dei superiori o dei colleghi di lavoro in danno del dipendente attraverso pratiche dirette ad isolarlo nell'ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso (T.a.r. Abruzzo, sez. Pescara, 23 marzo 2007, n. 339, in Giur. it., 2007, 2075; Trib. Napoli, 3 novembre 2006, in Repert. Foro it., 2007, voce Lavoro (rapporto), n. 1091; Trib. Ivrea, 17 novembre 2005, in Repert. Foro it., 2007, voce cit., n. 1011).
(7) "La condotta che integra il mobbing deve infine caratterizzarsi come dolosa, finalizzata cioè all'emarginazione e/o all'allontanamento del lavoratore dall'azienda": Trib. Vicenza, 26 gennaio 2007, in Rass. giur. lav. Veneto, 2007, 78.
(8) V. il recente disegno di legge presentato al Senato sul mobbing, per la configurabilità del quale si prevede che le pressioni siano continuative nel tempo e durino da almeno sei mesi.
(9) In presenza di un incapace, si richiede al sorvegliante un dovere di vigilanza adeguato all'età e alla personalità del soggetto: Cass., 26 giugno 2001, n. 8740, in Foro it., 2001, I, 3098, con nota di F. Di Ciommo, L'illiceità (o antigiuridicità) del fatto del minore (o dell'incapace) come presupposto per l'applicazione dell'art. 2048 (o 2047) c.c.; Cass., 28 marzo 2001 n. 4481, in Danno e resp., 2001, 498, con nota di V. Carbone, Non rispondono i genitori per gli incidenti causati dal minore in motorino, e in Familia, 2001, 1171, con nota di S. Patti, Responsabilità dei genitori: una sentenza in linea con l'evoluzione europea
(10) Criticano l'arbitrarietà del concetto di culpa in educando, tra gli altri, M. Mantovani, Responsabilità dei genitori, tutori, precettori, e maestri d'arte, cit., 168; C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1998, 134.
(11) Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, in Danno resp., 2001, 257 ss., con nota critica di F. Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza "bacchettona"?; Cass., 7 agosto 2000, n. 10357, in questa Rivista, 2001, 51, con nota di W. Finelli, Ancora sulla responsabilità del genitore per i danni causati dal figlio minori; Cass., 25 marzo 1997, n. 2606, in Mass. Foro it., 1997. In dottrina cfr. S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, passim; A. Chianale, Responsabilità dei genitori (art. 2048 c.c.), in Riv. dir. civ., 1996, 301.
(12) Trib. Firenze, 30 novembre 1961, in Giur. it., 1963, 207; App. Lecce, 22 dicembre 1969, in Giust. civ., 1970, 1480; Cass., 6 febbraio 1970, n. 263, in Giur. it., 1970, 852.
(13) A partire da Cass., 27 marzo 1984, n. 2027, in Mass. Giur. it., 1984, 410.
(14) Cass. pen., 27 giugno 1989, in Cass. pen., 1990, 1932.
(15) Cass., 10 giugno 1994, n. 5663, in Mass. Giust. civ., 1996, 6; Cass., 26 aprile 1996, n. 3888, in Mass. Giust. civ., 1996, 633.
(16) M. Mantovani, Responsabilità dei genitori, tutori, precettori, e maestri d'arte, in La responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, in Giur. Sist. civ. comm., Aggiornamento, Torino, 1997, 173.
(17) Cass., 10 maggio 2000, n. 5957, in Arch. circolaz., 2001, 126.
(18) Trib. Palermo, 27 giugno 2007, in Foro it., 2008, II, 14.
(19) Cfr. L. Rossi Carleo, La responsabilità dei genitori ex art. 2048, in Riv. dir. civ., 1979, 120; M.R. Fischietti, La responsabilità extracontrattuale, in Arch. civ., 1996, 773; G. Alpa, La responsabilità civile, VI, in Trattato di diritto civile, Milano, 1999, 668.
(20) Sottolineano la vetustità e l'inadeguatezza della norma, R. Pardolesi, Danni cagionati dai minori: pagano sempre i genitori?, in questa Rivista, 1997, 221 ss.; V. Carbone, Non rispondono i genitori per gli incidenti causati dal minore in motorino, cit., 501 ss.
