Rassegna stampa



Battute a dipendenti? E' mobbing - Cassazione: "Sono sempre vessazioni"

Battute a dipendenti? E' mobbing
Cassazione: "Sono sempre vessazioni"

"Le battute grossolane" e "le frasi deprecabili" contro i dipendenti da parte di un superiore possono, insieme ad altre vessazioni, essere mobbing. Il monito arriva dalla Corte di Cassazione che ha accolto con rinvio il ricorso di una dirigente che era solita prendersi le offese da parte del suo direttore, dopo essere stata lasciata senza la scrivania e l'armadio ed essere stata messa in un open space insieme agli altri dipendenti.
La donna aveva trascinato l'azienda di fronte al Tribunale di Torino chiedendo 800 milioni delle vecchie lire a titolo di risarcimento dei danni subiti per il comportamento del suo direttore qualificabili anche, aveva detto, "come mobbing" e "costituito da avances sessuali, minacce, ingiurie, sottrazione di responsabilità lavorative, demansionamento e illegittimo trasferimento".

Il Tribunale respinse la domanda della donna. Stessa cosa fece a novembre del 2004 la Corte d'appello di Torino: ciò perché i giudici di merito non avevano ritenuti provati i fatti, perché, a loro parere le resunte vessazioni protattesi per sei mesi non avevano coperto un periodo sufficiente per configurare un comportamento mobbizzante. Contro questa decisione la dirigente ha fatto ricorso in Cassazione e lo ha vinto.

Un caso ancora tutto da decidere perché la sezione lavoro ha rinviato alla Corte d'appello la quale nel decidere dovrà tener presente che "le frasi a dir poco deprecabili pronunciate dal direttore, (personaggio abituato a battute grossolano) e che mai un superiore gerarchico dovrebbe proferire nei confronti di un sottoposto" pesano sull'accertamento del mobbing.

E poi, il fatto che la condotta si fosse protratta per soli sei mesi non esclude l'illecito da parte del superiore dal momento che "se è vero che il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea è anche vero che un periodo di sei mesi è più che sufficiente per integrare l'idoneità lesiva della condotta nel tempo".

Nel motivare la sua decisione i giudici di Piazza Cavour hanno fatto un'altra importante considerazione: il datore di lavoro deve anche vigilare e scoraggiare comportamenti di altri dipendenti o dei capi che in qualche modo vessino il sottoposto. "Né ad escludere la responsabilità del datore di lavoro - ha messo nero su bianco la Cassazione - quando il mobbing provenga da un dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, può bastare un mero, tardivo, intervento pacificatore non seguito da concrete misure e da vigilanza ed anzi potenzialmente disarmato di fronte ad una aperta violazione delle rassicurazioni date dal presunto mobbizzante.

TGcom cronache 12.09.2008