Marco Bona, Stalking



«STALKING»: UNA NUOVA CORNICE GIURIDICA PER I MOLESTATORI INSISTENTI

«STALKING»: UNA NUOVA CORNICE GIURIDICA PER I MOLESTATORI INSISTENTI

Bona Marco

FONTE
Danno e Resp., 2004, 11, 1049


Il termine «stalking», che in altre giurisdizioni ha già fatto il suo ingresso tra le categorie utilizzate a livello normativo e giurisprudenziale, indica un insieme di condotte tipiche del molestatore insistente.
In questo contributo si presenta lo «stalking» quale strumento per la comprensione di fenomeni sociali utile anche in seno alla responsabilità civile, con lo sguardo rivolto ad alcune recenti decisioni che ben rappresentano la reazione attuale delle Corti ai danni posti in essere dagli «stalker».
Si esamina, inoltre, un recente progetto di legge che, traendo ispirazione dell'idea dello «stalking», ha proposto l'introduzione di una nuova fattispecie di reato finalizzata a sanzionare le molestie insistenti.
«Stalking»: il fenomeno
Negli ultimi anni abbiamo assistito all'ingresso in campo di una serie di etichette, inequivocabilmente di derivazione anglo-americana, che hanno avuto largo successo anche in ambito giuridico, con non pochi apprezzabili benefici sia a livello di maggiore comprensione di determinati fenomeni sociali tipici dei nostri tempi e sia, di conseguenza, in termini di reazioni dell'ordinamento anche attraverso interessanti e proficue riletture degli schemi tradizionali di tutela sia preventiva che sanzionatoria/riparatoria. Tra le varie etichette in questione il «mobbing», il «bossing» ed il «bullying» sono sicuramente quelle che hanno fatto più strada (1), non solo nelle Corti attraverso i regimi della responsabilità penale e della responsabilità civile, ma anche a livello di nuove garanzie sociali (come, ad esempio, dimostra la recente apertura del sistema INAIL al fenomeno del «mobbing») e sul piano dell'apprestamento di mezzi di prevenzione (centri d'ascolto, codici etici, procedure aziendali contro le molestie, ecc.). Ora si prospetta agli interpreti una nuova etichetta, quella dello «stalking», tra l'altro recentemente richiamata all'attenzione dalla Proposta di legge n. 4891/2004 C. che, proprio traendo spunto da tale figura, ha proposto l'introduzione di una fattispecie inedita di reato, il «delitto di molestia insistente».
Nel lessico inglese il termine «stalking» indica, con riferimento all'attività venatoria, il «pedinamento», il «fare la posta», l'«inseguimento furtivo» della preda. In quest'ambito lo «stalker» è il «cacciatore in agguato». Siffatto termine è stato poi ripreso nel campo della psicologia e della psichiatria - e, ancor prima, nei Paesi di common law, dal diritto - con riferimento all'atteggiamento di chi attua «una serie di comportamenti ripetuti e intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una «vittima» che è infastidita e preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi» (2).
Lo «stalker» è, molto succintamente, il molestatore insistente ed assillante che, con le sue molestie, invade la vita di una persona (3). Esempi di «stalking» se ne possono citare davvero numerosi e sono invero molteplici i settori in cui l'etichetta in questione ha trovato terreno fertile. L'innamorato respinto, il quale non si arrende al rifiuto e reagisce con insistenza per conseguire a tutti i costi l'amore negato, è uno dei casi davvero classici di «stalking» (4): questo tipo di «stalking» può annoverare diversi scenari, ivi compresi quelli della famiglia (il coniuge tradito) e del mondo del lavoro nel caso in cui l'insuccesso affettivo s'inserisca in un rapporto tra due colleghi, oppure tra un superiore e una persona a lui sottoposta. La delusione sentimentale può altresì scatenare forme di violenza (5) e, ad ogni modo, la ricerca della vendetta: ad esempio, l'ex fidanzato, che si scatena in quotidiane operazioni di disturbo del suo precedente partner, rientra appieno nella categoria in questione (6). L'amore o, se si vuole, il desiderio (represso) per un'altra persona non è comunque l'unico fattore scatenante lo «stalking»: un amico respinto, l'erotomane, un collega di lavoro arginato rispetto al gruppo, un dipendente licenziato, un cliente insoddisfatto o che trova nel professionista l'unico suo referente umano, un paziente che ha da ridire con il suo medico, un creditore che necessita di riscuotere il proprio debito, un condomino sul piede di guerra, un vicino di casa esasperato, l'elettore deluso dal politico, sono tutti potenziali «stalker». Piuttosto classico è altresì il caso del fan che trasforma in ossessione la sua ammirazione per una celebrità del cinema o per un divo del rock, e qui di esempi noti se ne contano davvero tanti. Basti pensare alla tragica fine di John Lennon per mettere subito a fuoco la fattispecie. Negli Stati Uniti piuttosto note sono le vicende nelle quali incapparono per loro sventura quali vittime David Letterman, l'attrice Rebecca Schaeffer (assassinata dal suo «stalker»), Jodi Foster e Madonna. A questo proposito, inoltre, tutti ricorderanno il film «The Fan» con Robert De Niro: una vera e propria trasposizione cinematografica di un caso di «stalking».
Lo «stalking» è dunque un fenomeno in primis di tipo relazionale, che trova la sua genesi in equivoci ed incomprensioni nei rapporti interpersonali, nella non accettazione dell'atteggiamento altrui, in difetti di comunicazione oppure nella volontà pervicace del molestatore d'imporre sull'altra persona un particolare tipo di rapporto che, per chi ne è destinatario, risulta essere altamente indesiderato. Nella maggior parte dei casi lo «stalker» ha rapporti più o meno intensi di conoscenza con la sua vittima (un partner oppure un amico, un vicino di casa o un collega di lavoro), ma vi sono anche delle ipotesi in cui il molestatore insistente si accanisce contro soggetti con i quali non aveva mai intrattenuto rapporti pregressi di conoscenza.
