Pittaro Paolo, Minori e giustizia penale



MINORI E GIUSTIZIA PENALE: LUOGHI COMUNI, INERZIE E BUONE INTENZIONI

MINORI E GIUSTIZIA PENALE: LUOGHI COMUNI, INERZIE E BUONE INTENZIONI

Pittaro Paolo

FONTE
Dir. Pen. e Processo, 2000, 3, 269

Sommario: Le baby-gang - L'assenza di valori - I luoghi comuni - Le inerzie dell'ordinamento - Le buone intenzioni

Le baby-gang
Da qualche tempo si assiste al fenomeno delle c.d. baby-gang , ossia del proliferare, nelle zone metropolitane, di bande giovanili, in genere composte da soggetti minori, anche infraquattordicenni, con un (o una) leader a volte appena maggiorenne o pur anche minore, dediti ad atti di rapina o di violenza a fini di lucro contro loro coetanei. Usualmente scarso, ma significativo, il bottino, costituito da ciò che la vittima indossava ovvero portava con sé: il telefono cellulare, gli indumenti e gli accessori (orologio, scarpe, maglie, zainetti) in quanto "griffati", ed il denaro contante. Più sporadica, ma non infrequente, l'aggressione a soggetti adulti, tesa o a recuperare soldi e cellulare, ovvero a "dare una lezione" a chi aveva assistito, protestando, opponendosi oppure sollecitando l'intervento delle forze dell'ordine, alle loro scorribande.
Ciò che caratterizza tale fenomeno è, in particolare, l'estrazione sociale dei soggetti coinvolti: non una banda giovanile vera e propria (magari motivata e strutturata secondo i classici canoni interpretativi della Scuola di Chicago e resi noti dalla tradizionale teoria delle "opportunità differenziali" di R.A. Cloward e L.E. Ohlin (1)), ovvero ancora non minori impiegati in attività criminose, in quanto non imputabili, dalla criminalità organizzata (2), bensì gruppi appartenenti al ceto medio o medio-alto, spesso a formazione spontanea o aperta, di derivazione scolastica, provenienti da famiglie conformiste ed aggregate, viventi in quartieri centrali di città opulente. "Figli-bene", dunque, di genitori benestanti, cui nulla manca o viene fatto mancare (almeno dal profilo materiale), alla stregua di una scala di desideri divenuti necessità, ma dettata meramente dal consumismo e dal messaggio pubblicitario. Colpisce, dunque, la disponibilità di denaro, di telefonini, di capi firmati e di gadget di marca da parte sia dei soggetti attivi sia della vittima; e come la motivazione dell'attacco, una volta individuata la vittima isolata, sia il possesso accresciuto degli stessi beni, ovvero una maggior somma per acquistarne altri, del medesimo genere, o da impiegare ai giochi elettronici (tramite le c.d. play-station ) situati in appositi locali, veri e propri punti di aggregazione della gioventù e degli adolescenti di oggi.

