Cass. pen. sez. I, 23.04.2007, n.19438



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo - Presidente
Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere
Dott. GIRONI Emilio - Consigliere
Dott. GRANERO Francantonio - Consigliere
Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.E., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 14/04/2006 TRIB. SEZ. DIST. di PIEVE DI CADORE;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIRONI EMILIO GIOVANNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALATI Giovanni, che ha concluso per inammissibilità

Svolgimento del processo - motivi della decisione

La sentenza in epigrafe ha dichiarato F.E. colpevole della contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. (molestie in danno di A.K. e dei clienti del locale pubblico in cui la predetta lavorava come cameriera - reato commesso in (OMISSIS) nella notte tra l'1 ed il 2.4.2002).
L'imputato ha proposto ricorso eccependo, in rito, la nullità della notificazione del decreto di citazione in giudizio in quanto non eseguita a norma dell'art. 156 c.p.p., comma 1, in relazione al
suo asseritamente noto stato di detenzione all'epoca, nonchè la nullità del decreto medesimo per genericità ed indeterminatezza della contestazione. Il ricorrente denuncia, altresì, mancanza o vizio di motivazione della sentenza in punto di valutazione delle prove, assumendo che si sarebbe ingiustificatamente concesso esclusivo credito alle dichiarazioni della A., nonchè violazione dell'art. 660 c.p. per mancato accertamento della sussistenza di un biasimevole motivo o di petulanza nonchè degli estremi della contestata azione di disturbo o molestia.
Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni che seguono:
- la notificazione del decreto di citazione fu correttamente eseguita al domicilio ritualmente eletto dal F., non risultando all'epoca dagli atti il suo stato di detenzione per altra causa, dopo la cui comunicazione in udienza il giudice, senza aver compiuto alcuna attività, provvide comunque immediatamente a rinviare il dibattimento, ordinando la traduzione del prevenuto per la successiva udienza, nella quale, presente l'interessato, fu revocata la dichiarazione di contumacia del medesimo, le cui facoltà difensive non subirono, pertanto, alcun pregiudizio;
- la formulazione del capo di imputazione riportato nel decreto di citazione in giudizio è tutt'altro che generica ed astratta, contenendo essa la specificazione della condotta illecita ascritta all'imputato, a nulla rilevando la mancata identificazione degli avventori del pubblico esercizio che oltre alla A., cui era essenzialmente diretta la condotta dell'agente, subirono l'azione di disturbo del F. ed essendo compiutamente indicata, contrariamente all'assunto del ricorrente, anche la data del commesso reato;
- l'affermazione di colpevolezza del prevenuto risulta incensurabilmente motivata non solo in base alla deposizione della ragazza ma anche a quella, pur minimizzante, del gestore dell'esercizio, oltre che sul dato oggettivo che la condotta del ricorrente determinò l'intervento degli agenti del Commissariato di Polizia di Cortina, su chiamata della A., la quale non si sarebbe ovviamente indotta a tanto se le molestie non avessero assunto modalità intollerabili;
- lo stesso ricorrente ammette nel ricorso di aver agito allo scopo di riallacciare la relazione già intrattenuta con l' A. e ciò - atteso il palese dissenso manifestato dalla ragazza, peraltro nella circostanza impegnata nel lavoro di cameriera all'interno del locale, ed in considerazione delle turbolente insistenze dell'agente, coinvolgenti anche gli avventori dell'esercizio e protrattesi per ore - integra appieno il requisito della petulanza, dovendosi nella specie ravvisare proprio gli estremi di quel "continuo, insistente corteggiamento chiaramente non gradito" di cui al precedente giurisdizionale di questa sezione (Cass. sez. 1^, 11.6.1992, n. 6905) evocato dallo stesso ricorrente.
L'inammissibilità del ricorso per la sua ritenuta manifesta infondatezza preclude declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 23 aprile 2007
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2007