Indubbiamente lo «stalking» è altresì un fenomeno sempre più interconnesso a strumenti di comunicazione che sono tipici dei nostri tempi: oggi, infatti, esso trova nuovi sfoghi ed appigli nella moderna tecnologia delle e-mail e degli «sms», i veri motori propulsori delle relazioni odierne. In questi casi l'etichetta è quella dello «cyberstalking» (o «electronic stalking») (7), che, per l'appunto, si riferisce alle molestie insistenti che si realizzano via posta elettronica o nell'ambito di live chat e di newsgroups.
Dal punto di vista del modello comportamentale che contraddistingue questo fenomeno, le caratteristiche principali sono quelle dell'insistenza dello «stalker» e della ripetizione nel tempo delle sue intrusioni nella sfera personale del destinatario della condotta: lo «stalker» di giorno in giorno «attua comportamenti aventi i caratteri della sorveglianza e/o comunicazione e/o ricerca di contatto» (8). Il catalogo dei comportamenti tipici tenuti dallo «stalker» è davvero ampio: esso talvolta annovera una serie di attività in sé, singolarmente considerate, innocue, normali e socialmente accettate (l'invio di un mazzo di rose oppure l'inoltro di una lettera appassionata o di e-mail o di un «sms» che denotano, in qualche modo, un gesto o una richiesta d'attenzione), ma che fuoriescono dalla normalità e divengono antisociali il momento in cui rientrano nella cornice dello «stalking» e, in quanto ripetute, insistenti ed intrusive, sono percepite negativamente dalla vittima, come una violazione della sua sfera privata. Spesso, però, questi atti contraddistinguono solo la fase precedente allo «stalking» vero e proprio, che si attua invece attraverso condotte, dirette (in termini di vicinanza fisica) e indirette (telefonate, lettere, e-mail, «sms», danneggiamenti), decisamente più gravi, invasive, aggressive e lesive della sfera personale. Tra queste sia sufficiente ricordare le seguenti: pedinamenti ed appostamenti nei pressi dell'abitazione della vittima o degli ambienti abitualmente frequentati da quest'ultima; apparizioni apparentemente casuali ed incontri (ovviamente senza invito); forme di comunicazioni particolarmente ossessive ed intrusive (ivi comprese lettere anonime) o costellate da riferimenti sessuali o autentiche oscenità; telefonate spesso offensive e minacciose (anche a tarda notte, sia sul telefono di casa e sia sul cellulare); danneggiamenti ed atti vandalici a beni materiali (scritte sui muri, sfregi alle porte o sulle autovetture, colle inserite nelle toppe delle porte, materiali organici nelle buche delle lettere, ecc.); attacchi ai mezzi di comunicazione utilizzati dalla vittima (sottrazione o danneggiamento della posta, cancellazione delle e-mail, invio di virus informatici, interferenze in sede di chat); abbandono di animali morti sull'uscio di casa del molestato; violenze su animali domestici posseduti dalla vittima; minacce (non solo alla vittima, ma anche a persone vicine a queste); infine, violenze (anche sessuali) aggressioni fisiche, maltrattamenti e lesioni, talvolta anche dagli esiti mortali. Altro elemento essenziale, che caratterizza lo «stalking», è che le iniziative intraprese dallo «stalker», qualsiasi esse siano, risultano perlomeno indesiderate per chi le subisce: la vittima è assediata dal suo assillante molestatore nella sua vita quotidiana, sia extralavorativa che lavorativa. La vittima non vuole e non ricerca in alcun modo ciò che lo «stalker» attua nei suoi confronti. L'intrusione nella sfera privata del molestato può assumere - e nella maggior parte dei casi è proprio così - un peso tale da fargli sviluppare anche sensi di paura, timori, angosce, disagi emotivi, l'idea di una costante minaccia costituita da un individuo che proprio non si arrende e al quale è difficile sottrarsi.
Lo «stalking» costituisce indubbiamente un fenomeno sociale molto rilevante e, purtroppo, in crescente emersione: lo dimostrano le pagine di cronaca dei quotidiani, lo mettono in luce le statistiche, lo registrano i nostri vissuti quotidiani, in definitiva la percezione di una società in crisi in cui le persone sono deboli nella gestione delle dinamiche relazionali. Le ricerche in Italia su questo fenomeno si sono avviate solo in tempi piuttosto recenti, ma in altre realtà i dati alla mano poggiano già su analisi condotte da tempo. Ad esempio, in USA un recente studio promosso dal National Institute of Justice ha posto in luce come ogni anno vi siano almeno 1,4 milioni di americani che sono vittime di «stalking». Inoltre, secondo questa fonte, nell'arco della loro vita l'8% delle donne americane ed il 2% degli uomini saranno colpiti da questo fenomeno (9). Intuitive sono le conseguenze negative sull'esistenza delle vittime così come lapalissiano è l'enorme impatto sociale: lo «stalking» è tale da generare danni alla salute, in taluni casi lo «stalker» giunge a sopprimere la sua preda (o la vittima si suicida), nella maggior parte delle situazioni i disagi psichici ed esistenziali dei danneggiati producono rilevanti ripercussioni sulle famiglie e, più in generale, sulle persone che sono vicine alla vittima (una vittima di «stalking», in tutta evidenza, ben difficilmente riesce ad offrire il meglio di se stessa sul lavoro; si trova in crisi nella gestione dei suoi rapporti famigliari e d'amicizia; è costretta a cambiare numeri di telefono e indirizzi di posta elettronica). A ciò si aggiungano i costi del fenomeno non solo a livello d'assistenza sanitaria richiesta dalle vittime dello «stalking», ma anche in termini sia di investimenti necessari ad attuare efficaci misure di prevenzione e sia di inefficienza dei danneggiati nei diversi contesti in cui operano. Insomma, è un fenomeno che merita debita attenzione da parte di tutti i settori che possono sviluppare strumenti di tutela delle vittime, ivi compreso quello degli operatori giuridici, in primis avvocati e magistrati.

