Cass. pen. sez. I, 04.07.2006, n. 22935



Sentenza

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente

Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere

Dott. BARDOVAGNI Paolo - Consigliere

Dott. SILVESTRI Giovanni - Consigliere

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) B.M. N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 12/05/2005 CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PALMBARINI Giovanni che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. PANNAINI Aldo in sostituzione dell'avv. PETRINGA NICOLOSI Roberto che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

in via subordinata chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione

Svolgimento del processo

Con sentenza 12.5.2005 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza 14.5.2003 del GUP del Tribunale in sede, ha qualificato come molestie aggravate ex artt. 61 c.p., n. 9 il reato di tentata violenza sessuale aggravata inizialmente contestato a B.M. ed ha rideterminato la pena in mesi due di arresto

I giudici di merito hanno così ricostruito la vicenda: "Il (OMISSIS) alle ore (OMISSIS) C.S.K. si presentava presso la stazione dei CC di Milano Moscova e denunciava quanto accadutole il giorno precedente alle ore (OMISSIS) sul treno delle ferrovie Nord di Milano, mentre percorreva la tratta Busto Arsizio - Milano Cadorna, chiedendo la punizione del colpevole nei termini di legge.

Aveva dichiarato la denunciarne che mentre si trovava sul treno si era presentato il controllore per obliterare il biglietto che le aveva fatto presente che, nonostante avesse un biglietto di seconda classe, occupava uno scompartimento di prima classe. Lei si era scusata ed il controllore le aveva permesso di rimanere nello scompartimento considerato che a quell'ora il treno era vuoto.

Da quel momento l'uomo aveva incominciato a molestarla: richiedeva di voler vedere la mia cintura dei pantaloni, toccandomi all'altezza della vita, dopo di che continuava a toccarmi sulla gamba e vicino alla caviglia dicendomi di stendere le gambe sulle poltroncine ... la cosa è degenerata allorchè lo stesso continuava con la sua azione molestatrice, chiudendo la porta dello scomparto ove eravamo seduti assicurandosi con la chiave di averla chiusa in modo regolare.

Allorchè, se dapprima in modo educato rivolgendomi al controllore chiedevo allo stesso di farla finita con quel tipo di comportamento, dappoi iniziavo ad urlare perchè intimorita del fatto che lo stesso aveva chiuso la porta dello scompartimento. In questa maniera il controllore ravvedendosi di quanto aveva fatto apriva la porta e se ne andava. La ragazza aveva fornito una descrizione fisica del controllore ed al fine di identificarlo aveva fatto notare ai militari che sul biglietto obliterato era rimasto impresso il numero della pinza obliteratrice usata dall'uomo.

L'utilizzatore della pinza veniva individuato dagli inquirenti nell'attuale imputato che effettivamente il giorno in questione era in servizio sul treno su cui viaggiava la donna ed aveva in uso la pinza obliteratrice n. 269 impressa sul biglietto, oggetto di sequestro penale, pinza che il B. aveva in uso da circa 15 anni.

Il 26.2.2002 la parte offesa presa visione di un fascicolo fotografico contenente 6 foto riconosceva nella foto effigiarne l'attuale imputato al 90% l'autore dei fatti denunciati "Sulla base di tali elementi il Tribunale aveva ritenuto che il comportamento oggettivo dell'imputato integrasse il reato di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, mentre la Corte d'Appello, investita dal gravame dell'imputato che aveva sollevato dei dubbi in ordine alla sua identificazione, pur ritenendo certa la identificazione dell'autore del fatto, aveva qualificato la condotta come molestia non apparendo chiaro se la chiusura a chiave della porta dello scompartimento potesse assumere obiettivamente la valenza di una minaccia per costringere la ragazza a subire atti sessuali contro la propria volontà o, non piuttosto, un comportamento, per quanto rozzo, meramente allusivo alla possibilità - se la persona offesa fosse stata consenziente - ad avere qualche momento di intimità.

Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell'imputato lamentando violazione della legge penale nonchè illogicità della motivazione della sentenza impugnata per difetto degli elementi costitutivi del reato di molestie, mancando l'uso del mezzo telefonico ed un motivo biasimevole della condotta, nonchè la petulanza che richiedeva un comportamento ripetitivo ed insistente, anche sotto il profilo psicologico, potendosi al contrario ipotizzare che la persona offesa avesse gradito il corteggiamento dell'imputato almeno prima della chiusura dello scompartimento. Ha quindi chiesto l'annullamento della sentenza impugnata ed, in una prospettiva subordinata, qualora dovesse essere respinto il ricorso dell'imputato, l'annullamento con rinvio onde consentire all'imputato il perfezionamento della domanda di oblazione che aveva presentato alla Corte di Appello in data 23 maggio 2005, dopo la pronuncia della sentenza di appello, unitamente alla richiesta di riammissione in termini cui si era opposto il P.G. e che pertanto era stata respinta dalla Corte di Appello. Nel corso della odierna discussione il difensore dell'imputato ha poi chiesto, in via ulteriormente subordinata l'annullamento senza rinvio per sopravvenuta prescrizione. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per la inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere, come tale, dichiarato inammissibile a norma  dell'art. 606 c.p.p., comma 3.

