psicologialegale.it, rassegna stampa 07.02.2008



Danno biologico psichico da Mobbing

Danno biologico psichico da Mobbing

1 Febbraio 2008

Obiettivo Psicologia| Categoria: Mobbing


La giurisprudenza è concorde sul risarcimento del danno biologico derivante da mobbing, se causalmente dimostrato. L'art. 2087 dell'e.e. sancisce chiaramente che la responsabilità e l'eventuale onere del risarcimento in caso di inadempienze, sia mediante comportamenti commissivi che emissivi, spetta al datore di lavoro.
Tale principio è stato confermato da numerose sentenze sempre a condizione che sia accertata l'esistenza di un nesso causale fra il comportamento mobbizzante, doloso o colposo e il pregiudizio che ne deriva (Sentenza della Corte di Cassazione n. 12339 del 05/11/99; Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.143 dell'08/01/2000; Sentenza della Corte di Cassazione n.1307 del 05/02/2000).
Le prime sentenze per mobbing in Italia risalgono al 16/11/99 (in causa Erriquez c. Ergom Materie Plastiche s.p.a.)e al 30/12/99 (in causa Stomeo c. Ziliani s.p.a), per cui il Tribunale di Torino, in veste di giudice unico del lavoro di 1°grado, ha emesso due decisioni dirette a sanzionare le prevaricazioni, le denigrazioni, le offese alla dignità, la dequalificazione professionale ed il danno biologico subito dalle due lavoratrici, entrambe risoltesi a rassegnare le dimissioni dalle rispettive aziende.
La prima lavoratrice era stata confinata a lavorare ad una stampatrice in un locale angusto, senza contatti con i colleghi, e costretta a subire le bestemmie e le ingiurie indirizzatele dal caporeparto nei momenti in cui veniva chiesto il suo intervento per riparare i guasti della macchina, con la conseguenza di cadere in "sindrome depressiva di tipo reattivo con agorafobia", determinando un'assenza prolungata dal lavoro per diversi mesi.
La seconda lavoratrice, a seguito di sollecitazione alle dimissioni con un colloquio pressante direttamente dal titolare dell'azienda, dopo che questi aveva appreso che il convivente della donna era impiegato presso un'azienda concorrente. La donna era rimasta così turbata da cadere in uno stato di crisi psicologica fino a consultare un neurologo. Era stata poi sostituita nel lavoro di impiegata all'ufficio estero, con compiti di interprete e traduzioni tecniche nel corso della malattia, da una neoassunta dall'esterno; infine, al rientro dalla malattia, destinata a compiti dequalificanti in magazzino, rivelatisi talmente insopportabili da indurla alle dimissioni.
Nelle due similari decisioni il giudice del lavoro del Tribunale di Torino ha stabilito: "il mobbing è riscontrabile anche nelle aziende quando si versa in presenza di ripetuti soprusi da parte dei superiori ed, in particolare, di pratiche dirette ad isolare il dipendente dall'ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è quello di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio...".
Nelle cause di mobbing, comunque, la difficoltà maggiore che l'esperto incontra è quella di evidenziare la presenza di comportamenti di mobbing e stabilire in nesso di causa tra le condotte persecutorie e la lesione riportata dalla vittima.
L'attività del o dei mobber non è un evento casuale, ma è una strategia intenzionale finalizzata a nuocere e minare la salute del soggetto (strategia persecutoria e vessatoria).
Il fenomeno mobbing è altresì la spia di una "alterazione patologica" dell'organizzazione aziendale, pubblica o privata, nello specifico settore delle risorse umane allorquando voglia eliminare, per diverse ragioni (come sopra descritte), alcuni dipendenti, mette in atto la dolosa strategia del mobbing che in modo intenzionale e altresì premeditato, individua e colpisce la vittima prescelta utilizzando tecniche di vessazione consolidate, incessanti e irreversibili, che provocano sull'individuo stati di ansia e stress iperprottratto, che ne annullano la personalità persuadendolo ad abbandonare il posto di lavoro.
Come ormai intuibile dunque il mobbing è un agire delittuoso che offende la psiche della persona, come vera e propria noxa cronica, potendo quindi agire in modo subdolo, insidioso, e costante, esaurendo le risorse fisiologiche e psicologiche e danneggiando l'assetto psicofisico dell'individuo in modo più o meno permanente.
Infatti, affinché la patologia da mobbing si realizzi, non si rende necessaria una violenza fisica (un solo caso nella nostra esperienza peritale), bensì psichica o psico - somatica che agendo in modo continuativo, progressivo e inarrestabile produce una serie di traumi morali che evolvono verso un vero e proprio quadro clinico organico, come detto in premessa.
Il problema medico legale è fare esattamente emergere il nesso di causalità materiale, con una analisi serrata auto ed etero controllata delle prove documentarie, orali ed anche contrattuali, tra il dato clinico e la storia che si pretende, ma si deve provare, essere da mobbing.
La vittima, dopo aver tentato in più modi di metabolizzarsi, trasformarsi e cioè di riadattarsi nei propri elementi costitutivi caratteriali, esaurisce le proprie riserve di sopportazione psicologica, annientata dalle innumerevoli percosse fisiche alle quali è incessantemente sottoposta.
Quando la situazione mobbizzante arriva a questo stadio, i primi sintomi che tutti i periziandi accusano quali: mal di testa, insonnia, anoressia, scatti d'ira ingiustificati, scarsa capacità di concentrazione sul lavoro, calo della memoria ecc... si acutizzano sempre più , andando a ripercuotersi su quegli aspetti organici dell'individuo, il più delle volte presistentemente patologici, provocando malattie di ordine tipicamente psicosomatico.