(21) In particolare F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, VII ed., Napoli, 1998, 681 e 682, parla espressamente di responsabilità "propria", "diretta" e "tendenzialmente oggettiva" di genitori, tutori, precettori e maestri d'arte, derivante dalla violazione di un preciso dovere su di loro incombente. Nella manualistica cfr. anche M. Bessone, Istituzioni di diritto privato, Torino, 2005, 913.
(22) V., ex multis, Cass., 28 marzo 2001 n. 4481, cit.; Cass., Cass., 3 giugno 1997, n. 4945, in Danno resp., 1998, 254; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9815, in Dir. ed economia assicuraz., 1999, 271.
(23) In tal senso A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, XIV ed., Milano, 1994; P. Zatti, V. Colussi, Lineamenti di diritto privato, VI ed., Padova, 1997, 631. Va precisato che questi autori, partono dalla nozione di responsabilità indiretta per poi qualificare la responsabilità per fatto altrui come oggettiva.
(24) Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322, in questa Rivista, 2006, 135, con nota di G. Facci, La responsabilità dei genitori in caso di incidente stradale del figlio minore: per colpa od oggettiva?
(25) Cass., 20 aprile 2007, n. 9509, in Guida dir., maggio 2007, 13; Cass., 11 aprile 2006, n. 8421, ivi, 15; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322, cit.; Cass., 8 febbraio 2005, n. 2518, in Rep. Foro it., 2005, voce Responsabilità civile, n. 334; Cass., 10 agosto 2004, n. 1519, in Rep. Foro it., 2004, voce cit., 298; Cass., 29 ottobre 2002, n. 15243, in Rep. Foro it., 2002, voce cit., n. 253. Cfr. anche Trib. Salerno, 16 marzo 1992, n. 626, in Dir. giur., 1992, 546, con nota critica di R. Romeo, In tema di responsabilità dei genitori per l'illecito del figlio minore.
(26) Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, cit.; Cass., 10 luglio 1998, n. 6741, in Giust. civ., 1998, I, 1809. Si sofferma sulla funzione di garanzia dei genitori A. Sbrighi Scotto, Profili della responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Resp. civ. prev., 2000, 908 ss.
(27) In questo senso M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, V, Milano, 1994, 693.
(28) G. Facci, La prova liberatoria dei genitori per l'illecito del figlio minore dipende dalle modalità con cui è avvenuto il fatto, in Resp. civ. prev., 2001, 1003 ss.
(29) A tal fine non occorre che i genitori provino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, perché in questo caso si ricadrebbe nel diverso obbligo di sorveglianza che l'art. 2047 c.c. impone solo ai genitori del minore incapace: Trib. Verona, 18 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, 1409, con nota di F. Ferri, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.; Cass., 24 ottobre 1988, n. 575, in Foro it., 1989, I, c. 98.
(30) Si noti che quella parte della giurisprudenza che ricollega la responsabilità ex art. 2048 cod. civ. in termini di responsabilità a titolo di garanzia, ne mette in rilievo il profilo riparatorio, superando così quello sanzionatorio riconducibile, più propriamente, alla responsabilità per colpa: Cass., 14 ottobre 2003, n. 15321, in Foro it., 2004, I, 426; Cass., 26 giungo 2001, n. 8740, cit.
(31) Ci si riferisce a Cass., 14 marzo 2008, n. 7050, in Rep. Foro it., voce Responsabilità civile, 2008, n. 50.
(32) Nella fattispecie esaminata dalla Corte, l'evento dannoso non era riconducibile ad un'omessa attività di sorveglianza: la causa del sinistro infatti non viene ricondotta all'utilizzo, del tutto lecito, del motorino, ma ad una condotta di guida pericolosa, rivelatrice di un contegno genericamente irresponsabile e suscettibile di creare rischio per sé e per altri, dal quale si inferisce una valutazione di inadeguatezza dell'attività di prevenzione da parte del genitore e conseguentemente la fondatezza del giudizio di responsabilità.
(33) Cass., 14 marzo 2008, n. 7050, cit.
(34) Trib. Udine, 28 febbraio 1963, in Giur. it., 1964, I, 2, 126.
(35) F. Di Ciommo, Minore maleducato e responsabilità dei genitori, in Danno resp., 1998, 1090 ss.
