Cass. pen. sez. V, 14.12.2007, n. 46668



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente
Dott. PIZZUTI Giuseppe - Consigliere
Dott. COLONNESE Andrea - Consigliere
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.G., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 06/06/2006 CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. COLONNESE ANDREA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Salzano Francesco, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. SERAFINI Berardo.

Svolgimento del processo - motivi della decisione

OSSERVA
La Corte d'appello di Roma con sentenza 6.6.2006 confermava la decisione del Tribunale di Rieti (sez. di Poggio Mirteto) in data 22.4.2004 con la quale L.G. era stato ritenuto responsabile del reato
di diffamazione in danno di G.P. e condannato alla pena della multa. All'imputato era stato contestato di aver offeso la reputazione della G., creando e diffondendo, via Internet, mediante l'utilizzo di un p.c. portatile, un annuncio pubblicitario, a nome della medesima, cui attribuiva l'espressione:
"Sono una grande troia, lo piglio in culo e voglio la sborra in bocca", inserendo il nome della donna ed il suo numero di cellulare;
consentendo, in tal modo, a varie persone di percepire l'offesa alla reputazione della predetta e ad alcune di telefonarle con richieste oscene. Era emerso che G.P. verso la fine di (OMISSIS) aveva iniziato a ricevere, sul proprio cellulare, telefonate e messaggi con cui ignoti interlocutori le proponevano incontri sessuali; all'ennesima sua indignata risposta veniva ad apprendere che il suo recapito telefonico risultava inserito su un sito Internet a carattere erotico. La predetta faceva effettuare, tramite il fratello esperto d'informatica, un controllo sul sito indicatole, riscontrando che ivi era registrato il messaggio.
Dopo la proposizione della querela, a seguito delle indagini esperite, veniva accertato che il numero di utenza telefonica utilizzato per la connessione ad Internet, in occasione della registrazione del messaggio, corrispondeva a quello assegnato al Corpo di guardia del (OMISSIS) della polizia di Stato in (OMISSIS), dove, nel giorno e nell'ora del collegamento, era risultato presente, in solitario turno, l'agente L.G., il quale era anche in possesso di un computer portatile. Veniva inoltre verificato che, al fine di non far figurare la telefonata in uscita dall'utenza del (OMISSIS), era stato alterato il brogliaccio che indicava le comunicazioni telefoniche e manomesso il contascatti all'uopo installato.
Inoltre la G. - che, in passato, aveva intrattenuto una relazione sentimentale col L. - aveva riferito che quest'ultimo, anche accompagnato dalla madre e dalla moglie, l'aveva più volte avvicinata confessandole di averle fatto uno scherzo ed implorandola di rimettere la querela per non rovinarlo.
Propone ricorso per cassazione l'imputato denunciando nel primo motivo "violazione di legge in relazione all'art. 595 c.p.". Assume, sostanzialmente, che non era dimostrato che il messaggio fosse stato percepito da più persone; nessun testimone aveva, infatti, avvalorato la circostanza che la G. fosse stata raggiunta da più telefonate con contenuto osceno. Conclude che, in tale quadro, non era dimostrata la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone e che i giudici di merito avevano compiuto, al riguardo, "un atto di fede nei confronti della sig.na G. P.".
Nel secondo motivo deduce "violazione di legge in relazione agli artt. 253 e 360 c.p.p. ed inutilizzabilità degli atti ai sensi dell'art. 191 c.p.p.". Lamenta che, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, erano stati introdotti nel procedimento le copie a stampa di alcune pagine web e dei tabulati telefonici in copia, acquisite dalla p.g. durante le indagini preliminari, "in palese violazione di ogni norma procedurale e di ogni tecnica di polizia giudiziaria". Poichè la copia di un qualsiasi documento, cartaceo o informatico, può esser oggetto di contraffazione e le pagine web possono essere generate e modificate con qualsiasi programma di videoscrittura, il giudice di primo grado avrebbe dovuto "acquisire la prova dell'avvenuta pubblicazione del messaggio diffamatorio, disponendo un sequestro dei files presenti sui server del provider Tiscali ...".
Denuncia, negli altri motivi, vizio di motivazione non essendosi raggiunto un ragionevole grado di certezza con riguardo: 1) all'effettiva data ed all'effettivo orario di inserimento del messaggio diffamatorio; 2) all'utilizzo di un portatile, sul posto di lavoro, da parte del L.; 3) All'affermazione della G. secondo cui l'imputato l'avrebbe più volte contattata per indurla a ritirare la denuncia.
I motivi sono destituiti di fondamento ed il ricorso deve esser rigettato con le conseguenze di legge.
Con riguardo alla prima ragione di doglianza va rilevato che la Corte territoriale ha sottolineato che la parte offesa, della cui attendibilità non v'era ragione di dubitare, aveva riferito di aver ricevuto "numerosissime telefonate" sulla propria utenza cellulare, con cui ignoti interlocutori le chiedevano incontri a sfondo sessuale, inviandole anche SMS e ripetendo le frasi indicate nell'annuncio. Poichè la dichiarazione della persona offesa può, da sola, essere assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla sua credibilità e detta indagine è stata puntualmente
effettuata, risulta verificato, ai fini dell'integrazione del reato, da parte dei competenti giudici del merito, il requisito della comunicazione con più persone.
Relativamente alla seconda ragione di doglianza deve osservarsi che erroneamente si denuncia l'inutizzabilità degli atti indicati.
Contrariamente alle deduzioni del ricorrente, va, infatti, osservato che, a quanto emerge dalla sentenza, le pagine Web sono state acquisite nell'ambito delle ordinarie funzioni della polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 55 c.p.p., mentre i dati dei tabulati telefonici sono stati assunti, in quanto ritenuti indispensabili, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., ed introdotti, quindi, senza contestazioni di sorta, nel procedimento. In tale contesto non si comprende il senso della doglianza circa le diverse procedure che si sarebbero dovute adottare per garantire la genuinità dei documenti, che, si badi, non è mai stata posta in dubbio.
Gli ulteriori motivi prospettano censure in punto di fatto della decisione impugnata, riproponendo doglianze avanzate in sede d'appello e motivatamente disattese.
La sentenza - dopo puntuale ed approfondita valutazione del compendio probatorio - ha esaurientemente spiegato le ragioni per le quali, in considerazione del tempo, del luogo e delle modalità di registrazione del messaggio, non sussistevano dubbi sull'identificazione del responsabile nella persona del L., unico agente (in possesso di un computer) presente, al momento della registrazione, al (OMISSIS), da dove era stato realizzato il collegamento alla rete per inoltrare l'annuncio. Del pari il ricorrente, con personali considerazioni, oblitera il motivato convincimento della Corte di merito in ordine alla ritenuta, totale affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2007
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2007