«Stalking» e diritto: premessa
La succinta introduzione al fenomeno dello «stalking» or ora svolta pone sul tavolo una serie di questioni certamente non nuove né sconosciute ai giuristi: la complessa realtà fenomenologica delle molestie non è certo una novità, né i molestatori insistenti sono degli estranei per il diritto. In realtà, verrebbe da osservare, non vi è proprio nulla di nuovo sotto il sole. Sostanzialmente queste medesime osservazioni ebbero a passare per la mente di molti interpreti, quando alle soglie del 2000 si cominciò a sponsorizzare in ambito giuridico il «mobbing» (10), sennonché, dopo un'esperienza sia pur ancora racchiusa in un circoscritto numero d'anni, si può oggi ben affermare che il «mobbing» ha costituito e risulta per il diritto un quid pluris, un valore aggiunto, un utile strumento in più, un modo nuovo di leggere fenomeni già sotto gli occhi di tutti e che pure, perlomeno non sempre, trovavano la veste giuridica che ne racchiudesse, efficacemente, tutti gli aspetti. L'etichetta «mobbing» è stata indubbiamente una chiave di svolta, uno stimolo per affinare gli strumenti offerti dalla responsabilità penale e civile, e, soprattutto sul primo versante, per mettere a fuoco alcuni vuoti di tutela (11), come del resto stanno a dimostrare alcuni progetti di legge pendenti in Parlamento. Sotto questi profili, lo «stalking» potrebbe, come si verrà a delineare oltre, condividere invero le stesse sorti del «mobbing». Come quest'ultima etichetta, lo «stalking» potrebbe non solo condurre a nuove riflessioni sugli strumenti attualmente esistenti e disponibili sul piano del diritto, ma altresì avviare una serie di reazioni a catena: molte vittime, richiamate da un termine sicuramente ad alto potenziale mediatico (12), potrebbero essere incentivate a cercare e pretendere ascolto, tutela e giustizia; ciò, verosimilmente, potrebbe indurre una più intensa attenzione delle istituzioni nazionali e locali, spingendole a strutturarsi per una maggiore e più efficace prevenzione del fenomeno.
Lo scopo ultimo dovrebbe essere appunto quello di prevenire le conseguenze dannose dello «stalking», piuttosto che intervenire a danno fatto. Indubbiamente, lo «stalking» trova terreno fertile, laddove le potenziali vittime non dispongono di informazioni e di istruzioni su come contrastare eventuali attacchi degli «stalker», oppure, a «stalking» iniziato, non trovano né centri di assistenza specializzati, né tanto meno - ciò che più conta - forze di polizia preparate a gestire certe situazioni con tempestività ed efficacia. Pare proprio indubbio come le nostre forze di pubblica sicurezza difettino d'organizzazione e di preparazione per fronteggiare fenomeni di questo tipo. Tuttavia, a ben osservare, mancano a monte strumenti giuridici di tutela per inibire lo «stalker» dalla prosecuzione della sua condotta, ivi compresa un sistema di giustizia più tempestivo nel fornire le risposte necessarie.
Il giurista, dunque, si trova dinanzi ad una realtà che può certo offrire molti spunti di riflessione, e l'ingresso in campo dell'etichetta «stalking» pare indubbiamente destinato a creare nuovi stimoli per mettere mano al quadro oggi esistente.

«Stalking» e diritto: l'esperienza dei Paesi di Common Law («a person must not stalk another person»)
L'etichetta «stalking» in altre esperienze giuridiche da tempo alberga in leggi e sentenze, diversamente dal «mobbing» che per tutti gli ordinamenti ha costituito un'autentica novità terminologica. Senza voler qui svolgere un'analisi di tipo comparatistico, a questo proposito sia sufficiente ricordare che da anni lo «stalking», quale fattispecie giuridica, è oggetto di interessanti interventi normativi. In Australia, ad esempio, il Criminal Code Act 1899 dello Stato del Queensland, tuttora in vigore, contempla (s359A) un reato ad hoc per sanzionare penalmente lo «stalker», ponendo quali requisiti essenziali della fattispecie i seguenti: - che l'autore dello «stalking» abbia posto in essere una condotta direzionata contro la sua vittima, conscia di essere tale, in almeno due circostanze tra loro separate; - che la condotta sia tale da indurre una persona ragionevole, nella situazione in cui si è venuta a trovare la vittima, a credere di star per subire un'offesa illecita contro la sua persona o dei suoi beni, oppure contro persone o cose per le quali è ragionevole ritenere che la vittima abbia a preoccuparsi seriamente. Tra le condotte elencate da suddetto provvedimento quali costituenti lo «stalking»-offesa penalmente rilevante rientrano le seguenti: 1) pedinamento, appostamento, sorveglianza o approccio diretto; 2) contatti telefonici o altre tipologie di comunicazioni; 3) appostamento, sorveglianza, approccio diretto o ingresso in un posto dove la vittima vive, lavora o si trova in visita; 4) interferenze con i beni di proprietà o in possesso della persona molestata; 5) lasciare materiale offensivo dove può essere reperito dalla vittima, oppure consegnarlo o portarlo a sua conoscenza; 6) portare alla vittima materiale offensivo, direttamente o indirettamente; 7) molestie, intimidazioni o maltrattamenti; 8) atti illeciti contro la persona o i suoi beni. Il principio «a person must not stalk another person» è, inoltre, affermato, sostanzialmente con disposizioni coincidenti con quella dello Stato di Queensland, in tutti gli altri Stati australiani e nei principali Territori: si citano qui la Section 19AA del Criminal Law Consolidation Act 1935 del South Australia, la Section 21A del Crimes Act 1958, la Section 189 del Criminal Code Act 1997 del Northern Territory, la Section 562AB del Crimes Act 1900 del New South Wales e la Section 34A del Crimes Act 1900 dell'Australian Capital Territory (13).
