Pret. Milano, 31.01.1997



Massima

Ove sia accertato in fatto che un incaricato del datore di lavoro, nell'esercizio delle proprie mansioni, abbia tenuto per petulanza, nei confronti di una dipendente, reiterati e intenzionali comportamento sessualmente molesti, in luogo di lavoro aperto al pubblico, e che il datore di lavoro, posto a conoscenza della condotta del preposto, non abbia adottato alcun provvedimento a tutela dell'integrità psicofisica e morale della dipendente, va ritenuta la responsabilità del preposto, sia penale per il reato di cui all'art. 660 c.p., sia civile ai sensi dell'art.2043 c.c., nonché la responsabilità civile del datore di lavoro, sia per illecito extracontrattuale ex art.2049 c.c., sia per illecito contrattuale per violazione dell'art.2087 c.c.. Ove dall'anzi descritto comportamento del preposto sia derivata casualmente alla dipendente una temporanea patologia psichica, consistita in disturbi dell'adattamento, sia il preposto che il datore di lavoro sono entrambi tenuti al risarcimento, tanto del danno biologico temporaneo quanto del danno morale, in via fra loro solidale anche in relazione al danno morale, per il combinato disposto degli articoli 2049 c.c. e 185 c.p.