Appare in primo luogo totalmente pretestuosa la tesi del ricorrente, esposta nel primo motivo di ricorso, per cui dovrebbe escludersi addirittura il fatto di molestie per mancanza dell'uso del telefono nonchè della petulanza che, per integrare il reato di cui all'art. 660 c.p., dovrebbe essere ripetitiva ed insistente e comunque l'elemento psicologico del reato, essendo prospettabile che la persona offesa avesse gradito il comportamento dell'imputato fino alla chiusura della porta dello scompartimento.

Il fatto di molestie non richiede infatti l'uso del telefono, essendo la forma telefonica solo una delle modalità ipotizzate dal legislatore in aggiunta alla normale consumazione del fatto in luogo pubblico o aperto al pubblico (come nel caso in esame in cui il fatto è avvenuto su un treno), così come non richiede un atteggiamento necessariamente insistente o ripetitivo (richiesto invece in alcune forme di molestia ad esempio telefonica in cui la petulanza è appunto integrata dalla insistenza e cioè dalla ripetitività del comportamento), essendo sufficiente un qualsiasi biasimevole motivo dell'azione (come si desume dall'uso della congiunzione disgiuntiva "o" da parte del legislatore) nella specie integrato, come rilevato dalla Corte di merito, da un approccio rozzo e volgare diretto ad avere una intimità di tipo sessuale con la giovane vittima, fra l'altro odioso per la prevaricazione cui era stata sottoposta la ragazza da parte di un soggetto che, nella sua qualità di capotreno, avrebbe dovuto svolgere funzioni di garanzia per i passeggeri mentre invece aveva approfittato della sua funzione per tentare l'approccio sessuale proprio con una sconosciuta passeggera.

L'elemento psicologico, trattandosi oltretutto di una contravvenzione per cui sarebbe sufficiente la colpa, è poi comunque integrato nel caso in esame dal dolo e cioè dalla volontarietà della azione e dalla direzione della volontà verso il fine specifico di interferire quanto meno "inopportunamente", nella ipotesi veramente benevola seguita dalla Corte di merito, nell'altrui sfera di libertà, non essendo prospettabile che il capotreno potesse iniziare un corteggiamento con una giovane passeggera nel convincimento che potesse gradire i toccamenti di un uomo più che maturo ed oltretutto sconosciuto. D'altronde, in presenza di un modo di agire indiscreto ed impertinente, che per ciò stesso interferisce sgradevolmente nella sfera di libertà, nella specie sessuale, di altra persona, assoggettata a toccamenti in quasi tutto il corpo, è sufficiente, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 660 c.p., la coscienza e la volontà di tale condotta, nulla rilevando i motivi dai quali il soggetto sia stato spinto ad agire, non avendo essi, proprio in quanto motivi, incidenza alcuna sulla finalità penalmente rilevante dell'azione, in relazione alla quale si configura il dolo (v. Cass. sez. 1^ n. 7051 del 1998, Rv. 210724).

E' peti, infondato anche il secondo motivo con cui la difesa dell'imputato chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata al fine di consentire all'imputato di accedere alla oblazione facoltativa ai sensi dell'art. 162 bis c.p.p..

Qualora il giudice abbia dato al fatto con la sentenza una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione, rendendo oblabile il reato inizialmente contestato, non ha infatti l'obbligo di rimettere in termini d'ufficio l'imputato, al di fuori oltretutto di qualsiasi contraddittorio, imprescindibile qualora si tratti di oblazione cd. facoltativa o discrezionale.

Spetta invece alla parte formulare con la impugnazione la questione della diversa definizione giuridica del fatto con contestuale istanza di oblazione, così da aprire il contraddittorio sul punto, mentre invece nel caso in esame risulta che la istanza sia stata presentata soltanto dopo la pronuncia della sentenza di appello, avendo la parte concluso nel giudizio di appello soltanto per il proscioglimento nel merito (v. Cass. Sez. Un. n. 7645 del 2006 nel caso Aulitano).

La inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi addotti, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma 

dell'art. 129 c.p.p. ed in particolare, nella specie, la prescrizione del reato maturata, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 5, artt. 159 e 160 c.p., tenuto conto degli atti interruttivi, al 6.9.2005 (quattro anni e sei mesi dal 6.3.2001) e quindi successivamente alla sentenza impugnata.

Invero proprio la natura originaria della causa di inammissibilità del ricorso impedisce che lo stesso produca quegli effetti introduttivi del giudizio cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità (cfr. Cass. S.U. 30.6.1999, Piepoli).

Alla inammissibilità del ricorso devono seguire per legge le ulteriori statuizioni indicate nel dispositivo (

art. 616 c.p.p.). Si ritiene di fissare la somma che l'imputato dovrà versare alla Cassa delle Ammende nella misura di 1.000,00 Euro in considerazione della pretestuosità del ricorso diretto a finalità puramente dilatorie.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2006

Depositato in Cancelleria il 04 luglio 2006