A loro volta gli Stati Uniti, sia a livello federale che statale, offrono una vasta gamma di provvedimenti che minuziosamente disciplinano la fattispecie del reato di «stalking», considerato altresì quale illecito penale federale anche con riferimento allo «cyberstalking» (cfr. 18 U.S.C. § 2261A) (14). In seno alla responsabilità civile lo «stalking», spesso indicato con il più generico ed omnicomprensivo termine «harassment», viene inquadrato alternativamente o come tort da ~Invasion of Privacy» oppure come tort da «Intentional or Reckless Infliction of Emotional Distress».
Per quanto concerne il Regno Unito occorre sicuramente segnalare in questa sede il Protection from Harassment Act 1997, anche noto come lo «Stalker's Act». In questo statute si prevedono due tipi di azioni, una penale, l'altra civile per il risarcimento dei danni (è espressamente prevista anche la risarcibilità degli stati di ansia). La fattispecie di molestie delineata da questa norma non è molto dissimile dagli interventi statunitensi: rispetto al modello australiano, il termine assunto a riferimento è quello dell'«harassment», comprensivo d'ogni tipo di molestia e, dunque, non circoscritto allo «stalking». Non è richiesta la prova dell'intenzionalità della condotta, ma per il danneggiato è sufficiente dimostrare che, secondo il modello della «reasonable person», l'autore delle molestie poteva rendersi conto di stare attuando un comportamento tale da costituire una forma di «harassment».
In Irlanda le diverse condotte tipiche dello «stalking» sono considerate, sempre in primis in ambito penale, dal Non-Fatal Offences Against the Person Act 1997, ancorché nuovamente non vi sia espresso riferimento all'etichetta in questione, bensì a quella dell'«harassment».

«Stalking» e diritto italiano: la Proposta di legge n. 4891/2004 ed il «delitto di molestia insistente»
Il quadro, che ci offrono i Paesi di Common Law, denota come lo «stalking» sia considerato una condotta di tale gravità da costituire prima di tutto una fattispecie di reato, meritevole di interventi specifici, particolarmente dettagliati e non poco severi (tenuto peraltro conto che la pena della detenzione è in dette realtà effettiva).
Nel diritto penale italiano una percezione a tutto tondo dello «stalking», così come emerge dalle legislazioni australiane e anglo-americane, pare invero difettare. Ciò è almeno quanto si sostiene a chiare lettere nella relazione introduttiva alla Proposta di legge n. 4891 C., presentata l'8 aprile 2004 su iniziativa del deputato Cossa e contenente «Disposizioni per la tutela dalle molestie insistenti». Sul punto specifico la Proposta di legge, nel proporre l'inserimento di una fattispecie inedita d'illecito penale (il «delitto di molestia insistente»), osserva quanto segue: «La fattispecie di cui alla presente proposta di legge non è prevista nell'ordinamento giuridico italiano. Essa riceve tutela solo quando presenta aspetti coincidenti con le ipotesi di reato della molestia o della violenza privata. Essa si distingue dalla semplice molestia o disturbo delle persone, prevista dall'articolo 660 del nostro codice penale, che recita: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire 1 milione». È, infatti, qualcosa di molto di più grave, in quanto non si conclude in un solo evento di evidente gravità, ma incide in modo continuato e subdolo nell'esistenza della persona con eventi di per sé non evidentemente gravi ma che con il protrarsi della condotta creano destabilizzazione psicologia ben maggiore della molestia». Peraltro, la molestia insistente è diversa nella struttura e ha caratteristiche di minore gravità rispetto alla violenza privata, reato previsto dall'articolo 610 del codice penale, che recita: «Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualcosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». Il molestatore ossessivo impone infatti di fare, tollerare od omettere delle condotte che un soggetto non avrebbe spontaneamente svolto senza l'uso della minaccia o della violenza evidente. Si tratta in qualche modo, per mantenersi all'interno delle due fattispecie previste dalla legislazione italiana, di un caso intermedio, al quale può essere riconosciuta, anche sotto il profilo delle sanzioni, una gravità intermedia». Invero, la Proposta di legge n. 4891/2004 C. pare cogliere nel segno, richiamando l'attenzione del Parlamento ad un sostanziale vuoto nel sistema penale odierno, ancorché tutte da verificare rimangono le soluzioni suggerite in ordine alla configurazione del nuovo «delitto di molestia insistente» e alla pena. A questo proposito la Proposta di legge, all'art. 1, così configura la nuova fattispecie: «commette il delitto di molestia insistente chiunque pone in essere un intenzionale, malevolo e persistente comportamento finalizzato a seguire o a molestare un'altra persona con attività che allarmano o suscitano una ragionevole paura o disagio emotivo, che ledono la altrui libertà morale o personale o la salute psico-fisica». Espressamente la Proposta di legge dichiara di essersi ispirata al modello statunitense, ancorché questo si contraddistingua per una maggiore dovizia di dettagli sulle condotte costituenti la fattispecie illecita in considerazione. Nella proposta il reato di molestie insistenti è perseguibile a querela ed è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 10.000 Euro. Tuttavia, se il reato è reiterato o è commesso dopo specifica diffida formale da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, è prevista la procedibilità d'ufficio, con aumento fino ad un terzo della pena prevista.
