Cass. pen. sez. I, 24.03.2005, n. 19718



Sentenza

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SOSSI Mario - Presidente

Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere

Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere

Dott. GIRONI Emilio - Consigliere

Dott. PEPINO Livio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE di BRESCIA;

nei confronti di:

1)

(omissis) N. IL (omissis) e R. di Lombardia;

avverso SENTENZA del 30/09/2004 TRIBUNALE di BRESCIA;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. FAZZIOLI EDOARDO;

sentito il PG nella persona del Dr. Francesco Renato Iacoviello che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Sentito il difensore avv. MAURA Tommaso in motivazione dell'avv. Mario Palmieri.

Svolgimento del processo – motivi della decisone

Con sentenza del 30 settembre 2004

(omissis) tratto a giudizio davanti al tribunale di Brescia per rispondere della imputazione di molestie così rubricata: "per avere recato per biasimevole motivo, moleste alla p.o., tra l'estate 2001 ed il marzo 2002, consistenti nell'aspettarla davanti alla sua abitazione, seguendola per strada fino al luogo di lavoro, fermandola per strada e facendole ripetute proposte sentimentali nonostante gli fosse stato più volte richiesto di smetterla", veniva assolto perchè il fatto non sussiste.

Osservava il tribunale che "gli episodi di "disturbo" erano stati due e connotati da condotte di ossessivo corteggiamento non incutenti timore, ma solo fastidio ed irritazione. Pertanto difettano gli estremi del reato contestato, rinvenienti - vale rimarcare - da condotte di una qualche abitualità e seriamente attentanti al bene della integrità morale delle persone".

Ha proposto ricorso per Cassazione il procuratore generale presso la corte d'appello di Genova, denunziando la violazione della legge penale, in quanto il reato di cui

all'art. 660 c.p. non sarebbe un reato abituale e non richiederebbe, come erroneamente ritenuto da tribunale, alcun attentato alla integrità morale o alla libertà morale della persona, che disciplinano, invece, i delitti di violenza privata e di minaccia.

Il ricorso è fondato.

Il reato di molestia o disturbo alle persone non è un reato abituale (cfr., cass. 30 giugno 1992, n. 11336, RV. 1925652) e, quindi, si consuma, ricorrendone gli estremi anche con una sola azione (per esempio un sola telefonata molesta fatta per biasimevole motivo). Di conseguenza, se le condotte moleste sono ripetute nel tempo con soluzione di continuità tra i diversi episodi può ricorrono una molteplicità di reati eventualmente uniti dal medesimo disegno criminoso.

L'elemento materiale della "molestia" è poi costituito da "tutto ciò che viene ad alterare dolorosamente, fastidiosamente ed importunamente, in modo immeditato o mediato, lo stato psichico di una persona", sia che tale azione sia durevole o momentanea, per cui non è affatto necessario, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, un serio attentato al bene dell'integrità morale.

Il reato in esame è, infatti, un reato contro l'ordine pubblico (cfr., cass. 9 maggio 2002, n. 25045, RV. 22705), che attraverso la tutela della quiete individuale vuole impedire il suscitarsi di reazioni violente che possano pregiudicare l'ordine pubblico da parte di persone ingiustamente molestate o disturbate. La sussistenza della molestia o del disturbo debbono essere, quindi, valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune, per cui nell'ipotesi che il fatto sia oggettivamente molesto o disturbatore è irrilevante che la persona offesa non abbia risentito alcun fastidio (cfr., cass. 23 maggio 1984, n. 7355, RV. 165668).

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio allo stesso tribunale in diversa composizione.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribuni di Brescia.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2005

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2005