L'evoluzione dell'azione mobbizzante, attraverso aggressioni psicologiche riesce a procurare disturbi fisici di seria gravità.
Generalmente la reazione da stress è caratterizzata, in condizioni ottimali, da complementari ed equilibrate reazioni comportamentali biologiche le quali, integrate tra loro, sono finalizzate alla neutralizzazione dell'agente stressante.
In determinati casi però, in mancanza di una possibilità di reazione comportamentale aperta contro lo stressore, si instaura uno stato di attivazione biologica che, a seconda dei casi, è dovuta a circostanze interne o esterne all'individuo.
In situazioni di questo genere, dunque, si realizza una reazione di stress con blocco dell'azione, frequentemente causa di malattie riconosciute come stress dipendenti.
Tutti questi gravi problemi di salute, prima psichici e poi fisici, non riguardano esclusivamente i rapporti relazionali che il periziando instaura all'interno dell'azienda.
Infatti è inevitabile considerare che le ripercussioni del trauma psichico sulla persona, interessano l'intero ambito socio relazionare della stessa, posto che, le condizioni di inattività , improduttività , umiliazione, vessazione adottate dall'azienda comportano, in un soggetto precedentemente sano, la perdita di sicurezza di base oltre che quelle di autosufficienza ed autostima, facendo insorgere sentimenti di auto - disprezzo e di isolamento sociale.
Nel caso in cui si attesti la presenza di danni psichici è importante dimostrare che essi siano sopraggiunti in conseguenza all'evento lesivo. Si tratta di un difficile e controverso accertamento per una serie di motivi:
• il danno psichico è per definizione soggettivo, essendo individuato dalla descrizione dei sintomi riferiti dalla persona interessata;
• non esistono criteri standard codificati che consentono la costruzione di sistemi tabellari, generalizzazioni o valutazioni analogiche;
• il danno psichico valutabile risulta dal grado di compromissione obiettivata al momento dell'indagine da cui vanno sottratti disturbi psichici preesistenti.
Nel processo di accertamento di un eventuale danno psichico, l'esperto può porre particolare attenzione ai seguenti momenti operativi:
• preesistenza o meno di disturbi psichici e loro oggettivazione e quantificazione;
• descrizione delle abilità sociali preesistenti e del livello di integrazione del soggetto in esame;
• analisi dello stato attuale per identificare la patologia psichica in atto;
• dimostrazione del nesso di causalità tra evento traumatico e disturbo psichico in atto;
• esclusione della possibilità di simulazione.
La metodologia si può articolare in fasi: raccolta di dati anamnestici che permetteranno di verificare sia la sintomatologia esperita dal soggetto allo stato attuale, sia la presenza meno di disturbi psichici o compromissione di abilità sociali; esame di ogni tipo di documentazione clinica relative al disturbo in atto o alla eventuale presenza di patologie psichiche; valutazione dell'integrità o eventuali alterazioni di singole funzioni cognitive; misurazione dei sintomi psicopatologici attraverso strumenti testologici di documentata validità e attendibilità (DSM IV).
In sintesi il protocollo diagnostico prevede:
• Colloquio clinico al fine di inquadrare la personalità e i disturbi riferiti dal paziente;
• Somministrazione di test psicologici mirati ai disturbi lamentati;
• Visita neurologiche per escludere patologie organiche;
• Somministrazione di specifici questionari per meglio valutare i fattori lavorativi pericolosi per l'insorgenza di stress.
La ricerca dei fattori biologici ancorché con modalità immateriali deve, nel caso dell'anamnesi-inchiesta in presunto-sospetto mobbing, basarsi sulle conoscenze delle condizioni lavorative (organizzazione, gerarchia, ruoli, mansioni, organigramma aziendale in cui è inserita la vittima), sulla dinamica individuale nelle relazioni con i colleghi.
L'evento mobbing dovrà comunque segnare l'inizio di una significativa modificazione comportamentale e patologica.
Personalità insicure, ansiose, ipocondriache potrebbero rielaborare drammaticamente il sintomo.
In fase valutativa, quindi, l'esperto deve considerare l'attribuzione di significato all'evento da parte della presunta vittima. Le prove da quest'ultima addotte sono spesso polarizzate sul disturbo psichico, corredate dalla documentazione più disparata (articoli di giornale, interviste, presunte lettere minatorie ricevute...).
Tale corollario documentativi non assume carattere probante assoluto:è importante a questo punto la richiesta del consenso informato, ossia la presunta-vittima va correttamente informata circa le finalità e i contenuti del colloquio e delle altre indagini cui verrà sottoposto. Esaminando il Codice Deontologico degli iscritti all'Albo degli Psicologi si evidenzia:
Art. 4 "quando sorgono conflitti di interesse tra l'utente e l'istituzione presso cui lo psicologo opera, quest'ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto".
Art. 24 " lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all'individuo, al gruppo, all'istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, finalità e modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato".
Il perito, inoltre, sia esso consulente tecnico di parte (CTP) o consulente tecnico d'ufficio (CTU) è tenuto anche al segreto professionale, sancito dall'articolo 326 c.p. (rivelazione e utilizzazione del segreto d'ufficio); è inoltre raccomandata la massima riservatezza sui dati acquisiti, sia verso i familiari che i curanti. I periti possono ricevere informazioni, ma non trasmetterne, essendo loro obbligo custodire e garantire la relazione con il periziando.