Lasciando ogni giudizio su questa parte della norma ai penalisti, occorre osservare che la Proposta di legge prevede altresì strumenti di tutela inibitoria di un certo qual interesse: Art. 2: «1. Al fine di tutelare l'incolumità fisica o psicologica o la libertà personale o morale della persona offesa, dei suoi congiunti o di suoi conoscenti, il giudice può prescrivere all'indagato di non avvicinarsi al domicilio o ad altri luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, o al domicilio di parenti, di affini o di conoscenti della stessa. 2. Se la frequentazione dei luoghi di cui al comma 1 è necessaria all'indagato per motivi di lavoro o di cura e in ogni caso quando appare opportuno, il giudice prescrive le relative modalità di frequentazione e può imporre limitazioni»; Art. 3: «1. La persona che si ritiene offesa da condotte che presentano gli elementi del reato di cui all'articolo 1 può presentare all'autorità giudiziaria competente formale richiesta di diffida all'autore delle stesse. 2. Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione del reato, da parte delle persone denunciate per il reato di cui all'articolo 1, l'autorità di pubblica sicurezza, su autorizzazione del pubblico ministero che procede, diffida formalmente l'indagato dal compiere ulteriori atti di molestia insistente. 3. La diffida è notificata all'indagato con le forme di cui agli articoli da 148 a 171 del codice di procedura penale. 4. Se nonostante la diffida formale l'indagato commette nuovi atti di molestia insistente espressamente denunciati all'autorità di pubblica sicurezza, si applicano le misure cautelari di cui all'articolo 2, comma 1».
Il Progetto di legge, infine, all'art. 4 prevede l'istituzione presso il Ministero dell'Interno dell'Osservatorio nazionale sulle problematiche delle molestie insistenti, con compiti di ricerca, promozione di campagne di sensibilizzazione e formazione degli operatori della sicurezza addetti alla ricezione delle querele e alla redazione delle istanze di diffida, nonché la predisposizione presso ogni questura di uno «sportello del cittadino» dedicato alle vittime di molestie insistenti («Ogni sportello deve prevedere, come dotazione organica minima, la presenza di un psicologo, di uno psichiatra e di un assistente sociale»).
Se e quando sarà disponibile una legge specifica sullo «stalking», è ovviamente affidato alle tempistiche, certo non incoraggianti, del nostro Parlamento (sia sufficiente ricordare qui che i progetti e disegni di legge sul «mobbing» giacciono da tempo senza che si sia avviata su di essi alcuna seria riflessione a livello parlamentare). Il sistema penale deve quindi arrangiarsi con le norme esistenti: certo non mancano fattispecie di reato applicabili nei casi di molestie insistenti, ma si tratta di operare partendo da un background di illeciti penali che difettano, almeno sulla carta, di una cornice giuridica in grado di collegarli tra loro in una visione complessiva. Vi è, però, da osservare come le Corti, nel confrontarsi in sede penale con la fattispecie del «mobbing» (anch'essa contraddistinta dall'idea del «legal framework» (15)), siano riuscite a trovare soluzioni che hanno permesso una sostanziale ed efficace ricezione della cornice giuridica offerta da questa figura. A simili impostazioni le Corti potrebbero pervenire anche per lo «stalking».

«Stalking» e responsabilità civile (... a proposito di alcune recenti sentenze)
Nell'ambito della responsabilità civile indubbiamente lo «stalking» trova il suo referente entro l'art. 2043 c.c. e certo, sotto questo profilo, non necessita di interventi legislativi, come del resto già si ebbe occasione di osservare per il «mobbing» (16): la responsabilità civile, invero, già dispone di tutti gli strumenti per compiutamente gestire cornici giuridiche di questo genere. Semmai va osservato ancora una volta come il sistema risarcitorio non possa costituire la soluzione del problema, ma semmai il giusto finale nei casi in cui ogni prevenzione abbia fallito a monte infatti, andrebbero individuati adeguati strumenti di tutela preventiva, e sul punto pare proprio che la Proposta di legge n. 4891/2004 C., nel prevedere il meccanismo della diffida formale dell'autorità di P.S., si sia mossa nella giusta direzione.
Ciò succintamente premesso, l'etichetta «stalking» non ha fatto ancora il suo ingresso ufficiale nelle sentenze delle nostre Corti, ma si possono qui segnalare alcune recenti decisioni che hanno affrontato autentici «stalker», peraltro sanzionandoli con condanne al risarcimento dei danni non meramente simboliche.
Un caso di vero e proprio «stalking» è stato oggetto di una recente pronuncia del Tribunale di Torino (2004) (17). Gli attori, due coniugi che agivano altresì per i danni patiti dai due figli minori, lamentavano di avere subito molestie insistenti da parte di un ex amico di famiglia, il quale, conosciuto nel 1990, era divenuto sempre più invadente al punto da costringerli ad interrompere la frequentazione nel gennaio del 1998. Da quel momento, per oltre sei mesi (ossia sino alle prime iniziative giudiziarie intraprese dalle vittime), la condotta del convenuto era mutata in peggio, concretizzandosi nel compimento di una serie di atti vessatori ed intimidatori a carico degli attori, fino a coinvolgere i figli minori della coppia. In particolare, gli attori accusavano il loro «stalker» di avere attuato vere e proprie aggressioni, compiuto molestie telefoniche anche nelle ore notturne, operato pedinamenti sia a piedi e sia in auto (seguendoli sul posto di lavoro, sotto la loro abitazione ed anche nel percorso verso e dalla scuola dei figli), perpetrato danneggiamenti (ad esempio, iniettando della colla nella serratura della porta d'ingresso della loro abitazione), nonché diffuso notizie ingiuriose e del tutto prive di fondamento (quali addirittura un'asserita relazione sentimentale con la donna della coppia, sino a vantare, senza base alcuna, la paternità di uno dei figli). Il Tribunale di Torino, dopo un'approfondita istruttoria, ha ritenuto indubbiamente responsabile lo «stalker» per «un comportamento illecito idoneo ad integrare gli estremi non solo del reato (accertato in sede penale) di danneggiamento ma anche altri reati quali la minaccia (prevista dall'art. 612 c.p. ...) e la molestia sia attraverso il telefono sia attraverso il campanello della casa (v. art. 659 c.p. ... e art. 660 c.p. ...)», non rilevando peraltro dubbi «in ordine alla volontarietà e consapevolezza» da parte del convenuto «di agire per danneggiare gli attori». Al di là dei profili giuridici, il caso torinese risulta piuttosto interessante, poiché dimostra un dato del fenomeno in oggetto che non sempre è stato posto in debita luce: la vittima dello «stalker» non necessariamente è una singola persona, ma lo «stalking» può colpire più persone, sino a coinvolgere direttamente un intero nucleo famigliare.