(36) Trib. Bologna, 24 aprile 2001, in Resp. civ. prev., 2001, 996 ss.
(37) Ci si riferisce al contributo di S. Taccini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori: tra profili di protezione e di garanzia, in Danno resp., 2008, 7 ss.
(38) Segnatamente la Francia, dove la più recente giurisprudenza tende alla ricostruzione di un sistema oggettivo di responsabilità dei genitori. Cfr. A. Palmieri, Responsabilità dei genitori: adieu (senza rimpianti) alle presunzioni di colpa, in questa Rivista, 1997, 692 ss.
(39) A. Tunc, L'enfant et la balle. Réflexions sur la responsabilité civile et l'assurance, in J.C.P., 1996, II, 14567.
(40) P. Trimarchi, La responsabilità civile, in Il diritto privato nella società moderna, a cura di Rodotà, Bologna, 1971, 434 ss.; Id., Istituzioni di diritto privato, 2002, 124.
(41) Così F.D.Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., 1982, 63; F. Giardina, Minori, responsabilità, assicurazione, 1984, Napoli, 133.
(42) Sulla scorta della giurisprudenza tedesca (in propositi v. BGH, 27 novembre 1979, in NJW, 1980, 1044 ss., annotata da S. Patti, L'illecito del "quasi maggiorenne" e la responsabilità dei genitori: il recente indirizzo del Bundesgerichtshof, in Riv. dir. comm., 1984, I, 27 ss. Ma, nel senso contrario di escludere che i doveri di sorveglianza dei genitori vengano attenuati con l'avvicinarsi del figlio alla maggiore età, si è pronunciata in più occasioni la nostra Corte di Cassazione (cfr., fra le altre, Cass., 20 ottobre 1997, n. 10282, in Foro it., 1998, I, 64).
(43) A tutto questo va aggiunto che la mutata fisionomia del nucleo familiare moderno (cfr. G. Collura, Il legislatore sensibile, atti del XXIV Congresso nazionale di studio dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per le famiglie, Firenze 24-26 novembre 2005, Fragilità nei minori e nella famiglia. Le norme sensibili, la giustizia sensibile, in Minorigiustizia, 2007, 231 ss.) potrebbe comportare un ulteriore allargamento dell'ambito di applicazione dell'art. 2048 c.c., in analogia a quanto è avvenuto per la fattispecie di responsabilità per fatto illecito dell'incapace considerata dall'art. 2047 c.c., nell'ambito della quale sono stati ricompresi dalla giurisprudenza, tra i soggetti tenuti alla sorveglianza dell'incapace, anche i conviventi di fatto del genitore con il quale l'incapace abita, in considerazione dell'espansione del fenomeno delle c.d. famiglie ricomposte e del vincolo solidaristico che lega anche i componenti delle famiglie di fatto (ma in senso contrario G. Alpa, La responsabilità civile, cit., 666, rimarca il carattere eccezionale delle ipotesi di responsabilità oggettiva, escludendo l'obbligo di sorveglianza del convivente del genitore).
(44) App. Milano, 22 marzo 1974, in Arch. resp. civ., 1974, 258; Cass., 5 settembre 1986, n. 5424, in Vita not., 1986, 1239; Cass., 6 febbraio 1970, n. 263, cit.
(45) Cass., 26 giugno 1998, n. 633, in Foro it., 1999, I, 1575.
(46) Cfr. in particolare Cass., 10 dicembre 1998, n. 12424, in Mass.Foro it., 1998; Cass., 23 giugno 1993, n. 6937, in Mass. Giust. civ., 1993, 1065; Cass., 15 gennaio 1980, n. 369, inedita.
(47) Cass., 3 febbraio 1999, n. 916, in Mass. Gisut. Civ., 1999, 244; Cass., 6 marzo 1998, n. 2486, in Giur. it., 1999, 265; Cass., 27 marzo 1984, n. 2027, cit.
(48) Trib. Firenze, 19 marzo 1993, in Arch. civ., 1993, 561; Cass., 13 settembre 1996, n. 8263, in Mass. Foro it., 1996.
(49) Cass., 2 dicembre 1996, n. 10723, in Studium Juris, 1997, n. 314.
