Cass. pen. sez-I, 22.04.2004, n.23521



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente -
Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere -
Dott. RIGGIO Gianfranco - Consigliere -
Dott. GRANERO Francantonio - Consigliere -
Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (omissis) N. IL (omissis)
avverso la sentenza del 15/03/2003 TRIBUNALE di VITERBO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DUBOLINO PIETRO;
Sentiti il P.G., Dott. Galasso A., il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, ed il difensore del ricorrente, Avv. Maggi A., il quale ha insistito per l'accoglimento.

Svolgimento del processo

LA CORTE OSSERVA
Con l'impugnata sentenza il tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, condanno' (omissis) alla pena di euro trecento di ammenda in quanto ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 660
c.p. per avere, secondo quanto si legge nel capo d'imputazione, "per petulanza e biasimevole motivo, con mezzo del telefono, recato molestia a (omissis) effettuando una comunicazione a contenuto offensivo e minaccioso in ora notturna".
Il giudizio di responsabilita' trovava giustificazione, ad avviso del tribunale, nella deposizione della persona offesa, coniuge dell'imputata, da cui emergeva - si afferma in sentenza - che "la prevenuta in piu' occasioni ebbe modo di perseguitare il (omissis) stesso con telefonate alle ore notturne piu' impensate. L'ultimo episodio, quello prima della denuncia, fu una telefonata notturna con cui l'imputata, con il futile pretesto della restituzione di una tuta, offese nuovamente il marito con parole del tenore 'stronzo' etc". Appariva quindi evidente - concludeva il tribunale - "il biasimevole motivo dovuto ad acredine dell'imputata verso l'ex coniuge".
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, con atto a propria firma, l'imputata, denunciando:
1) "erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).Violazione dell'art. 660 c.p.", sull'assunto che, nella specie, sarebbero stati configurabili soltanto i reati di ingiuria o minaccia a mezzo del telefono, divenuti improcedibili per intervenuta remissione di querela, in assenza dell'elemento qualificante del reato di molestie, consistente nella petulanza o nel biasimevole motivo, posto che, nella specie, si era trattato di una sola telefonata, effettuata intorno alle ore 23.00, durata pochissimi secondi e motivata dall'intento di chiedere al (omissis) la restituzione della tuta della figlia; il che avrebbe dovuto escludere anche la sussistenza del necessario dolo specifico;
2) "mancanza e manifesta illogicita' della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Violazione dell'art. 192, comma 1, c.p.p., e dell'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e)", sull'assunto, nell'essenziale, che il tribunale, nel motivare il proprio convincimento, avrebbe fatto "generico riferimento a fatti precedenti non accertati in alcun procedimento penale, nemmeno in quello de quo", ed avrebbe altresi' omesso "qualsiasi riferimento all'elemento soggettivo del reato".
Con motivi aggiunti, a firma dell'avv. Andrea Maggi, difensore di fiducia dell'imputata, e' stata poi denunciata:
1) "inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) - Violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.", sostenendosi che il tribunale, facendo riferimento alle "piu' occasioni" in cui l'imputata avrebbe "perseguitato il marito con telefonate in ore notturne", avrebbe indebitamente "statuito su fatti diversi e pregressi rispetto a quello in discussione", costituito dall'unica telefonata menzionata nel capo d'imputazione;
2) "inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) - Violazione dell'art. 497 c.p.p., commi 2 e 3", sull'assunto che la deposizione resa dal Meloni sarebbe stata da considerare nulla in quanto non preceduta, come risultante dal verbale d'udienza, dalla prescritta dichiarazione d'impegno a dire tutta la verita' e a non nascondere . nulla di quanto a conoscenza del teste;
3) "mancanza e manifesta illogicita' della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione al disposto di cui agli artt. 192 e 194 c.p.p." sull'assunto che il tribunale non avrebbe fatto "alcun cenno al criterio di valutazione della prova"; cosa- si sostiene - tanto piu' grave in quanto, nella specie, la prova era costituita dalle dichiarazioni della persona offesa, portatrice, in quanto tale, di interessi antagonistici rispetto a quelli dell'imputato.

Motivi della decisione

Con riguardo al primo motivo del ricorso a firma dell'imputato va anzitutto ricordato che, come questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare (Cass., 1, 30 giugno - 25 novembre 1992 n. 6905, Di Paolo), il reato di cui all'art. 660 c.p. non e' necessariamente abituale, per cui puo' essere realizzato anche con una sola azione di disturbo e di molestia. E non e' sindacabile in questa sede, in quanto basata su motivazione non carente o manifestamente illogica, la valutazione operata dal giudice di merito circa il carattere oggettivamente molesto e disturbante della telefonata effettuata
dall'imputata in ora da ritenersi comunque notturna e senza una valida ragione, tale non potendosi considerare quella costituita dall'asserita necessita' di chiedere la restituzione di una tuta. Il fatto, poi, che in occasione di detta telefonata l'imputata abbia anche proferito ingiurie e minacce ben poteva dar luogo alla configurabilità dei concorrenti reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p., la cui improcedibilità per sopravvenuta remissione di querela non si vede come e perche' dovesse dar luogo anche alla cancellazione del diverso reato contravvenzionale, insensibile, come tale, alla suddetta remissione.
Relativamente al secondo motivo di ricorso, ritiene la Corte sufficiente osservare che esso appare caratterizzato, all'evidenza, da assoluta genericità, oltre che da chiara pretestuosità, specie per quanto riguarda la denunciata carenza di motivazione sull'elemento soggettivo del reato, atteso che questo ben poteva ritenersi insito nella rilevata assenza di una plausibile giustificazione della telefonata incriminata, per cui quest'ultima non poteva che essere dovuta a "petulanza" o altro "biasimevole motivo".
Passando quindi all'esame dei motivi aggiunti a firma del difensore dell'imputata, ritiene la Corte che essi esulino dall'ambito nel quale erano circoscritti i motivi enunciati nell'originario atto d'imputazione e siano, quindi, inammissibili, alla stregua del principio enunciato dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza 25 febbraio - 20 aprile 1998 n. 4683, Bono ed altri.
"Ad abundantiam" puo' comunque aggiungersi che:
- non sussiste la denunciata violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. perche' la condanna appare comunque riferita all'unico episodio indicato nel capo d'imputazione, rispetto al quale i precedenti vengono richiamati soltanto come indicativi di un gia' presente intento "persecutorio" che avrebbe poi avuto la sua decisiva manifestazione (per quanto qui interessa) nell'episodio anzidetto;
- la nullità derivante dall'asserita violazione dell'art. 497, comma 2, c.p.p., non ha carattere assoluto e, pertanto, essa avrebbe dovuto essere eccepita, a pena di decadenza, entro i termini stabiliti dall'art. 182, comma 2, c.p.p.; il che non risulta (ne' si sostiene nei motivi in esame) essere avvenuto;
- non risultano dedotte specifiche ragioni di inattendibilità in ordine al contenuto della dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa, per cui la ritenuta idoneità probatoria di tali dichiarazioni non abbisognava di particolari giustificazioni o spiegazioni.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processo.

Cosi' deciso in Roma, il 22 aprile 2004
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2004