Altra sentenza sicuramente degna di menzione in questa sede è quella che è stata resa dal Tribunale di Milano (2001) (18): il convenuto, a seguito della rottura sentimentale con la sua partner, per gelosia o forse passione non sopita, aveva cominciato ad assillare la stessa con continue minacce, anche di morte, attuate di persona, telefonicamente e per citofono. Non pago dei suoi gesti già ampiamente riprovevoli, lo «stalker», stando addosso alla sua vittima per oltre due anni, aveva inoltre preso a offendere la reputazione di questa con i figli della stessa, sino a minacciare con una spranga un amico della molestata, oltre a danneggiare la vettura di quest'ultimo e quella della stessa vittima. Anche in questo caso si è giunti ad una condanna dello «stalker» al risarcimento dei danni subiti dalle due vittime, l'ex fidanzata ed il suo amico.
In breve, le due sentenze citate dimostrano come la responsabilità civile non incontri particolari difficoltà ad occuparsi dello «stalking» (19), esattamente come il regime di responsabilità disciplinato dall'art. 2087 c.c. aveva già tutte le carte in mano per occuparsi del «mobbing» anche prima dell'emersione di questa felice etichetta.
Vi è dunque in seno alla responsabilità civile una qualche specifica utilità nel ricorrere alla figura dello «stalking»? Ovviamente ciò che interessa nell'applicazione di norme generali, qual è l'art. 2043 c.c., sono le condotte concretamente tenute dal responsabile, non già le etichette che possono descriverle, ancorché efficacemente come nel caso di specie. L'art. 2087 c.c., tanto per intenderci, avrebbe ben potuto sanzionare le condotte di «mobbing» anche senza conoscere quest'etichetta. Ciò vale anche per l'art. 2043 c.c. e lo «stalking». Tuttavia, lasciando da parte la sicura efficacia descrittiva dell'etichetta in esame sul piano dell'estetica delle categorie, rimane il fatto che una maggiore consapevolezza e conoscenza del fenomeno qui in considerazione possa certo tornare molto utile per la comprensione delle dinamiche relazionali e dei comportamenti sui quali il magistrato è chiamato ad esprimersi. Gli studi sullo «stalking» offrono una serie di chiavi di lettura inedite e che non possono certo essere trascurate. A ciò si aggiunga che l'idea dello «stalking» quale «ossessivo insieme» (20) di condotte tra loro concatenate e giustificate da una medesima ratio molesta contribuisce non poco, esattamente come il «mobbing», ad apprezzare la condotta illecita nella sua interezza, senza trascurare alcun comportamento che in essa si inserisce. Si tenga altresì in debita considerazione che la cornice in questione può offrire un valido ausilio al magistrato nella valutazione delle prove e degli indizi raccolti in sede di istruttoria: l'applicazione del criterio della verosimiglianza, ad esempio, può in pratica trovare validi supporti nei dati statistici, nelle definizioni e nei cataloghi di comportamenti tipici offerti dagli studi condotti in materia di «stalking». Inoltre, le ricerche effettuate in relazione a questo fenomeno hanno molto da insegnare circa il concreto atteggiarsi dei protagonisti dello «stalking», con importanti riflessi sulla valutazione sia dell'elemento soggettivo dell'autore delle molestie e sia delle reazioni delle vittime. Ad esempio, se vi è un dato che è stato lucidamente posto in luce dagli studi in materia di «stalking», è che la valutazione delle condotte di «stalking» non può prescindere dalla sensibilità della vittima, ossia dai modi che questa ha di percepire le intrusioni di altri nella sua sfera personale. Ciò ovviamente non implica che si debba pervenire ad attribuire un predominio assoluto alle percezioni che la vittima ha delle condotte del suo aggressore: indubbiamente conta prima di tutto l'obiettiva potenzialità e natura molesta delle stesse (unitariamente considerate) e non è certo auspicabile punire il romantico insistente per il semplice fatto che la sua Beatrice, donna ormai moderna, percepisce fiori e poesie come situazioni fastidiose. Tuttavia, è altresì chiaro che s'impone una certa qual attenzione per le reazioni che la vittima sviluppa nei confronti di determinate condotte. C'è chi ha la fortuna di eliminare nel cestino le copiose e-mail e gli «sms» del corteggiatore insistente senza essere sfiorato minimamente dalle eccessive attenzioni del suo ammiratore, e chi invece, superata una certa qual ragionevole soglia, non riesce proprio a passarci sopra, e cioè vi è chi può sentirsi violato nella sua sfera personale e nella sua privacy, magari costruita prevalentemente intorno ad una casella di posta elettronica. Infine, va qui osservato come le risposte allo «stalking» elaborate in altre esperienze giuridiche possano per certo tornare utili anche nel contenzioso nostrano. Soprattutto pare costituire un ottimo modello l'indicazione, contenuta nei vari provvedimenti sopra citati, per cui la valutazione della condotta dello «stalker» e delle reazioni della vittima necessita di rapportarsi al parametro astratto della «persona ragionevole». Altresì interessante e suggestiva è l'idea che le azioni dello «stalker» siano da esaminarsi sotto il profilo dell'intrusione della privacy del destinatario delle stesse. Altro dato degno di rilievo è che nei modelli in questione l'intenzionalità e la consapevolezza delle condotte di «stalking» non sono elementi considerati essenziali ai fini dell'accertamento della responsabilità, poiché ciò che conta è che una qualsivoglia persona ragionevole, messa al posto dello «stalker», possa percepire la natura molesta delle sue azioni, così come rileva che la condotta sia oggettivamente percepibile dalla vittima, sempre secondo il parametro del «reasonable man», come fonte di molestie.