L'assenza di valori
Il fatto che, alla fin fine, i componenti delle varie baby-gang e le vittime siano della medesima estrazione sociale o, perfino, appartenenti alla stessa istituzione scolastica ha (finora) reso alquanto agevole la loro identificazione. Quello che maggiormente colpisce, invece, è loro piena confessione del fatto materiale, per negarne, invece, il disvalore penale: a loro dire, e con tutta probabilità in buona fede, il furto (del telefonino, delle scarpe da ginnastica griffate, delle centomila lire) effettuato con violenza ai danni del coetaneo non può rientrare nella qualifica giuridica della rapina, "perché sappiamo tutti che le vere rapine sono quelle in banca" ...
A questo punto non si tratta tanto (o non solo) di intraprendere uno studio criminologico su tale fenomeno associativo (a nostro avviso, tuttavia, alquanto labile, fluido, di aderenza spontanea, spesso passiva rispetto ad iniziative di un singolo membro, ovvero di rinforzo psicologico reciproco), quanto, e soprattutto, di riflettere sulla assoluta assenza di valori (che non siano quelli consumistici) che tale gioventù presenta, sin dallo stesso profilo cognitivo e come, pur nel contesto di una educazione familiare e scolastica tradizionale, strutturata e non deviante, dimostrino una assoluta indifferenza o, peggio, ignoranza, dei beni di fondo tutelati dall'ordinamento giuridico-penale.
Invero, di ipotesi su tale realtà, accanto alla notizia dei singoli fatti, i mezzi di comunicazione ne hanno formulate tante, coinvolgendo anche esperti di varie discipline: e su molte di queste potremmo assentire senza remore. Non v'è dubbio: che la nostra epoca sia caratterizzata dalla caduta dei valori e degli ideali tradizionali (iniziata, a nostro avviso, alla fine degli anni sessanta), senza che altri, altrettanto solidi e che non siano frutto di un sincretismo opportunistico, ne abbiano preso il posto; che si sono disgregate le istituzioni educative, per così dire, "naturali", quali la famiglia, gli enti intermedi e la scuola; che la famiglia da patriarcale sia divenuta mononuclueare; che la scuola, di converso, sia divenuta luogo di parcheggio quotidiano, a fronte della penuria di tempo da dedicare ai figli da parte dei genitori; che da ciò derivi una mancanza (o una incapacità) di comunicazione intrafamiliare; che il referente del tempo libero del giovane sia divenuto il televisore ed ogni derivato elettronico; che la famiglia tenda a superare questa sua deficienza colmando i figli di beni materiali e di consumo, di soldi da spendere e di oggetti alla moda; che sono scomparsi, o desueti, i tradizionali luoghi di incontro e di aggregazione giovanile intermedi, quali l'oratorio, i campi sportivi, l'associazionismo di vario tipo, specie culturale, mentre sono proliferati i locali ricchi di solitari videogiochi ove l'abilità (tecnico-elettronica) si misura sempre su un nemico da abbattere. Che, in definitiva, il rischio è quello di un'esistenza dominata dalla noia, dal poco da apprendere e dal nulla da comunicare.
Qualcuno potrebbe anche rilevare che nihil sub sole novi : la noia, l'indifferenza, il senso di vuoto della gioventù attuale non differiscono proprio da quelli di sempre: come dimenticare quel cult movie americano di molti decenni or sono, ove l'ardire (o il cupio dissolvi ) della c.d. gioventù bruciata di allora consisteva nel lanciare l'automobile a tutta velocità verso un burrone e lanciarsi per ultimo fuori dal mezzo prima che questo precipitasse?