(50) Legge 11 luglio 1980, n. 312, pubblicata in G.U. 12 luglio 1980, n. 190.
(51) D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, "Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiagati civili dello Stato" (G.U. 25 gennaio 1957, n. 22).
(52) L'art. 61 l. cit. recita: "La responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.
La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza.
Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi ".
(53) M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario al cod. civ. Scialoja-Branca, diretto da Galgano, Bologna-Roma, 1993, sub art. 2048, 391.
(54) Corte Cost., 24 febbraio 1992, n. 64, ex ceteris, in Giur. it., 1992, I, 1, 1618, con nota di M. Comba, Ulteriore estensione della responsabilità dell'Amministrazione ex art. 28 Cost.
(55) Cass., Sez. Un., 11 agosto 1997, n. 7454, in Danno resp., 1998, 260 (con nota critica di M. Rossetti, La pubblica amministrazione risponde del danno causato dall'alunno a se medesimo), dove si legge che sia quando l'alunno abbia causato danni a terzi, sia quando l'alunno abbia cagionato danni a sé stesso, "con l'art. 61 la responsabilità civile degli insegnanti, per i danni causati ai terzi dalla lesione dei loro diritti, è stata limitata ai casi di dolo o colpa grave, e si è, in tal modo, eliminata la presunzione sancita dall'art. 2048 c. c."; in senso conforme a Cass., 3 marzo 1995, n. 2463, in Mass. Foro it., 1995.
(56) Cass., 30 marzo 1999, n. 3074, in Rep. Foro it., 2000, voce Responsabilità civile, n. 187; Cass. 26 giugno 1998 n. 6331, in Foro it. 1999, I, 1574, con nota di F. di Ciommo.
(57) R. Settesoldi, La responsabilità civile degli insegnanti statali: l'obiter dictum delle sezioni unite segna definitivamente il tramonto della presunzione di culpa prevista dall'art. 2048, comma 2, c.c.?, in Resp. civ. prev., 1998, 1074 ss.; Id., Fatto illecito dell'allievo e responsabilità civile: inutile l'accertamento della culpa in vigilando dell'insegnante se la condotta del minore rileva un'educazione inadeguata, in Resp. civ. prev., 2001, 81.
(58) F. Casini, Una decisione innovativa della Cassazione sulla responsabilità degli insegnanti, in Giust. civ., 1995, I, 2097 ss.; M. Rossetti, La pubblica amministrazione risponde del danno causato dall'alunno a se medesimo, cit., 265 ss. Nel solco della progressiva oggettivizzazione di questo tipo di responsabilità e della diffusa avvertita esigenza di dare effettività alla tutela risarcitoria, si colloca l'art. 574 del D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Testo unico in materia di istruzione, relativo alle scuole di ogni ordine e grado).
(59) Così Cass., 26 giugno 1998, n. 6331, cit.; Cass., Sez. Un., 11 agosto 1997, n. 7454, cit.
(60) Cass., 28 luglio 67, n. 2012, in CED rv 329060.
(61) Cass., 14 ottobre 2003, n. 15321, cit.; Cass., 15 gennaio 2003, n. 482, in Arch. civ., 2003, 645; Cass., 10 febbraio 1999, n. 1135, in Giur. it. 2000, 507. Queste pronunce sono improntate al principio secondo cui, posta la condotta autolesiva del minore, la responsabilità del precettore può essere affermata solo previo accertamento della colpa in concreto ex art. 2043 c.c., non potendosi invocare nei suoi confronti la responsabilità presunta di cui all'art. 2048 c.c.
(62) Cass. 26 giugno 1998 n. 6331, cit. Cfr. anche Cass., 1 agosto 1995, n. 8390, in Mass. Foro it., 1995: "La responsabilità dell'insegnante per il fatto illecito dei suoi allievi, previsto dall'art. 2048, comma 2 c.c., si basa su una colpa presunta (...) detta colpa, peraltro, quando si tratti di allievo minore, può riguardare anche il danno che lo stesso allievo ha procurato a se stesso con la sua condotta, in quanto l'obbligo di vigilanza dell'insegnante è posto anche a tutela dei minori a lui affidati, ferma restando la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto ".