«Stalking» e risarcimento del danno
Lo «stalking» può ovviamente produrre sia danni patrimoniali e sia danni non patrimoniali. Detto ciò, non vi sono particolari differenze tra questa fattispecie e le altre di danno alla persona e alla personalità, ancorché sia da osservarsi come, fatta eccezione per i danni patrimoniali e per il danno biologico, l'intrusione illecita nella sfera privata della vittima sia di per sé tale da costituire un pregiudizio non patrimoniale che non necessita, perlomeno sotto il profilo della prova della sua sussistenza, di particolari dimostrazioni.
Ciò premesso, in questo contributo, giusto per offrire alcuni spunti di riflessione, sarà qui sufficiente soffermarsi sui risarcimenti operati dalle due sentenze sopra menzionate.
Nella sentenza del Tribunale di Torino (2004) (21) in primis sono state risarcite agli attori le spese resesi necessarie per gli interventi di ripristino dei danni cagionati dallo «stalker» alla porta d'ingresso dell'abitazione. Sempre sul versante delle conseguenze economiche è stato altresì riconosciuto il diritto degli attori ad essere risarciti per le spese d'assistenza professionale in sede di procedimento penale. Il Tribunale ha invece respinto, per mancanza di prova, la domanda di risarcimento delle spese sostenute dai coniugi per gli interventi della Telecom sul numero di telefono fisso, nonché quella relativa alle assenze lavorative, in mancanza di una specifica prova sia sul piano del nesso di causa che del quantum dell'incidenza patrimoniale. In merito ai danni non patrimoniali il Tribunale ha riconosciuto, in via equitativa, il danno morale da reato subito sia in capo ai coniugi molestati (Euro 12,000 ciascuno) e sia a favore della figlia minore (Euro 8,000), in quanto «direttamente coinvolta in un episodio di minaccia telefonica diretta, attraverso di lei, alla madre». Discutibile è stata invece l'esclusione dell'altro figlio minore della coppia dal risarcimento di siffatto danno in quanto, «pur essendo stato talvolta presente ad alcuni fatti», questi non sarebbe risultato essere stato direttamente coinvolto dagli stessi «come soggetto passivo del reato». Le ragioni della non condivisibilità di tale parte della sentenza sono piuttosto semplici: come bene insegnano le esperienze giuridiche sopra menzionate dei Paesi di common law, ciò che rileva non è l'intenzione dello «stalker» di ledere questa o quella vittima, ma la sua possibilità di prevedere che la sua condotta possa costituire una molestia per chi la accusa, a prescindere che, nelle intenzioni del molestatore, si tratti della vittima «diretta». Nel caso di specie, lo «stalker» poteva in tutto e per tutto immaginarsi che i suoi attacchi andassero a molestare non solo la coppia, ma anche i loro famigliari conviventi (peraltro conosciuti dal molestatore). Del resto, la giurisprudenza degli ultimi anni ci ha insegnato molto sulla tutela risarcitoria del c.d. «bene famiglia», e non vi è ombra di dubbio che l'intero nucleo famigliare abbia a soffrire, quando due suoi componenti siano sottoposti allo «stalking». La porta danneggiata o le telefonate notturne, inoltre, costituiscono in tutta evidenza un attacco indiscriminato a tutte le persone che vivono nell'abitazione, ciò a prescindere dalle intenzioni dello «stalker». Ma è evidente come il Tribunale di Torino si sia mosso nell'ambito di una visione troppo compressa sulla rilevanza penale degli illeciti commessi dallo «stalker», a tal punto, come già si è osservato sopra (22), dal giustificare la condanna del convenuto sulla sola scorta della ravvisabilità in astratto di fattispecie di reato, senza alcun riferimento all'art. 2043 c.c.
Di segno opposto risulta la sentenza del Tribunale di Milano (2001)(23), che, pur evidenziando la rilevanza penale della condotta tenuta dal convenuto, ha posto a base del riconoscimento della tutela risarcitoria «l'incidenza negativa, causata dai ripetuti comportamenti illeciti [del responsabile], sui normali ritmi di vita di entrambi gli attori, avendo alterato le normali attività quotidiane di entrambi, cagionando agli istanti di un danno esistenziale, di natura non reddituale». In sintesi, per il Tribunale milanese ciò che conta è la violazione della «limitazione della personalità dell'individuo nell'ambito familiare, ricreativo, lavorativo», costituente una lesione di diritti personali dell'individuo, in primis tutelati dall'art. 2 Cost. Su queste basi il Tribunale di Milano è pervenuto a risarcire, a titolo di danno esistenziale, all'incirca Euro 10,000 in capo all'attrice e Euro 4,000 all'amico di questa, oltre il danno patrimoniale per i danneggiamenti alle autovetture degli stessi.
Che il risarcimento del danno non patrimoniale sia oggi del tutto indipendente dalla ravvisabilità di una o più fattispecie di reato è fatto peraltro palese dalla «nuova giurisprudenza» della Cassazione, che ha definitivamente depenalizzato l'art. 2059 c.c., rileggendolo alla luce della protezione dei valori costituzionalmente protetti (24).
Ciò significa che la rilevanza penale delle condotte dello «stalker», indice di un'oggettiva gravità delle stesse, non ha in alcun modo ad incidere sul quantum del danno non patrimoniale? A leggere le recenti sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale (n. 233/2003) sembrerebbe proprio che il danno non patrimoniale possa assolvere esclusivamente ad una funzione riparatoria. Pur tuttavia, a dimostrazione di come questo punto non sia ancora interamente settled, si può qui menzionare una sentenza del Tribunale di Milano (2004) (25), che, in un caso di omicidio premeditato, ha aggiunto la non irrilevante somma di Euro 50,000 al quantum del danno non patrimoniale da lutto in considerazione dell'»elemento soggettivo del reato».
In estrema sintesi, anche con riferimento al risarcimento dei danni non sono pochi gli spunti su cui riflettere in relazione ai casi di «stalking».