I luoghi comuni
Di spiegazioni potremmo darne tante, accettabili o meno, Così come potremmo concludere (e non sarebbe affatto erroneo) che gli adulti hanno una rilevante responsabilità su tale tema. Potremmo scomodare studiosi di tante discipline, maestri del pensiero (forte o debole che sia), od apprendisti stregoni.
Tuttavia, interpretare il fenomeno, se può contribuire alla sua comprensione non significa offrire soluzioni per il superamento dello stesso: anzi, a volte e (ahimé!) paradossalmente, può portare alla sua giustificazione ed al rifiuto di ogni giudizio di valore.
Il rischio, a nostro sommesso avviso, è quello di ricadere nei luoghi comuni, atti a soddisfare la nostra sete (o vanità?) culturale, ma sterili sul piano operativo. Le baby-gang , come ogni altra precipua espressione della devianza e della criminalità minorile, postulano una riflessione perché esigono soluzioni: auspicabilmente dal profilo preventivo e da quello sociale, ma senza eludere quello giuridico-penale, che qui ci occupa.
Affermare che il minore che ha rapinato del cellulare il suo compagno risente del disagio di una fase di transizione epocale, del "non più e non ancora", può essere constatazione di grande profondità e raffinatezza, ma non ci aiuta a far comprendere al soggetto l'essenza del suo errore, la norma sociale, prima che giuridica, violata; non ci presenta alcun elemento per rettificare la sua educazione; non ci pone in mano chiavi di lettura in termini di prevenzione generale o speciale.
Anche questo fenomeno, dunque, necessita di riflessione. Certo, il codice di rito minorile (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) offre le ben note soluzioni della sentenza di non doversi procedere per l'irrilevanza del fatto (art. 27), della sospensione del processo con conseguente messa alla prova del minorenne (artt. 28-29) e delle misure sostitutive della detenzione (art. 30), per tacere della concessione del perdono giudiziale (art. 169 c.p.).
In effetti, proprio l'istituto di cui al citato art. 28 prevede, al comma 2, che, con l'ordinanza di sospensione, il giudice possa "impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato". In tale contesto, pertanto, ben potrebbe inserirsi ed operare la c.d. mediazione penale, da tempo oggetto di studio e frammentariamente introdotta nella prassi giudiziaria penale minorile (3).
Intendiamoci: la mediazione, se ne abbiamo ben colto il significato, mira a riconoscere la vittima come "altro da sé" ed a comprendere la sofferenza, i disagi ed i timori arrecatigli dal reato ed a promuovere una riconciliazione fra i due soggetti, usualmente, ma non necessariamente, culminante nel risarcimento del danno.
Calando il tutto nella nostra fattispecie, nulla da eccepire (anzi!) che il reo minorenne si renda conto della sofferenza, della paura, degli strascichi anche psicologici che la rapina (o dobbiamo definirlo: furto violento?) del cellulare, dei soldi o dell'oggetto di marca gli ha procurato. Auspicabile, dunque, il risarcimento e la restituzione del maltolto. Il che già rappresenta un obiettivo di non poco conto.
Ma, sempre a nostro avviso, tutto ciò non basta. Il fatto di reato non può profilarsi come un conflitto interpersonale risolvibile da un mediatore istituzionale (sia esso pure lo Stato). Il reato è, innanzi tutto, violazione di una norma; è la negazione di un bene protetto dall'ordinamento. Il minore, anche se di famiglia conformista, di questo deve essere convinto; su questi valori ha il diritto di essere educato.
In altri termini, e su questo punto dovrebbe accentrarsi la nostra attenzione, il fenomeno delle baby-gang , proprio perché di matrice strutturata, conformista e non emarginata, richiede di evitare la facile e suadente palude dei luoghi comuni e postula, più o come ogni altra forma di criminalità, specie giovanile, l'elaborazione di efficaci e praticabili formule di educazione alla legalità, come patrimonio comune del consorzio civile.

Le inerzie dell'ordinamento
Già abbiamo messo in luce su queste pagine (4), riportando un'intensa querelle sulla giustizia minorile (5), come da troppo tempo si stia aspettando una globale riforma sul tema, a partire da quella del tribunale dei minorenni (6).
In particolare, si sottolineava come non sussistesse ancora un ordinamento penitenziario per i minori, tuttora ed incredibilmente soggetti all'ordinamento penitenziario per gli adulti, promulgato con la l. 26 luglio 1975, n. 345, che pur nell'art. 79 chiaramente stabiliva la provvisoria applicabilità di quelle norme anche ai minorenni sottoposti alle misure penali "fino a quando non sarà provveduto con apposita legge": una situazione, del resto, da tempo definita dalla Corte costituzionale (sentenza 16 marzo 1992, n. 125), "ai limiti della incostituzionalità" (7).
Ebbene, tali limiti sono stati da tempo superati: senza doverci fermare sulle distinte fattispecie, la Corte ha più volte censurato quelle norme dell'ordinamento penitenziario che si applicavano indiscriminatamente ai detenuti minorenni (sentenze n. 168 del 1994, nn. 109 e 403 del 1997, nn. 16 (8), 324 e 450 del 1998). Di recente, poi, la Consulta, con la sentenza 1° dicembre 1999, n. 436 (9), ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 58-quater ord. penit. nella parte in cui si riferisce ai minorenni. In tale decisione, la Corte denuncia, con forti toni, che la norma transitoria "protratta nella sua attualità in forza dell'omissione legislativa" conduce ad una situazione di cui la "Corte ha già da anni denunciato la disarmonia rispetto ai principi costituzionali", per cui, non potendo essa ovviare all'assenza dell'"apposita legge", non le resta necessariamente " - fino a quando il legislatore non adempia all'obbligo di emanare la legge preannunciata ormai da venti anni - che continuare ad intervenire sulle singole disposizioni dell'ordinamento penitenziario comune incompatibili con le esigenze costituzionali del diritto penale minorile". Un programma (ed una promessa) ben precisi che preannunciano altre decisioni di accoglimento. Ma, nonostante i solenni impegni ministeriali, fino a quando durerà l'inerzia dell'ordinamento?