(63) F. Di Ciommo, Danno "allo" scolaro e responsabilità "quasi oggettiva" della scuola, in Foro it., 1999, I, 1575; contra L. Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per i danni sofferti dal minore, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 241, il quale ritiene che non sussista in capo al personale docente un generale obbligo di vigilanza, ma solo uno specifico dovere, ex artt. 2047 e 2048 c.c., di impedire che l'allievo danneggi i terzi.
(64) A partire da Cass., Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I, 2635, con nota di F. Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento dell'art. 2048 c.c. In senso conforme v.: Cass., 29 aprile 2006, n. 10030, in Mass. Foro it., 2006, 840; Cass., 18 novembre 2005, n. 24456, in Reper. Foro it., 2006, voce Responsabilità civile, n. 302. Sul tema della responsabilità per gli atti di autolesionismo si rinvia alla copiosa letteratura giuridica sul tema, sviluppatasi in seguito alle riflessioni poste dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite.
(65) Cass., 10 maggio 2000, n. 5957, cit.; Cass., 7 ottobre 1997, n. 9742, in Arch. civ., 1998, 182; Cass. 13 settembre 1996, n. 8263, cit.; Cass., 1 gennaio 1980, n. 2119, in Mass. Giur. it., 1980, 531.
(66) Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, cit.; Cass., 25 marzo 1997, n. 2606, cit.
(67) M. Franzoni, Dei fatti illeciti, op. ul. cit., 358 ss.; M. Mantovani, Responsabilità dei genitori, tutori, precettori, e maestri d'arte, cit., 168.
(68) Trattasi di responsabilità solidale ex art. ex art. 2055 c.c. e non alternativa: Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, cit.; Cass., 25 marzo 1997, n. 2606, cit. In alcune pronunce risalenti veniva invece sostenuta le tesi dell'alternatività tra la responsabilità dei genitori rispetto a quella dei precettori, conformemente al diverso ruolo attribuito all'insegnante, quale "continuatore dell'autorità paterna": Cass., 3 aprile 1957, n. 1137, in Mass. Giur. it., 1957, 249; App. Napoli, 23 aprile 1956, in Rep. giur, it., 1956.
(69) Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, cit.; Cass., 25 marzo 1997, n. 2606, cit.; Cass., 13 settembre 1996, n. 8263, cit.
(70) Il problema è stato posto da Cass., 21 settembre 2000, n. 12501, ult. cit., ma non sembra sufficientemente approfondito dalla giurisprudenza italiana. Appare a tal proposito utile un cenno comparatistico con la giurisprudenza e la dottrina nordamericana, che hanno dimostrato una particolare sensibilità sul tema dei fatti illeciti del minore, a fronte dei noti e gravi episodi di violenza nelle scuole. La logica del c.d. subjective standard consiste nel valutare il minore quale soggetto dotato di una capacità mentale limitata, con la conseguenza di poter pretendere da lui solo la correttezza e prudenza rapportabile ad una persona dalle limitate capacità. Cfr. Dan. B. Dobbs, The Law of Torts, St. Paul, Minn., 2000, 293 ss.
(71) Franzoni, Dei fatti illeciti, op. ul. cit., 384. In questo senso anche App. Torino, 8 giugno 1968, in Giur. it., 1969, 49; App. Torino, 5 aprile 1968, in Arch. resp. civ., 1968, 913.
(72) Corsaro, Sulla natura giuridica della responsabilità del precettore, in Riv. dir. comm., 1967, 52 ss.
(73) Cass., 22 ottobre 1965, n. 2202, in Resp. civ. prev., 1966, 69. In senso contrario P. Morozzo della Rocca, Regole di responsabilità, palline di carta e danni alla persona, in Corr. giur., 1997, 801.
(74) Scrive G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte ad una sfida, Milano, 2000, 11: "I genitori hanno smesso di farsi obbedire per paura e hanno deciso di farsi obbedire per amore; una delle conseguenze sembra consistere nel fatto che i bambini sono meno costretti a doverli idealizzare e gli adolescenti non hanno più il compito di deidealizzare i loro genitori ".
(75) S. Abruzzese, Genitori sempre più buoni, figli sempre più cattivi, in Minorigiustizia, 2005, 5.
(76) S. Abruzzese, Genitori sempre più buoni, op. ult. cit., 11.