Conclusioni: «Stalking», un utile strumento di lavoro
Lo «stalking», come si è sin qui posto in luce, si presenta all'attenzione degli interpreti come un bastimento carico di dati e spunti interessanti: questa etichetta racchiude molta sostanza su cui riflettere, a partire dalle esperienze maturate da tempo in altri ordinamenti giuridici. A prescindere dal successo che essa conseguirà nelle nostre Corti sul piano della sua applicazione a livello descrittivo, un punto è certo: ci troviamo dinanzi ad una figura che offre molti strumenti utili di lavoro e che merita di essere adeguatamente sponsorizzata, in primis con l'obiettivo di una migliore tutela delle vittime di «stalking».
-----------------------
(1) Sul mobbing si rinvia a quanto riportato amplius in M. Bona, P.G. Monateri, U. Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, Milano, 2002.
(2) Così R. Mercuri, Lo stalking, ovvero la sindrome del molestatore assillante, in Il consulente familiare, 2004, 1, 17. In Italia risultano editi sul tema i seguenti lavori: P. Curci, G.M. Galeazzi, C. Secchi, La sindrome delle molestie assillanti (stalking), Torino, 2003; M. Lattanzi, Stalking - Il lato oscuro delle relazioni interpersonali, Roma, 2003.
(3) I principali trattati e siti specializzati in materia distinguono tra diverse tipologie di «stalkers»: «simple obsessional», «erotomania» e «love obsessional» (M.A Zona, R.E. Palarea & J.C. Lane, A comparative study of erotomanic and obsessional subjects in a forensic sample (1993) Journal of Rorensic Sciences, 38 (4), 894-903); «the rejected», «the intimaci seeker», «the incompetent», «the resentful», «the predatory»(P.E. Mullen, M. Pathe, R. Purcell, & G.W. Stuart, A study of stalkers (1999) American Journal of Psychiatry, 156, 1244-1249); «intimate partner stalkers», «delusional stalkers» e «vengeful stalkers» (The ANTISTALKING Web Site, www.antistalking.com).
(4) Vedi ad esempio P.E. Mullen & M. Pathe, Stalking and the pathologies of love (1994) Australian and New Zeland Journal of Psychiatry, 28, 469-477.
(5) Cfr. ex multis S.A. Johnson, When «I love you» turns violent: Emotional and physical abuse in dating relationships, New York, 1993.
(6) F. Langhinrichsen-Rohling, R.E. Palarea, J. Cohen & M.L. Rohling, Breaking up is hard to do: Pursuit behaviours following the dissolutoion of romantic relationships (2000) Violence and Crimes, 15, 73-90.
(7) Sullo «cyberstalking» cfr. ex plurimis P. Bocij, H. Bocij & L. McFarlane, Cyberstalking: A case study of serial harassment in the UK (2002) British Journal of Forensic Practice, 5 (2), 25-32; J.M. Deirmenjian, Stalking in Cyberspace (1999) Journal of the American Academy pf Psychiatry and the Law, 27 (3), 407-413.
(8) R. Mercuri, Lo stalking, ovvero la sindrome del molestatore assillante, cit., 22.
(9) I dati sono tratti da www.antistalking.com.
(10) Ex plurimis cfr. P.G. Monateri, M. Bona, U. Oliva, Mobbing - Vessazioni sul lavoro, Milano, 2000; L. Greco, Danno biologico: gli effetti del c.d. mobbing, in Guida al lavoro, 1999, 11, 12.
(11) Sul punto si rinvia alle osservazioni svolte in A. Cuva, L. Cuva, M. Bona, La tutela penale dei lavoratori vittime di «mobbing» e «bossing», in Giur. it., 2003, 614-620.
(12) Cfr., ad esempio, S. Martinenghi, Processo per «stalking» - persecutore condannato, in La Repubblica, Torino Cronaca, sabato 21 agosto 2004, V.
(13) I testi dei provvedimenti citati sono riportati in http://www.neiladdison.pwp.blueyonder.co.uk/australia.htm.
(14) I testi delle leggi federali e statali USA in materia di Stalking Law sono reperibili sul sito dello Stalking Resource Center, centro di ricerca facente parte del programma National Centre for Victims of Crime, lanciato nel luglio del 2000 dal Violence Against Woman Office del U.S. Department of Justice: www.ncvc.org.
(15) Su cui si rinvia a M. Bona, P.G. Monateri, U. Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, cit., 35.
(16) P.G. Monateri, M. Bona, U. Oliva, Mobbing - Vessazioni sul lavoro, cit., 132 s.
(17) Trib. Torino, sez. III, 23 febbraio 2004, n. 1026, G.U. Contini, in www.dannoallapersona.it.
(18) Trib. Milano, sez. XII, 15 marzo 2001, G.U. Chindemi, in M. Bona & P.G. Monateri, Il nuovo danno non patrimoniale, Milano, 2004, 659.
(19) Ovviamente la gestione dello «stalking» non necessita, in seno alla responsabilità civile, dell'individuazione a monte di violazioni della norma penale. Sotto questo profilo, dunque, la sentenza torinese non pare del tutto condivisibile, avendo giustificato la condanna dello «stalker» al risarcimento dei danni interamente sulla base della sussistenza (in astratto) di fattispecie penalmente rilevanti.
(20) Così espressamente la relazione introduttiva alla Proposta di legge n. 4891/2004 C.
(21) Trib. Torino, sez. III, 23 febbraio 2004, n. 1026, G.U. Contini, cit.
(22) Cfr. nota 18.
(23) Trib. Milano, sez. XII, 15 marzo 2001, G.U. Chindemi, cit.
(24) Sul «nuovo» art. 2059 c.c. si rinvia a quanto osservato in M. Bona & P.G. Monateri, Il nuovo danno non patrimoniale, Milano, 2004.
(25) Trib. Milano, sez. XI, 9 marzo 2004, n. 3262, G.U. Monte, inedita.