Le buone intenzioni
Se la giustizia minorile, intesa dal profilo del minore-reo, suscita pur sempre riflessioni e lamenta pesanti lacune legislative, talvolta notizie confortanti sorgono sul fronte della lotta alla criminalità contro i minori. Per quanto si tratti pur sempre di un goccia nel mare, registriamo i primi successi delle forze dell'ordine e della magistratura contro la pornografia minorile, specie via Internet, e contro il c.d. turismo sessuale, in applicazione della l. 3 agosto 1998, n. 269 (10).
Apprendiamo (11), inoltre, che il Parlamento europeo sta per approvare il Programma Daphne II (2000-2003), teso a sostenere le Organizzazioni non governative (ONG) impegnate nella lotta ad ogni tipo di violenza, anche sessuale, verso le donne, i bambini e gli adolescenti. La nuova versione del programma pluriennale apporterà un valore aggiunto alle misure nazionali in questo campo, prevedendo, fra l'altro, tutta una serie di interventi transnazionali, quali la utilizzazione di reti per lo scambio di informazioni, la cooperazione fra autorità e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica.
Il programma comprenderà, fra i beneficiari, tutti gli organismi di volontariato operanti in questo campo, mentre, fra gli obiettivi, verrà ricompreso anche quello di invitare i media ad avviare una campagna di informazione e di educazione del pubblico contro la violenza, deplorando l'uso di immagini di donne maltrattate a scopi pubblicitari, che potrebbe trasformarsi in un incitamento alla violenza stessa.
Ecco una pratica "educazione alla legalità", da tener presente anche ai fini nostrani.
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(1) R.A. Cloward-L.E. Ohlin, Teoria delle bande delinquenti in America, Bari, 1968. Ovviamente, su tale teoria - che solo apparentemente ha fatto il suo tempo - non possiamo soffermarci in questa sede.
(2) Sul punto, cfr., volendo, quanto già evidenziato da P. Pittaro, Minori e sistema penale: è tempo di riflessione, in questa Rivista , 1996, 1179 ss.
(3) Sul punto cfr., per tutti, M Bouchard, La mediazione dei conflitti penalmente rilevanti, in questa Rivista , 1998, 1571 ss.
(4) Cfr. P. Pittaro, Linee di tendenza nella tutela penale del minore, in questa Rivista , 1997, 72 e spec. 74 ss.
(5) Cfr. L. Fadiga, Il silenzio "uccide" la giustizia minorile e gli operatori chiedono norme più adeguate, in Guida dir., 1996, 44, 9, con la replica di G. Magno, Il "silenzio" sulla giustizia minorile è solo il preludio di riforme più incisive, ibidem, 45, 12.
(6) A suo tempo, con d.m. 30 marzo 1994, il Guardasigilli Giovanni Conso aveva istituito una Commissione di studio sui problemi ordinamentali della giustizia minorile, che aveva concluso i suoi lavori il 30 settembre 1994, presentando una relazione con una serie di proposte (pubblicata in Minorigiustizia, 1995, 1, 103 ss.). Il tutto, come lamenta L. Fagiga, Le ragioni per cambiare la giustizia minorile, ivi, 1999, 1, 78 ss., non ha avuto alcun seguito.
(7) Sul punto, e sulla risposta del Direttore generale dell'Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia, cfr. ancora P. Pittaro, Linee di tendenza nella tutela penale del minore, cit. , 75.
(8) Per un commento a tale decisione ci permettiamo rinviare a P. Pittaro, Misure penali sostitutive ed imputati minorenni, in Fam. e dir., 1998, 305 ss.
(9) Leggine il riassunto in questa Rivista , 2000, 61.
(10) V. il testo, in questa Rivista , 1998, 1219, con commenti di P. Pittaro e G. Spangher.
(11) Notizie tratte da Europa oggi, 1999, 11, 2.